Cassazione civile, sez. III, ordinanza 15 febbraio 2018, n. 3692
Con questo recente arresto la Corte di Cassazione ha colto l’occasione di approfondire alcuni aspetti della responsabilità da prodotto.
Nella fattispecie un consumatore aveva convenuto in giudizio un’impresa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni sofferti per avere utilizzato, per detergersi il sudore dal viso e da altre parti del corpo, un fazzolettino di carta – tratto da una confezione che evidenziava il marchio ..x….- e che aveva prodotto un’allergia cutanea da metallo, protrattasi per mesi.
I giudici di legittimità hanno ritenuto responsabile l’impresa produttrice dei fazzolettini di carta, prodotto naturalmente destinato a entrare in contatto con la pelle per la presenza di nichel – sostanza che può cagionare un danno a persone, cose o ambiente – non segnalata sulle confezioni.
Nella motivazione dell’ordinanza la Corte ha puntualizzato che non è possibile far discendere la difettosità di un prodotto dal solo fatto che esso abbia arrecato un danno. Elemento fondante della legittimazione della pretesa è stata ritenuto l’anomalia della presenza di un elemento idoneo ad arrecare danno all’uomo e la mancanza delle informazioni “minime” richieste dalla legge. Questo in ossequio al dettato dell’art. 117 del Codice del consumo, che definisce il prodotto difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto del modo in cui è messo in circolazione, della sua presentazione, delle sue caratteristiche, delle istruzioni, e delle avvertenze, ma non solo, anche dell’uso al quale il prodotto stesso può essere destinato e del tempo in cui è messo in circolazione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 5 dicembre 2017 – 15 febbraio 2018, n. 3692
Presidente Travaglino – Relatore Sestini
Fatto e diritto
Rilevato che:
Fu. Co. convenne in giudizio la Soffass s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni sofferti per avere utilizzato (per detergersi il sudore dal viso, dal collo e dagli avambracci) un fazzolettino di carta -a marchio “Regina”- prodotto dalla convenuta, che aveva determinato una reazione cutanea -imputabile ad allergia da metallo- con una conseguente estesa dermatite protrattasi per oltre tre mesi;
la convenuta resistette alla domanda, che venne rigettata dal Tribunale di Cuneo, con condanna dell’attrice al pagamento delle spese di lite;
la Corte di Appello di Torino ha riformato la sentenza, affermando la responsabilità della convenuta e condannandola al risarcimento dei danni (nell’importo di 4.193,55 Euro), oltre al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;
la Soffass s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo illustrato da memoria; ha resistito l’intimata con controricorso;
il P.M. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato che:
con l’unico motivo, la ricorrente deduce la «falsa applicazione degli artt. 114 e 117 del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 […], per avere ritenuto la corte di appello che il danno costituisca prova del difetto del prodotto», nonché «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio […], per avere la corte di appello attribuito alla c.t.u. chimica una valutazione di pericolosità del prodotto, in quest’ultima del tutto assente»;
assume la ricorrente che, mentre è incontroverso che l’utilizzo del fazzoletto ha prodotto la reazione allergica sfociata nella dermatite, non risulta accertato che tale reazione allergica sia stata prodotta dalla presenza di nichel nel fazzoletto; e ciò in quanto, pur affermando che il nichel è un sensibilizzante da contatto, la c.t.u. aveva chiarito che la percentuale di nichel riscontrata nel fazzoletto era superiore al limite consentito per gli imballaggi a contatto con gli alimenti ed i cosmetici, ma conforme alla direttiva comunitaria CE 2004/96 e al regolamento OEKOTex per i tessili; ha sostenuto dunque che «la c.t.u. non ha accertato in alcun modo che la reazione fosse stata causata da una presenza di nichel superiore ai livelli prescritti dalle norme o dalle discipline precauzionali esistenti»;
ciò premesso e rilevato che la disciplina risultante dagli artt. 114 e 117 del Codice del consumo esclude che l’esistenza del danno dimostri di per sé la natura difettosa del prodotto, ha concluso che la fattispecie concreta e quella astratta “non combaciano” in quanto la Corte «ha ritenuto difettoso il prodotto per il solo fatto che esso ha prodotto un danno, essendo palesemente inesistenti le valutazioni di difettosità del prodotto, che essa attribuisce alla c.t.u.»;
il motivo è inammissibile e, comunque infondato;
inammissibile, in quanto non censura in modo adeguato la ratio della decisione, omettendo di prendere posizione sulla previsione dell’art. 6 D.Lgs. n. 206/2005 (che, alla lett. d, impone al produttore di indicare l’«eventuale presenza di materiali o sostanze che possano arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente») e sul rilievo della Corte secondo cui era «pacifica […], in causa, la mancanza assoluta di etichetta o avvertenza circa la presenza dei metalli in questione sulla confezione, avvertenze funzionali ad informare potenziali soggetti allergici del rischio, particolarmente concreto proprio in rapporto alla tipologia del prodotto e alla sua normale destinazione d’uso»; si tratta -all’evidenza- di un rilievo decisivo ai fini della connotazione del prodotto come difettoso (in relazione alla previsione dell’art. 117, lett. a del D.Lgs. cit.) che, in quanto non censurato, rende priva di interesse la contestazione della difettosità del prodotto sotto altri profili;
la censura svolta è comunque infondata, in quanto è basata sulla premessa, non corretta, che il fazzoletto non potesse essere ritenuto difettoso: invero, a prescindere dall’esistenza o meno di un’espressa affermazione della difettosità del prodotto nella relazione di c.t.u., la Corte è pervenuta ad affermare tale difettosità evidenziando elementi (segnatamente, l’anomalia della presenza di un metallo noto come sensibilizzante da contatto e causa di allergie in un fazzolettino di carta «destinato per sua natura a venire a contatto con la pelle, il naso o la bocca degli individui» e «sicuramente idoneo a provocare un danno all’uomo») che rispondono pienamente al paradigma normativo di cui all’art. 117 del Codice del consumo; va escluso pertanto che la Corte abbia fatto discendere la difettosità del prodotto dal solo fatto che esso abbia prodotto un danno, giacché la natura difettosa è stata accertata sotto il duplice profilo della anomalia della presenza di un metallo idoneo ad arrecare danno all’uomo e -come detto sopra- della mancanza delle informazioni “minime” richieste dai citati artt. 6 e 117 lett. a);
le spese di lite seguono la soccombenza;
trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.