L’immobile “abusivo” entra a far parte del patrimonio ereditario?

 

Corte di Cassazione , sez. III, ud. 21 febbraio 2023 (dep. 17 aprile 2023), n. 16141

Con questo arresto gli ermellini hanno ribadito il principio, già affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25021/2009, che l’immobile abusivo oggetto di demolizione è parte dell’asse ereditario, si trasmette agli eredi e su di esso si forma la comunione ereditaria, salvo il caso della rinuncia.  Pertanto l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche nell’ipotesi di acquisto dell’immobile per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell’erede del condannato, stante la preminenza dell’interesse paesaggistico e urbanistico.

Il caso.  Due coniugi in qualità di proprietari, furono condannati– per i reati ex artt. 20, lett. c), L. n. 47 del 1985, 1-sexies L. n. 431 del 1985, 734 c.p  –  per avere realizzato, in assenza di concessione edilizia e di ogni autorizzazione, in area sottoposta a vincolo ambientale, un immobile di un piano di 91 mq., 4 verande di varie dimensioni, una scala ed una recinzione.

Gli eredi dei proprietari, nell’ambito di un successivo procedimento  nei loro confronti, sorto a seguito del provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, di esecuzione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza del primo giudice, chiesero di essere estromessi sostenendo  di non avere acquistato l’immobile mortis causa in quanto sorto su terreni occupati abusivamente e quindi sconosciuto ai registri immobiliari. Trattandosi, a loro giudizio, di bene inesistente non avrebbero ereditato alcunchè e nemmeno avrebbero potuto rinunciare all’eredità. Avverso il provvedimento di rigetto i prefati hanno proposto ricorso in Cassazione.

Con  la decisione che si annota la Suprema Corte ha  affermato che i condannati (i genitori, per l’appunto, dei ricorrenti) dovevano essere considerati proprietari dell’immobile oggetto di causa, che non può pertanto essere considerato “fantasma”, bensì una cosa già oggetto di diritto di proprietà con le dimensioni ben descritte nell’imputazione della sentenza.

Testo integrale della sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA   Gastone      –  Presidente   –

Dott. PAZIENZA    Vittorio     –  Consigliere  –

Dott. SEMERARO    Luca    –  rel. Consigliere  –

Dott. REYNAUD     Gianni F.    –  Consigliere  –

Dott. CORBO       Antonio      –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.G., nato a (Omissis);

B.M., nato a (Omissis);

avverso l’ordinanza del 10/10/2022 del TRIBUNALE di FOGGIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

lette le conclusioni del PG RAFFAELE GARGIULO;

Il PG conclude per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con l’ordinanza del 10 ottobre 2022 il Tribunale di Foggia ha rigettato l’istanza presentata da B.G. e B.M. di estromissione dal procedimento sorto a seguito del provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia del 7 giugno 2021 di esecuzione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza della Pretura di Lucera del 23 maggio 1997, irrevocabile il 17 giugno 1997, di applicazione della pena nei confronti di B.M. e A.A., per i reati ex artt. 20, lett. c), L. n. 47 del 1985, 1-sexies L. n. 431 del 1985, 734 c.p., perché, in qualità di proprietari, realizzarono, in assenza di concessione edilizia e di ogni autorizzazione, in area sottoposta a vincolo ambientale, un immobile di un piano di 91 mq., 4 verande di varie dimensioni, una scala ed una recinzione.
  2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.G. e B.M., eredi dei condannati, deducendo con l’unico motivo il vizio di motivazione.

Il Tribunale di Foggia avrebbe errato nel ritenere che i ricorrenti abbiano acquistato l’immobile mortis causa.

La zona su cui insiste l’immobile abusivo sarebbe stata interessata da occupazioni abusive del terreno, di proprietà di terzi, in seguito oggetto di più edificazioni. I soggetti occupanti sarebbero stati condannati per i reati edilizi commessi, con il relativo ordine di ripristino.

Per effetto dell’occupazione abusiva, l’unico diritto esercitato sugli immobili sarebbe il possesso: o perché mantenuto nel tempo o perché acquistato attraverso atti in forma di scrittura privata.

L’immobile de quo, come gli altri, sarebbe “sconosciuto ai pubblici registri immobiliari”; nel caso esaminato, la successione dei genitori non avrebbe avuto alcun bene da trasferire; non vi sarebbe stato un testamento che abbia disposto sull’immobile abusivo né i ricorrenti avrebbero ereditato o acquisito il possesso dell’immobile. Per l’assenza di beni, non avrebbero potuto neanche rinunciare all’eredità. Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dall’ordinanza, non vi sarebbe stato alcun acquisto iure hereditatis dell’immobile abusivo, non avendo ereditato alcunché.

La giurisprudenza richiamata dall’ordinanza in tema di demolizione di opere abusive ereditate sarebbe inconferente, perché l’immobile sarebbe un “bene fantasma, non censito, non ereditabile”, non oggetto di possesso da parte dei ricorrenti. L’autorità avrebbe dovuto accertare l’effettivo proprietario del bene.

L’ordinanza avrebbe ritenuto irrilevante la questione relativa alla presenza di ulteriori eredi della sig.ra B.C. omettendo di considerare che nella fattispecie de qua sarebbe coinvolto un minore che, per il solo fatto di essere orfano della madre, sarebbe obbligato a partecipare alle spese di abbattimento di un immobile, pur non avendone il possesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso infondato.

1.1. I ricorrenti deducono il vizio di motivazione rispetto ad una questione di diritto relativa al se l’immobile costruito in assenza di permesso di costruire (o di concessione edilizia) ed autorizzazione paesistica faccia parte dell’asse ereditario, ed è pertanto inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p.; il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è soltanto quello attinente alle questioni di fatto, non anche a quelle di diritto (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 01).

1.2. In ogni caso, è infondata la tesi in diritto proposta con il ricorso.

Risulta anche dall’istanza di incidente di esecuzione (p. 2) che i ricorrenti sono gli eredi di B.M. e A.A., che erano i loro genitori, e nei confronti dei quali fu emessa dal Pretore di Lucera il 23 maggio 1997, irrevocabile il 17 giugno 1997 la sentenza ex art. 444 c.p.p. contenente l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo. E’, dunque, incontestata la qualità di eredi dei ricorrenti, come indicato nell’ordinanza impugnata.

1.3. I ricorrenti affermano erroneamente che l’immobile abusivo non possa rientrare nell’asse ereditario e che non si trasmetta iure hereditatis, in base alla argomentazione per cui l’immobile, essendo abusivo, sarebbe “sconosciuto” ai registri immobiliari ed inidoneo a far parte dell’asse ereditario.

1.4. Dalla sentenza definitiva risulta che i condannati erano i proprietari dell’immobile abusivo, che ha una sua chiara consistenza, secondo quanto emerge dal titolo esecutivo, come prima indicato. Dunque, non è un “immobile fantasma”, ma una cosa già oggetto di diritto di proprietà con le dimensioni ben descritte nell’imputazione della sentenza.

1.5. Come affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili (cfr. Sez. U Civili, n. 25021 del 16/04/2019, in motivazione), l’immobile abusivo oggetto di demolizione è parte dell’asse ereditario, si trasmette agli eredi e su di esso si forma la comunione ereditaria, salvo il caso della rinuncia, che nel caso in esame non risulta effettuata.

1.5.1. Secondo le Sezioni Unite Civili, la comunione ereditaria “… ha ad oggetto i beni che componevano il patrimonio del de cuius e si costituisce ipso iure tra gli eredi quando, a seguito dell’apertura di una successione mortis causa, vi siano una pluralità di chiamati all’eredità ed una pluralità di accettazioni (espresse o tacite). La comunione ereditaria e’, perciò, indipendente dalla volontà dei chiamati alla eredità (non è una comunione “volontaria”, mancando un atto negoziale diretto a costituirla) e va annoverata tra le comunioni “incidentali” (“communio incidens”), in quanto sorge per il verificarsi del mero “fatto giuridico” della pluralità di acquisti della medesima eredità…”.

1.5.2. Secondo la giurisprudenza, la nullità ex art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001 e’, infatti, relativa ai soli atti tra vivi, restando esclusi gli acquisti di beni immobili abusivi mortis causa.

Tale norma prevede che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria…”.

Cfr. Sez. U Civili, n. 8230 del 22/03/2019, Rv. 653283, che hanno affermato il principio per cui “la nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile”.

Nello stesso senso, la sentenza citata n. 25021 del 16/04/2019, per cui “restano fuori dal campo di applicazione dell’art. 40, comma 2, della L. n. 47 del 1985, così come – d’altra parte – dal campo di applicazione dell’art. 46, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e prima dell’art. 17, comma 1, della L. n. 47 del 1985), gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale (ossia quelli ad effetti meramente obbligatori), gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle richiamate disposizioni) e – come si vedrà nel prosieguo – gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali (artt. 46, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001 e 40, commi 5 e 6, della L. n. 47 del 1985)”.

1.6. L’ordinanza impugnata, che ha confermato l’ingiunzione a demolire nei confronti degli eredi dei soggetti condannati per i reati edilizi, ha correttamente ritenuto che l’immobile sia parte del patrimonio ereditario di cui sono titolari i ricorrenti.

1.7. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale ed ha natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve, pertanto, essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403; Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175).

1.8. Pertanto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche nell’ipotesi di acquisto dell’immobile per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell’erede del condannato, stante la preminenza dell’interesse paesaggistico e urbanistico, alla cui tutela è preordinato il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell’avente causa del condannato.

1.9. Generico ed irrilevante appare il riferimento ad eventuali eredi minori della sig.ra B.C., terza figlia di B.M. e A.A., deceduta il giorno (Omissis), prima che la sentenza di condanna diventasse irrevocabile. Come correttamente rilevato dall’ordinanza, l’eventuale notifica dell’ingiunzione di demolizione agli eredi di B.C. non incide in alcun modo sulla decisione nei confronti dei ricorrenti.

  1. Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2023