LAVORO (RAPPORTO) divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti, direttiva del Consiglio n. 92/85/CEE

Corte giustizia Comunita’ Europee, Grande Sez. , 26 febbraio 2008, n. 506/06

Secondo la Grande Sezione della Corte, la direttiva del Consiglio n. 92/85/CEE, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’art. 16, par. 1 della direttiva n. 89/391/CEE), e, in particolare, il divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti di cui all’art. 10, punto 1, di tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che non riguardano una lavoratrice che si sottopone a fecondazione in vitro qualora, al momento della comunicazione del licenziamento, la fecondazione dei suoi ovuli con gli spermatozoi del partner abbia già avuto luogo, e si sia quindi già in presenza di ovuli fecondati in vitro, ma questi non siano stati ancora trasferiti nell’utero della lavoratrice.

Gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva del Consiglio n. 76/207/CEE, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, ostano al licenziamento di una lavoratrice che si trovi in una fase avanzata di un trattamento di fecondazione in vitro, vale a dire tra il prelievo follicolare e il trasferimento immediato degli ovuli fecondati in vitro nel suo utero, purché sia dimostrato che il licenziamento si fondi essenzialmente sul fatto che l’interessata si sia sottoposta a tale trattamento.

 
 
 
  Sentenza  della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 febbraio 2008 Nel procedimento C‑506/06, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria) con decisione 23 novembre 2006, pervenuta in cancelleria il 14 dicembre 2006, nella causa Sabine Mayr contro Bäckerei und Konditorei Gerhard Flöckner OHG, LA CORTE (Grande Sezione), composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e L. Bay Larsen, presidenti di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann, J. Makarczyk, P. Kūris, E. Juhász, A. Ó Caoimh (relatore), dalla sig.ra P. Lindh e dal sig. M.J.‑C. Bonichot, giudici, ha pronunciato la seguente Sentenza 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 2, lett. a), della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1). 2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Mayr, ricorrente nella causa principale, e il suo ex datore di lavoro, la Bäckerei und Konditorei Gerhard Flöckner OHG (in prosieguo: la «Flöckner»), convenuta nella causa principale, in seguito al licenziamento della sig.ra Mayr da parte della Flöckner. Contesto normativo Normativa comunitaria La direttiva 76/207/CEE 3 L’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), dispone che «il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul [s]esso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia». 4 Il n. 3 del medesimo art. 2 enuncia che la direttiva 76/207 «non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità». 5 Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207: «L’applicazione del principio della parità [di] trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantire agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso». 6 L’art. 34, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 luglio 2006, 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204, pag. 23), ha abrogato la direttiva 76/207, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE (GU L 269, pag. 15). 7 Tuttavia, le direttive 2002/73 e 2006/54 non si applicano ratione temporis ai fatti della causa principale. La direttiva 92/85 8 Dal nono ‘considerando’ della direttiva 92/85 emerge che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di parità di trattamento tra uomini e donne. 9 Secondo il quindicesimo ‘considerando’ della medesima direttiva, il rischio di essere licenziate per motivi connessi al loro stato può avere effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e conviene prevedere un divieto di licenziamento. 10 Ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva 92/85, si intende per lavoratrice gestante «ogni lavoratrice gestante che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali». 11 L’art. 10 della direttiva 92/85 è formulato come segue: «Per garantire alle lavoratrici [gestanti, puerpere o in periodo di allattamento] ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo: 1) gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo; 2) qualora una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto giustificati motivi per il licenziamento; 3) gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici di cui all’articolo 2 contro le conseguenze di un licenziamento che a norma del punto 1) è illegittimo». 12 Ai sensi dell’art. 12 della direttiva 92/85: «Gli Stati membri introducono nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva di difendere i propri diritti per via legale e/o, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mediante ricorso ad altre istanze competenti». Normativa nazionale 13 L’art. 10 della legge sulla tutela della maternità (Mutterschutzgesetz; in prosieguo: l’«MSchG») è formulato come segue: «1. Le dipendenti non possono essere legittimamente licenziate durante il periodo di gravidanza, né nei quattro mesi successivi al parto, purché abbiano informato il datore di lavoro della loro gravidanza o del parto. 2. Il licenziamento è altresì illegittimo quando il datore di lavoro è informato della gravidanza o del parto entro cinque giorni lavorativi a decorrere dalla comunicazione del licenziamento o dalla sua notifica in caso di licenziamento avvenuto per iscritto. La comunicazione scritta della gravidanza o del parto si considera avvenuta in tempo utile se spedita per posta nel detto termine di cinque giorni. Nel comunicare la sua gravidanza o il parto nel termine di cinque giorni, la lavoratrice deve contestualmente fornire certificato medico attestante la gravidanza o la presunta gravidanza o produrre il certificato di nascita del bambino.(…)». 14 In forza dell’art. 17, n. 1, della legge sulla fecondazione artificiale (Fortpflanzungsmedizingesetz; in prosieguo: l’«FMedG»), le cellule in via di sviluppo, vale a dire – ai sensi dell’art. 1, n. 3, dell’FMedG, – gli ovuli fecondati e le cellule che ne derivano, possono essere conservate per un periodo massimo di dieci anni. 15 Ai sensi dell’art. 8 dell’FMedG, una fecondazione artificiale può essere eseguita solo con il consenso di entrambi i partner, tuttavia la donna può revocare il proprio consenso fino al momento del trasferimento delle cellule in via di sviluppo nel suo corpo. Causa principale e questione pregiudiziale 16 La sig.ra Mayr lavorava per la Flöckner come cameriera dal 3 gennaio 2005. 17 L’8 marzo 2005, nell’ambito di un tentativo di fecondazione in vitro e a seguito di un trattamento ormonale di circa un mese e mezzo, era praticato alla sig.ra Mayr un prelievo follicolare. Il suo medico curante le prescriveva un congedo per malattia dall’8 al 13 marzo 2005. 18 Il 10 marzo 2005, nel corso di una telefonata, la Flöckner comunicava alla sig.ra Mayr che era licenziata con effetto a decorrere dal 26 marzo 2005. 19 Con lettera in pari data, la sig.ra Mayr comunicava alla Flöckner che, nell’ambito di un trattamento di fecondazione artificiale, il trasferimento nel suo utero degli ovuli fecondati era programmato per il 13 marzo 2005. 20 Secondo la decisione di rinvio, è pacifico che alla data della comunicazione del licenziamento della sig.ra Mayr, vale a dire il 10 marzo 2005, gli ovuli ad essa prelevati erano già stati fecondati con gli spermatozoi del suo partner e che quindi, a questa stessa data, sussistevano già ovuli fecondati in vitro. 21 Il 13 marzo 2005, vale a dire tre giorni dopo che la sig.ra Mayr era stata informata del suo licenziamento, due ovuli fecondati venivano trasferiti nell’utero di quest’ultima. 22 La sig.ra Mayr reclamava dalla Flöckner il pagamento dello stipendio e della quota corrispondente della sua retribuzione annuale affermando che il licenziamento comunicato il 10 marzo 2005 era giuridicamente inefficace in quanto, a partire dall’8 marzo 2005, data in cui era avvenuta la fecondazione in vitro dei suoi ovuli, trovava applicazione nei suoi confronti la tutela contro il licenziamento prevista dall’art. 10, n. 1, dell’MSchG. 23 La Flöckner respingeva tale richiesta in quanto al momento della comunicazione del licenziamento non sussisteva gravidanza. 24 Il Landesgericht Salzburg, investito della controversia in primo grado, accoglieva la domanda della sig.ra Mayr ritenendo che, conformemente alla giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof, la tutela contro il licenziamento prevista dall’art. 10 dell’MSchG decorresse dalla fecondazione dell’ovulo. Sarebbe quest’ultima, secondo tale giurisprudenza, a rappresentare il momento iniziale della gravidanza. Il Landesgericht Salzburg ha dunque ritenuto che si dovesse applicare lo stesso criterio nel caso della fecondazione in vitro e che, in caso di insuccesso del trasferimento dell’ovulo, la tutela contro il licenziamento cesserebbe comunque. 25 Tuttavia l’Oberlandesgericht Linz, giudice di appello in materia di diritto del lavoro e diritto sociale, annullava la sentenza del Landesgericht Salzburg e respingeva la domanda della sig.ra Mayr, con l’argomento che, qualunque sia il momento della gestazione a partire dal quale si producono effettivamente le variazioni ormonali, una gravidanza isolata dal corpo della donna sarebbe impensabile e che, di conseguenza, nell’ipotesi di una fecondazione in vitro, la gravidanza inizierebbe soltanto dal momento del trasferimento dell’ovulo fecondato nel corpo della donna. Soltanto a partire da tale momento opererebbe pertanto la tutela della gestante contro la risoluzione del contratto di lavoro. 26 Tale sentenza pronunciata in appello ha formato oggetto di ricorso per «Revision» (ricorso per cassazione) dinanzi all’Oberster Gerichtshof. Secondo la giurisprudenza di quest’ultimo, la tutela garantita dall’art. 10 dell’MSchG interviene solo se, al momento del licenziamento, la gravidanza ha avuto effettivamente inizio. L’inderogabile finalità della tutela della maternità consisterebbe nel preservare la salute della madre e del bambino nell’interesse di questi ultimi e, nel caso della tutela contro il licenziamento, disciplinare o non disciplinare, nell’assicurare i mezzi di sussistenza della madre. L’esigenza di tutela per tutta la durata della modifica dello stato della donna sussisterebbe indipendentemente dal fatto che sia già avvenuto o meno l’impianto dell’ovulo fecondato nella mucosa uterina (altresì detto «annidamento») e il fatto che la prova della gravidanza sia o meno agevole da fornire è al riguardo privo di rilevanza. L’annidamento dell’ovulo fecondato nella mucosa uterina sarebbe, secondo l’opinione scientifica dominante, soltanto una fase, a partire dal concepimento, dello stato di gravidanza in atto e non potrebbe essere scelto arbitrariamente, nel contesto della tutela contro il licenziamento, come momento di inizio della gravidanza. 27 Tuttavia, tale giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof relativa all’art. 10 dell’MSchG sarebbe fondata esclusivamente su casi di concepimento in utero, vale a dire di concepimento naturale. Tale giudice dichiara che si tratta della prima volta in cui è chiamato a pronunciarsi sulla questione di quale sia il momento a partire dal quale la gestante benefici della tutela contro il licenziamento prevista dall’art. 10 dell’MSchG nel caso di una fecondazione in vitro. 28 Ritenendo che la controversia di cui è investito richieda l’interpretazione di disposizioni comunitarie, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se rappresenti una “lavoratrice gestante” ai sensi dell’art. 2, lett. a), prima frase, della direttiva [92/85] la lavoratrice che si sottopone ad una fecondazione in vitro, qualora al momento della comunicazione del licenziamento i suoi ovuli siano stati già fecondati con gli spermatozoi del partner, e si sia quindi già in presenza di embrioni in vitro, ma questi non siano stati ancora trasferiti nel corpo della donna». Sulla questione pregiudiziale 29 Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 92/85 e, in particolare, il divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti disposto dall’art. 10, n. 1, di tale direttiva debbano essere interpretati nel senso che riguardano una lavoratrice che si sottopone a fecondazione in vitro qualora, al momento della comunicazione del licenziamento, la fecondazione dei suoi ovuli con gli spermatozoi del partner abbia già avuto luogo, e si sia quindi già in presenza di ovuli fecondati in vitro, ma questi non siano stati ancora trasferiti nell’utero della lavoratrice. 30 Occorre osservare, in via preliminare, che la fecondazione in vitro consiste nella fecondazione di un ovulo al di fuori del corpo della donna. Secondo la Commissione delle Comunità europee, tale operazione comprende diverse fasi quali, in particolare, la stimolazione ormonale delle ovaie finalizzata alla maturazione di più ovuli contemporaneamente, il prelievo follicolare, il prelievo degli ovuli, la fecondazione di uno o più ovuli con spermatozoi precedentemente preparati, il trasferimento dell’ovulo o degli ovuli fecondati nell’utero il terzo o il quinto giorno seguente il prelievo degli stessi, tranne nel caso in cui gli ovuli fecondati siano conservati mediante congelazione, e l’impianto. 31 Riguardo alla direttiva 92/85, occorre ricordare che il suo scopo consiste nel promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. 32 In tale ambito, la Corte ha parimenti rilevato che lo scopo perseguito dalle norme del diritto comunitario sul principio di parità tra i sessi nel settore dei diritti delle donne gestanti o puerpere è quello di tutelare le lavoratrici prima e dopo il parto (v. sentenze 8 settembre 2005, causa C‑191/03, McKenna, Racc. pag. I‑7631, punto 42, e 11 ottobre 2007, causa C‑460/06, Paquay, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 28). 33 Già prima dell’entrata in vigore della direttiva 92/85 la Corte ha stabilito che, in forza del principio di non discriminazione e, in particolare, degli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, una tutela contro il licenziamento dev’essere riconosciuta alla donna non solo durante il congedo di maternità, ma anche durante l’intero periodo della gravidanza. Secondo la Corte, un licenziamento durante tali periodi può riguardare solo le donne e costituisce quindi una discriminazione diretta basata sul sesso (v., in tal senso, sentenze 8 novembre 1990, causa C‑179/88, Handels‑ og Kontorfunktionærernes Forbund, Racc. pag. I‑3979, punto 13; 30 giugno 1998, causa C‑394/96, Brown, Racc. pag. I‑4185, punti 16, 24 e 25; McKenna, cit., punto 47, nonché Paquay, cit., punto 29). 34 Proprio in considerazione dei rischi che un eventuale licenziamento fa gravare sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, ivi compreso il rischio particolarmente grave di spingere la lavoratrice gestante ad interrompere volontariamente la gravidanza, il legislatore comunitario ha previsto, ai sensi dell’art. 10 della direttiva 92/85, una protezione specifica per la donna sancendo il divieto di licenziamento nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità (v. sentenze 14 luglio 1994, causa C‑32/93, Webb, Racc. pag. I‑3567, punto 21; Brown, cit., punto 18; 4 ottobre 2001, causa C‑109/00, Tele Danmark, Racc. pag. I‑6993, punto 26; McKenna, cit., punto 48, e Paquay, cit., punto 30). 35 Occorre altresì rilevare che, nel corso di detto periodo, l’art. 10 della direttiva 92/85 non ha previsto alcuna eccezione o deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato e a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto giustificati motivi per tale licenziamento (citate sentenze Webb, punto 22; Brown, punto 18; Tele Danmark, punto 27, e Paquay, punto 31). 36 È alla luce degli scopi perseguiti dalla direttiva 92/85, e più in particolare dal suo art. 10, che occorre stabilire se la tutela contro il licenziamento prevista da tale disposizione si estenda ad una lavoratrice che si trovi nelle circostanze di cui alla causa principale. 37 Orbene, tanto dalla formulazione dell’art. 10 della direttiva 92/85 quanto dallo scopo principale perseguito da quest’ultima, ricordato al punto 31 della presente sentenza, emerge che, per beneficiare della tutela contro il licenziamento riconosciuta da tale articolo, la gravidanza in questione deve aver avuto inizio. 38 Al riguardo si deve osservare che, pur essendo vero, come ha rilevato il governo austriaco, che il trattamento di fecondazioni artificiali e cellule in via di sviluppo costituisce un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri, contrassegnato dalle molteplici tradizioni e sistemi di valore di questi ultimi, la Corte non è chiamata, con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad un’interpretazione giuridica delle disposizioni rilevanti della direttiva 92/85, tenuto conto della formulazione, dell’economia e degli scopi di quest’ultima. 39 Orbene, dal quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 92/85 emerge che il divieto di licenziamento previsto nel suo art. 10 ha lo scopo di evitare che il rischio di licenziamento per motivi connessi al loro stato possa avere effetti dannosi sulla condizione fisica e psichica delle lavoratrici gestanti. 40 È pertanto evidente, come ha peraltro rilevato il governo austriaco, che al fine di garantire la sicurezza e la tutela delle lavoratrici gestanti deve tenersi conto della prima data possibile di inizio della gravidanza. 41 Tuttavia, anche supponendo, nel caso di una fecondazione in vitro, che tale data coincida con il momento del trasferimento degli ovuli fecondati nell’utero della donna, non è ammissibile, per ragioni relative al rispetto del principio della certezza del diritto, che la tutela istituita dall’art. 10 della direttiva 92/85 sia estesa al caso in cui, alla data della comunicazione del licenziamento, il trasferimento degli ovuli fecondati in vitro nell’utero della lavoratrice non sia ancora avvenuto. 42 Infatti, come emerge dalle osservazioni sottoposte alla Corte e dai paragrafi 43‑45 delle conclusioni dell’avvocato generale, prima del trasferimento nell’utero della donna interessata, i detti ovuli fecondati possono, in taluni Stati membri, essere conservati per un periodo più o meno esteso; la normativa nazionale in questione nella causa principale prevede a tale proposito la possibilità di conservare gli ovuli fecondati fino a dieci anni. Di conseguenza, l’applicazione ad una lavoratrice della tutela contro il licenziamento sancita dall’art. 10 della direttiva 92/85 prima dell’impianto degli ovuli fecondati potrebbe avere l’effetto di concedere il beneficio di tale tutela anche qualora il trasferimento degli ovuli fecondati, per un qualsivoglia motivo, sia rimandato per diversi anni o addirittura si sia definitivamente rinunciato a un tale trasferimento, e la fecondazione in vitro sia stata praticata come semplice misura cautelativa. 43 Tuttavia, anche se la direttiva 92/85 non è applicabile a una situazione come quella di cui alla causa principale, nondimeno la Corte, conformemente alla propria giurisprudenza, può prendere in considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare la propria questione (sentenze 12 dicembre 1990, causa C‑241/89, SARPP, Racc. pag. I‑4695, punto 8, e 26 aprile 2007, causa C‑392/05, Alevizos, Racc. pag. I‑3505, punto 64). 44 Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte i governi ellenico e italiano, nonché la Commissione, hanno suggerito che, pur non essendo possibile inferire dalla direttiva 92/85 la tutela contro il licenziamento di una lavoratrice in una situazione come quella di cui alla causa principale, tale lavoratrice potrebbe eventualmente far valere la tutela contro la discriminazione fondata sul sesso riconosciuta dalla direttiva 76/207. 45 A tale proposito occorre ricordare che l’art. 2, n. 1, della direttiva 76/207 precisa che «il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia». Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della medesima direttiva, «[l]’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso». 46 Come emerge dal punto 33 della presente sentenza, la Corte ha già stabilito che, in forza del principio di non discriminazione e, in particolare, degli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, una tutela contro il licenziamento dev’essere riconosciuta alla donna non solo durante il congedo di maternità, ma anche durante l’intero periodo della gravidanza. Secondo la Corte, il licenziamento di una lavoratrice a motivo della sua gravidanza o per un motivo basato sostanzialmente su tale stato può riguardare solo le donne e costituisce quindi una discriminazione diretta basata sul sesso (v., in tal senso, citate sentenze Handels‑ og Kontorfunktionærernes Forbund, punto 13; Brown, punti 16, 24 e 25; McKenna, punto 47, nonché Paquay, punto 29). 47 Poiché la decisione di rinvio non indica le ragioni per le quali la Flöckner ha licenziato la sig.ra Mayr, spetta al giudice del rinvio determinare le circostanze rilevanti della controversia di cui è investito e, poiché il licenziamento della ricorrente nella causa principale è intervenuto quando la stessa era in congedo di malattia per sottoporsi ad un trattamento di fecondazione in vitro, verificare se un siffatto licenziamento sia basato essenzialmente sul fatto che essa si sottoponesse a tale trattamento. 48 Qualora fosse questa la ragione del licenziamento della ricorrente nella causa principale, occorre determinare se essa valga indistintamente per i lavoratori dei due sessi o se, invece, sia valida esclusivamente per una delle due categorie. 49 La Corte ha già rilevato che, poiché i lavoratori dei due sessi sono esposti alle malattie nella stessa misura, se una lavoratrice viene licenziata per assenza dovuta a malattia nelle stesse condizioni di un lavoratore non vi è discriminazione diretta fondata sul sesso (v. citata sentenza Handels‑ og Kontorfunktionærernes Forbund, punto 17). 50 Certamente i lavoratori di entrambi i sessi possono avere un impedimento di carattere temporaneo ad effettuare il loro lavoro a causa dei trattamenti medici che debbano seguire. Tuttavia, gli interventi di cui trattasi nella causa principale, vale a dire un prelievo follicolare e il trasferimento nell’utero della donna degli ovuli prelevati immediatamente dopo la loro fecondazione, riguardano direttamente soltanto le donne. Ne consegue che il licenziamento di una lavoratrice a causa essenzialmente del fatto che essa si sottoponga a questa fase importante di un trattamento di fecondazione in vitro costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. 51 Ammettere la possibilità che un datore di lavoro licenzi una lavoratrice in circostanze come quelle di cui alla causa principale sarebbe peraltro in contrasto con la finalità di tutela perseguita dall’art. 2, n. 3, della direttiva 76/207, qualora, ovviamente, il licenziamento si fondasse essenzialmente sul fatto del trattamento di fecondazione in vitro e, in particolare, sugli interventi specifici menzionati nel punto precedente che un siffatto trattamento comporta. 52 Di conseguenza, gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 ostano al licenziamento di una lavoratrice che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, si trovi in una fase avanzata di un trattamento di fecondazione in vitro, vale a dire tra il prelievo follicolare e il trasferimento immediato degli ovuli fecondati in vitro nel suo utero, purché sia dimostrato che il licenziamento si fondi essenzialmente sul fatto che l’interessata si sia sottoposta a tale trattamento. 53 Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, occorre rispondere alla questione sottoposta che la direttiva 92/85 e, in particolare, il divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti previsto nell’art. 10, punto 1, di tale direttiva devono essere interpretati nel senso che non riguardano una lavoratrice che si sottopone a fecondazione in vitro qualora, al momento della comunicazione del licenziamento, la fecondazione dei suoi ovuli con gli spermatozoi del partner abbia già avuto luogo, e si sia quindi già in presenza di ovuli fecondati in vitro, ma questi non siano stati ancora trasferiti nell’utero della lavoratrice. 54 Tuttavia, gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 ostano al licenziamento di una lavoratrice che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, si trovi in una fase avanzata di un trattamento di fecondazione in vitro, vale a dire tra il prelievo follicolare e il trasferimento immediato degli ovuli fecondati in vitro nel suo utero, purché sia dimostrato che il licenziamento si fondi essenzialmente sul fatto che l’interessata si sia sottoposta a tale trattamento. Sulle spese 55 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: La direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), e, in particolare, il divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti di cui all’art. 10, punto 1, di tale direttiva devono essere interpretati nel senso che non riguardano una lavoratrice che si sottopone a fecondazione in vitro qualora, al momento della comunicazione del licenziamento, la fecondazione dei suoi ovuli con gli spermatozoi del partner abbia già avuto luogo, e si sia quindi già in presenza di ovuli fecondati in vitro, ma questi non siano stati ancora trasferiti nell’utero della lavoratrice. Gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, ostano al licenziamento di una lavoratrice che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, si trovi in una fase avanzata di un trattamento di fecondazione in vitro, vale a dire tra il prelievo follicolare e il trasferimento immediato degli ovuli fecondati in vitro nel suo utero, purché sia dimostrato che il licenziamento si fondi essenzialmente sul fatto che l’interessata si sia sottoposta a tale trattamento.