COMMENTO ALLA SENTENZA DEL TRIB. DI ROMA DEL 15-05-2017 (leggi qui il testo integrale della sentenza)
Il rapporto tra diritto e arte è da sempre terreno di accesi dibatti, sia dottrinali che giurisprudenziali. La sentenza in commento affronta due questioni particolarmente controverse: la prima riguarda la possibilità di chiedere l’accertamento giudiziale della paternità di un’opera d’arte nell’ipostesi in cui l’attribuzione sia controversa, ossia, in altre parole, se sussista un diritto, ed un conseguente potere giudiziale, di accertare con crisma di verità l’autenticità di un’opera; la seconda, invece, verte sulla facoltà del proprietario di un’opera d’arte di chiedere ad un soggetto, cui il mondo dell’arte attribuisce credibilità, il risarcimento dei danni derivanti dal rilascio di un parere che condiziona la commerciabilità del bene.
La controversia origina da una compravendita avente ad oggetto un’opera di un noto pittore (“s
enza titolo 973/1978 smalto su tela” ), conclusa tra una società attiva nel campo dell’intermediazione e commercializzazione di opere d’arte e un collezionista.L’acquirente, divenuto proprietario, vedeva rifiutata la propria richiesta di far inserire l’opera nell’Archivio generale del pittore, in quanto, a parere della fondazione responsabile, non sussistevano “elementi sufficienti per poter attribuire tale opera alla mano del pittore defunto”. Pertanto, il collezionista otteneva dal venditore la refusione del prezzo pagato, mediante permuta con un’opera certificata di pari valore.
A seguito di tali avvenimenti il venditore citava in giudizio la fondazione e il legale rappresentante della stessa, avanzando una duplice richiesta:
– che venisse accertata giudizialmente la paternità dell’opera il cui inserimento nell’archivio generale era stato negato;
– che i responsabili del rifiuto venissero condannati al risarcimento del danno extracontrattuale derivante dalla potenziale incommerciabilità dell’opera. Parte attrice, infatti, sosteneva che il mancato riconoscimento dell’autenticità dell’opera da parte della fondazione e il conseguente rifiuto di inserire la stessa nell’Archivio generale dell’artista, circostanze queste che di fatto rendevano il bene incommerciabile, fossero dipese da un parere rilasciato in violazione dei più basilari principi di diligenza professionale.
Il giudice, per le ragiono di cui si dirà, seppur in modo conciso, di seguito, respingeva in toto la domanda attorea.
In merito alla prima domanda, l’estensore ha rigettato la stessa fondando il proprio giudizio su due ragioni, una di diritto, l’altra di fatto.
Quanto alla prima, nella sentenza viene, innanzitutto, posto in evidenza come la funzione propria dell’azione di cognizione sia quella di determinare la certezza o meno sull’esistenza di un diritto.
Ebbene, nel caso di specie, parte attrice, nel domandare giudizialmente l’accertamento della paternità dell’opera, chiede “non l’accertamento di un diritto, bensì la verifica dell’esistenza di tutta una serie di qualità del bene, quali il tratto, i colori, l’uso di una determinata tela o di un certo soggetto, i quali, se insieme considerati, possono condurre e concorrere ad un giudizio di probabilità in relazione all’esecuzione da parte di un determinato artista, che operava secondo schemi noti. Ma l’azione giudiziale non può che arrestarsi di fronte alla percezione delle caratteristiche dell’opera. Il giudizio di sintesi sulla riconducibilità dell’opera pittorica all’artista non può essere demandato al giudice, poiché, come si è detto, l’azione di accertamento, anche mero, è comunque finalizzata alla sussistenza di diritti, non di dati fattuali”.
Dal punto di vista fattuale, poi, il giudice argomenta che il giudizio sull’autenticità di un opera, essendo quello degli esperti d’arte un settore di nicchia, dove sono pochissimi coloro che si occupano di un determinato artista, si risolverebbe in un giudizio di maggiore credibilità di un esperto piuttosto che di un altro. Infatti, al fine di verificare l’autenticità di un’opera d’arte “le corti si limiterebbero a disporre una consulenza tecnica di ufficio e ad operare un giudizio di credibilità di tale c.t.u.; l’accertamento giudiziale sull’autenticità dell’opera sarebbe quindi un’expertise validata dalle corti, trasportando in tribunale la dialettica tra diversi pareri che regna nel mondo dell’arte”.
Infine, quanto alle ragioni che hanno portato alla reiezione della domanda risarcitoria di parte attrice, è stato rilevato come, pur potendosi ammettere che un parere proveniente da soggetti cui il mondo dell’arte attribuisce credibilità sia potenzialmente foriero di un danno risarcibile, tale parere dovrebbe “essere di marchiana grossolanità e dovrebbe strutturarsi ex se come atto illecito”. Nella specie, per contro, “non è stata data prova del fatto che la perizia della convenuta fosse caratterizzata dalla dolosa volontà di pregiudicare l’attrice. E d’altronde l’expertise era formulata con caratteri dubitativi che escludono alla radice un’ipotesi di dolo”.
Riccardo Orlandi