Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 16752/13
Con la sentenza annotata gli ermellini confermano un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza (tra le altre Cass. 14.10.2009 n. 21834), nonostante si registri qualche dissonanza in dottrina. Secondo il principio peraltro già fatto proprio dalla sentenza impugnata (che aveva ritenuto irrilevanti le cessioni di beni mobili ed immobili della società e le critiche svolte sul punto dal collegio sindacale in presenza di un attivo ritenuto sufficiente a soddisfare tutto il passivo), laddove si debba valutare l’esistenza dello stato di insolvenza di una società in liquidazione, occorre dare rilievo all’accertamento della sufficienza o meno dell’attivo a soddisfare in via di liquidazione tutti i debiti della società, sicché il giudice deve valutare “ai fini dell’applicazione dell’articolo 5 Legge Fallimentare, se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare uguale e integrale soddisfacimento dei creditori sociali”.
Aggiungono i giudici di legittimità che l’attivo patrimoniale, per escludere l’insolvenza, dev’essere idoneo ad assicurare, all’esito della liquidazione, anche il soddisfacimento dei creditori muniti di titolo esecutivo, pur potendosi ammettere che il concreto soddisfacimento del credito contestato sia rinviato. Inoltre nella valutazione della sufficienza dell’attivo si deve tener conto della situazione esistente al momento della dichiarazione di fallimento e, pertanto, non è indifferentemente accertare se atti di transazione con i creditori istanti siano avvenuti prima o dopo la dichiarazione di fallimento.