Sent. Cass., Sez. 1, 5 giugno 2013, n. 14197
Le donazioni indirette sono gli atti che producono gli effetti economici propri della donazione, pur non essendo donazioni sotto l’aspetto tecnico giuridico.
L’esempio più frequente di donazione indiretta è sicuramente l’acquisto di un immobile a favore del figlio utilizzando denaro dei genitori.
E’ opinione largamente condivisa in giurisprudenza che l’intestazione in nome del figlio di un bene immobile acquistato dai genitori configura una donazione indiretta dell’immobile, sia nel caso di acquisto da parte del figlio con il denaro appositamente fornito dai genitori, sia nel caso di pagamento contestuale da parte dei genitori, sia nel caso di conclusione del contratto da parte dei genitori a favore del figlio.
Qualora il donatario sia coniugato in regime di comunione legale, il bene non resta assoggettato al predetto regime ai sensi dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. b), è infatti, sufficiente la dimostrazione del collegamento tra il negozio- mezzo e l’arricchimento del soggetto onorato per spirito di liberalità.
Nel caso di specie (Sent. Cass., Sez. 1, 5 giugno 2013, n. 14197), il giudice esclude dalla comunione legale, l’immobile acquistato dal marito con denaro messo a disposizione dal padre, proprio in quanto frutto di una donazione indiretta da parte del genitore dello stesso, statuendo altresì, che non è necessaria la presenza del coniuge non acquirente all’atto dell’acquisto e nemmeno è necessaria la prova scritta del dazione del denaro da parte del donante e del collegamento di essa all’acquisto del bene donato, essendo l’oggetto di prova non il contratto, bensì il comportamento e il suo fine.
Testo integrale
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 5 giugno 2013, n.14197
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 1350, 2725 e 2729 c.c., si censura la negazione della necessità della prova scritta dell’attribuzione patrimoniale del padre in favore del figlio mediante il pagamento del prezzo dell’immobile con lo scopo di donarlo al medesimo, che lo aveva accettato o quantomeno non rifiutato. Si osserva che tale atto ha natura negoziale costituendo il negozio-fine della donazione indiretta, dunque è soggetto alla disciplina codicistica dettata per i contratti e, in particolare, alle norme sopra richiamate sulla forma scritta (dei contratti con cui sia trasferita la proprietà di un immobile).
1.1. – Il motivo è infondato. Il trasferimento della proprietà dell’immobile è stato operato dall’atto di compravendita stipulato tra venditore e compratore/donatario, e tale atto pacificamente presentava il requisito formale di cui all’art. 1350 c.c.. Né per la donazione indiretta è richiesta la forma prevista dalla legge per la donazione, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 c.c., nel prevedere le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione (ex multis, Cass. 1446/1985, 4623/2001, 5333/2004, 1955/2007). Il fine di liberalità e la sua realizzazione da parte del donante mediante il pagamento del prezzo dell’acquisto fatto dal donatario ben potevano, dunque, essere provati per testimoni o presunzioni.
2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, ai fini della sottrazione dell’acquisto per donazione indiretta alla comunione è necessaria l’espressa dichiarazione del coniuge acquirente ai sensi dell’art. 179, primo comma lett. f), c.c., nonché la partecipazione del coniuge non acquirente all’atto di acquisto e la sua adesione alla predetta dichiarazione del coniuge acquirente, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo. L’interpretazione estensiva delle richiamate disposizioni alla donazione indiretta si imporrebbe, secondo la ricorrente, agli stessi fini di certezza e di tutela dei terzi sottesi alle fattispecie ivi espressamente previste, in considerazione dell’analogo carattere ‘occulto’ dell’acquisto in capo al solo coniuge contraente nella donazione indiretta, che esteriormente non si configura come atto di liberalità.
2.1. – Il motivo è infondato. Il Collegio ritiene infatti di dare continuità all’indirizzo già espresso da questa Corte, secondo il quale la donazione indiretta rientra nella previsione di cui alla lett. b) del primo comma dell’art. 179 c.c., onde non trova applicazione, per precisa scelta legislativa, la disposizione di cui alla lett. f) del medesimo comma, né quella di cui al secondo comma, che alla lett. b) non fa riferimento (Cass. 11327/1997, 4680/1998, 15778/2000), considerato anche che non è detto che i criteri dettati dall’art. 179 c.c. per la qualificazione dei beni come personali offrano sempre assoluta certezza (Cass. 4680/1998, cit., in motivaz.).
3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 345 e 356 c.p.c. e nullità della sentenza, si lamenta che la Corte d’appello abbia deciso utilizzando una prova testimoniale già dichiarata inammissibile dal giudice di primo grado, con statuizione non impugnata in appello, e comunque senza che la Corte stessa ne avesse disposto l’ammissione. Si tratta della prova articolata dall’attore nella parte in cui si chiedeva al padre se, con il conferimento al figlio della somma necessaria al pagamento del prezzo, avesse voluto arricchire lo stesso dell’immobile per spirito di liberalità: prova dichiarata inammissibile dal Tribunale in quanto relativa a un fatto non provabile per testi, rappresentato – si legge nel ricorso – ‘dal trasferimento immobiliare in capo al figlio anziché alla comunione e che lo stesso Tribunale, con questo provvedimento, riconduce espressamente alla necessità di una prova scritta’.
3.1. – Il motivo è inammissibile. Il Tribunale aveva accolto la domanda dell’attore avendo accertato, grazie proprio alla testimonianza di suo padre (e ad altre prove), che era stato quest’ultimo a fornire il danaro occorrente per l’acquisto dell’immobile. Questo stesso fatto la Corte d’appello ha correttamente posto a fondamento della propria decisione. Il fatto indicato dalla ricorrente – non meglio identificabile se non in base alle sue stesse parole, non essendo riportato in ricorso il relativo capitolo di prova – e cioè il ‘trasferimento immobiliare in capo al figlio anziché alla comunione’, non è un fatto, bensì un effetto giuridico scaturente dai fatti accertati; dunque è del tutto fuori luogo porre, con riferimento ad esso, questioni di prova (le prova dovendo riguardare, piuttosto, i fatti produttivi di quell’effetto).
4. – Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., è inammissibile perché manca del momento di sintesi della censura necessario ai sensi dell’art. 366 bis, secondo comma, c.p.c. (per tutte, Cass. Sez. Un. 20603/2007), ancora vigente alla data della pubblicazione della sentenza impugnata, anteriore a quella dell’entrata in vigore della 1. 18 giugno 2009, n. 69, che ha abrogato la predetta norma.
5. – Il ricorso va in conclusione respinto, con condanna della ricorrente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.