Denominazione di origine protetta, prodotti confezionati, etichette , illecito amministrativo

 

Tribunale di Bologna Sentenza n. 1653/2014 pronunziata il 07.05.2014 (depositata il 12.06.2014 )

 Secondo il Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali l’autorizzazione del Consorzio a tutela della denominazione di origine protetta deve essere ottenuta per ciascun prodotto posto in commercio, cosicché l’impiego commerciale di prodotti in assenza di autorizzazione costituisce una diversa violazione, con rispettiva contestazione di illecito amministrativo, per ciascun prodotto considerato.

Nel caso di specie, distinte denominazioni d’origine protette (“Parmigiano Reggiano“; “Grana Padano“; “Pecorino Romano“) sono state utilizzate per etichettare e, quindi, contrassegnare migliaia di prodotti differenti per tipologia, natura e contenuto (sugo alla siciliana, pesto alla genovese, sugo alla sorrentina, ecc.), sussumibili in tredici gruppi omogenei.

Il Tribunale ha confermato le ordinanze ingiunzione con cui sono state irrogate le sanzioni ritenendo che l’utilizzo ripetuto e, nei termini sopra esposti, anche differenziato, costituisce per ciò una pluralità di condotte distinte, integranti un numero di illeciti amministrativi corrispondente a quello dei gruppi omogenei di prodotto recanti le denominazioni sopra indicate.

Infine ha ritenuto che  la locuzione “impiega commercialmente” non   implica  che il prodotto debba essere già stato posto in commercio e che nella fattispecie l’enorme quantità rinvenuta e sequestrata di prodotti confezionati, provvisti di etichette  recanti denominazioni d’origine protette a fini specificamente di presentazione promozionale e descrizione della merce, l’ubicazione di tali prodotti in luoghi non segregati, la validità ed idoneità merceologica ed alimentare della merce, costituiscono circostanze di fatto che, per gravità, precisione e concordanza, devono  indurre a qualificare la detenzione di detti prodotti come propedeutica all’imminente immissione sul mercato

La sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Pasquale Liccardo – Presidente

dott. Maurizio Atzori – Giudice

dott. Giovanni Salina – Giudice Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nelle riunite cause civili di I Grado iscritte ai NN. r.g. 10770/2013  12482/2013  13447/2013 promosse da:

ALFABETA S.p.A. (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Sandra Gruppioni e dell’avv. Francesco Soncini (c.f. …omissis…), elettivamente domiciliata in Via Caprarie 7, 40124 Bologna, presso il difensore avv. Sandra Gruppioni.

XX (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Sandra Gruppioni e dell’avv. Francesco Soncini (c.f. …omissis…), elettivamente domiciliata in Via Caprarie 7, 40124 Bologna, presso il difensore avv. Sandra Gruppioni..

RICORRENTI

Contro

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI (c.f. …omissis…), con il patrocinio dell’avv. Fabio Fiorbianco presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Via Quintino Sella 42, Roma.

CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi ex artt. 22 e segg. L. n. 689/1981 e 120 c. IV D.lvo n. 30/2005, XX, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della società ‘Alfabeta’ S.p.A., proponeva opposizione avverso n. 13 ordinanze con cui il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali aveva loro ingiunto di pagare, in solido, la complessiva somma di Euro 32.500,00, oltre spese, a titolo di sanzione relativa all’illecito amministrativo di cui all’art. 1 lett. c.) D.lvo n. 297/2004, per aver prodotto, confezionato, posto in commercio o detenuto merce e materiale per etichettatura recanti riferimento a denominazioni d’origine protette (“Parmigiano Reggiano“; “Grana Padano“; “Pecorino Romano“) senza la necessaria autorizzazione del Consorzio titolare.

In particolare, i ricorrenti, quali motivi di opposizione, deducevano : 1) illegittimità delle ordinanze oggetto di impugnazione per omessa audizione della parte interessata che ne aveva fatto richiesta ex art. 18 c. I L. n. 689/1981; 2) illegittimità delle predette ordinanze per erroneo frazionamento in una pluralità di reati della unitaria condotta addebitata ai ricorrenti; 3) illegittimità degli impugnati provvedimenti per mancata applicazione dell’esenzione di cui al citato art. 1 D.lvo n. 297/2004; 4) illegittimità delle suddette ordinanze per mancata applicazione retroattiva dell’autorizzazione concessa dai Consorzi titolari delle privative oggetto di causa; 5) illegittimità delle opposte ordinanze per insussistenza dell’illecito loro contestato.

Concludevano, pertanto, gli opponenti chiedendo che l’adìto Tribunale previa declaratoria di illegittimità delle ordinanze oggetto di gravame, revocasse i provvedimenti impugnati o, in subordine, riducesse la sanzione pecuniaria in proporzione al numero degli illeciti effettivamente sussistenti.

Si costituiva in giudizio il Ministero convenuto, il quale, contestando la fondatezza dei motivi di gravame ex adverso dedotti, concludeva chiedendo il rigetto della opposizione proposta da controparte.

All’udienza del 14/11/2013, il Tribunale, in composizione collegiale, disponeva la riunione dei procedimenti e, successivamente, all’udienza dell’8/5/2014, sentiti i difensori delle parti, tratteneva la causa in decisione, provvedendo come da dispositivo letto in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione proposta dai ricorrenti volta all’annullamento, totale o, in subordine, parziale, delle ordinanze-ingiunzioni di cui in premessa è infondata, in fatto ed in diritto, e va quindi rigettata.

Con il primo motivo di gravame, parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità delle ordinanze oggetto di impugnazione in ragione della mancata audizione della parte interessata che ne aveva fatto richiesta ex art. 18 c. I L. n. 689/81, asserendo, secondo citato orientamento giurisprudenziale (Cass. Civ. Sez. 121.8.97. n. 7811), che l’incombente pretermesso costituisca condizione di validità del procedimento e dell’atto amministrativo, nel senso che la sua violazione produrrebbe un vizio insanabile di nullità del provvedimento.

La più recente giurisprudenza di legittimità, cui il Collegio aderisce, condividendo i principi enunciati, ha, tuttavia, statuito che “In tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative [ … ] la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale” (Cass. Sez. Un. n. 28.01.2010 n. 1786).

Infatti, il giudice adito mediante opposizione ex art. 22 L. n. 689/1981 ha cognizione piena nella valutazione delle deduzioni difensive proposte in sede amministrativa ed eventualmente non precedentemente esaminate oppure respinte senza alcuna motivazione, sicché il mancato uso della facoltà di cui al citato art. 18, comma I, L. n. 689/1981 non arreca alcuna lesione al diritto di tutela del trasgressore, atteso che, come detto, quelle ragioni potranno essere integralmente prospettate in sede giurisdizionale.

Con il secondo motivo, gli opponenti assumono l’illegittimità delle impugnate ordinanze per aver ingiustamente frazionato in una pluralità di illeciti ciò che, invece, la normativa dettata dall’art. 1, lett. c), D.lvo 19.11.2004 n. 297 sanziona in modo complessivo ed unitario.

Secondo i ricorrenti, la condotta integrante illecito amministrativo, infatti, consisterebbe nell’impiego di uno o più denominazioni protette per una stessa tipologia di prodotti (“sughi” per la pasta), al di là del fatto che l’ingiusto utilizzo avvenga in modo reiterato.

Al contrario, l’amministrazione convenuta sostiene come l’autorizzazione del Consorzio a tutela della denominazione di origine protetta debba essere ottenuta per ciascun prodotto posto in commercio, cosicché l’impiego commerciale di prodotti in assenza di autorizzazione costituisce una diversa violazione, con rispettiva contestazione di illecito amministrativo, per ciascun prodotto considerato.

Da un’attenta lettura dei verbali di contestazione redatti dal Nucleo dei Carabinieri di Parma si evince che, nel caso di specie, distinte denominazioni d’origine protette (“Parmigiano Reggiano“; “Grana Padano“; “Pecorino Romano“) sono state utilizzate per etichettare e, quindi, contrassegnare migliaia di prodotti differenti per tipologia, natura e contenuto (sugo alla siciliana, pesto alla genovese, sugo alla sorrentina, ecc.), sussumibili in tredici gruppi omogenei.

Tale utilizzo ripetuto e, nei termini sopra esposti, anche differenziato, costituisce per ciò una pluralità di condotte distinte, integranti un numero di illeciti amministrativi corrispondente a quello dei gruppi omogenei di prodotto recanti le denominazioni sopra indicate.

Considerato che la norma della lett. c) dell’art. i D.lvo 297/2004 sanziona l’utilizzo ai fini commerciali di “prodotti, composti, elaborati o trasformati“, occorre procedere ad un’attività interpretativa volta a valutare l’operato dell’autorità amministrativa.

Un primo possibile significato che può ricavarsi potrebbe essere quello per cui la disposizione in commento sanzioni la commercializzazione di ogni prodotto in assenza di apposita autorizzazione.

Tale interpretazione appare tuttavia in contrasto con il tenore letterale della norma stessa che utilizza il plurale (prodotti, composti, elaborati o trasformati) per indicare l’oggetto della condotta illecita.

Viepiù, qualora il Legislatore avesse voluto sanzionare attraverso differenti illeciti la commercializzazione di ogni singolo prodotto, avrebbe presumibilmente inserito il pronome indicativo “ciascun“, “ogni“, o altri, ed avrebbe conseguentemente utilizzato le parole prodotti, composti, elaborati o trasformati declinandoli al singolare.

Pertanto, una simile interpretazione appare fuorviante e deve essere respinta.

Una seconda esegesi dell’articolo in commento, che coincide con quella offerta dai ricorrenti, porterebbe a sanzionare, attraverso la previsione di un unico illecito, il comportamento complessivo di chi impiega commercialmente una o più denominazione di origine protetta.

In altre parole, la norma non sanzionerebbe la messa in commercio di ogni prodotto frazionando il comportamento illecito in più singoli illeciti differenziati.

Giova precisare che, se è pur vero che la disposizione in esame non contempla singoli illeciti differenziati per ogni prodotto commercializzato, è altrettanto ragionevole che la norma abbia inteso riferirsi a più prodotti, composti, elaborati o trasformati che rientrino nello stesso gruppo di prodotti omogenei.

Venendo quindi ad illustrare quella che è l’ultima interpretazione ricavabile dalla disposizione in esame, occorre far notare come la norma sanzioni quella condotta che abbia ad oggetto prodotti, composti, elaborati o trasformati “che rechino nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità” il riferimento ad una denominazione di origine protetta.

L’etichettatura, la presentazione, la pubblicità dei prodotti vengono, quindi, ad assumere un ruolo determinante nella fase applicativa della sanzione, poiché l’amministrazione procedente dovrà contestare tanti diversi illeciti quanti sono i gruppi omogenei di prodotti, ovvero gli insiemi di prodotti che presentano le medesime caratteristiche.

Conformemente all’interpretazione che è stata data alla lett. c) dell’art. 1 del D.lvo 297/2004, non può ritenersi, infatti, come i diversi prodotti costituiscano un solo gruppo di prodotti, rectius, di sughi.

Non appare neppure corretto ritenere, come sostiene invece parte ricorrente, che nel caso di specie avrebbero potuto essere considerate solamente tre le diverse violazioni poste in essere, l’una per l’utilizzazione della denominazione di origine protetta “Grana Padano“, l’altra per quella di “Parmigiano Reggiano” e l’ultima, infine, per quella di “Pecorino Romano“.

Tale argomentazione, che si fonda sulla correlazione tra prodotto ed ingrediente (rectius, denominazione di origine protetta), assume erroneamente l’univocità della lesione alla denominazione protetta, a prescindere dal numero di prodotti o dai gruppi omogenei di prodotti commercializzati.

Sennonché, come già detto, nel caso di specie sono ravvisabili diversi gruppi di prodotti aventi proprie caratteristiche di etichettatura, pubblicitarie o promozionali.

Del resto, secondo recente giurisprudenza di legittimità, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, la L. n. 689 del 1981, art. 8, prevede il cumulo cosiddetto “giuridico” delle sanzioni per le sole ipotesi di concorso formale, omogeneo od eterogeneo, di violazioni, ossia nelle ipotesi di più violazioni commesse con un’unica azione od omissione; non lo prevede, invece, nel caso di molteplici violazioni commesse con una pluralità di condotte.

In tale ultima ipotesi non è applicabile per analogia la normativa in materia di continuazione dettata per i reati dall’art. 81 c.p., sia perché la menzionata L. n. 689 del 1981, art. 8, al comma 2, prevede una simile disciplina solo per le violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria (evidenziandosi così l’intento del legislatore di non estendere detta disciplina ad altri illeciti amministrativi), sia perché la differenza qualitativa tra illecito penale e illecito amministrativo non consente che attraverso l’interpretazione analogica le norme di favore previste in materia penale possano essere estese alla materia degli illeciti amministrativi (Cass. Civ. 4 marzo 2011 n. 5252).

Per quel che concerne il terzo motivo di opposizione, l’esenzione invocata dai ricorrenti a norma dell’art. 1, lett. c), D.lvo. n. 297/2004, non è, nella fattispecie in esame, applicabile, in quanto il riferimento alla denominazione d’origine protetta è contenuto non solo tra gli ingredienti del prodotto confezionato, ma è operato anche e soprattutto a fini descrittivi e di presentazione promozionale della merce, con conseguente lesione dei diritti dei Consorzi titolari delle suddette privative.

In relazione al quarto motivo (insussistenza dei contestati illeciti per sopravvenuta concessione dell’autorizzazione), è sufficiente rilevare come il D.lvo n. 297/2004 sanzioni l’uso non autorizzato di DOP, quale illecito a consumazione istantanea, senza, tuttavia, prevedere l’efficacia sanante retroattiva del successivo eventuale rilascio della prescritta autorizzazione.

Né dell’invocata sanatoria può farsi applicazione in via analogica, ostando a ciò la specialità dell’istituto e della normativa che la prevedono.

Nel silenzio della disposizione normativa, se da un lato può ritenersi che la concessione dell’autorizzazione da parte del Consorzio valga a sanare i rapporti tra lo stesso e l’imprenditore, dall’altro non può affermarsi lo stesso per quanto concerne i rapporti tra il trasgressore e l’amministrazione procedente.

Quanto all’ultima censura, i ricorrenti contestano le ordinanze-ingiunzione loro notificate perché carenti di un presupposto normativo.

In particolare, affermando che la locuzione “impiega commercialmente” di cui all’art. 1 del D.lvo 297/2004 sarebbe da intendersi nel senso di “impiega a fini commerciali“, gli stessi eccepiscono che la effettiva commercializzazione sarebbe stata di fatto impedita proprio dall’intervenuto sequestro.

Parte convenuta, al contrario, sostiene che le operazioni di etichettatura svolte da controparte erano di per sé sufficienti a qualificare l’attività come impiego commerciale, in maniera diretta o indiretta, di denominazioni di origine protetta, sussumibile, pertanto, nella condotta punita dalla norma in commento.

In assenza di una interpretazione autentica, occorre nuovamente procedere ad un’attività esegetica della disposizione citata.

Una prima interpretazione che può trarsi dalla lettura della norma può essere quella fornita da parte convenuta che sostiene come anche le sole operazioni di etichettatura costituiscano attività di impiego commerciale.

Tale lettura, che si fonda sulla rilevanza che ha l’apposizione di un’etichetta nel sistema alimentare, appare in realtà troppo rigida e foriera di applicazioni fuorvianti.

Condividendo tale tesi, infatti, si potrebbe concludere per l’illiceità dell’attività di detenzione di confezioni recanti un’etichettatura contenente denominazioni protette anche per finalità estranee a scopi commerciali, quali quelle di valutarne l’efficacia comunicativa.

Un secondo significato della norma, fatto proprio dai ricorrenti, è quello per cui la locuzione sarebbe da intendersi come destinazione effettiva al commercio del prodotto.

Tale interpretazione, seppure più garantista nei confronti del trasgressore, porta ad escludere dall’ambito di applicazione della norma quelle condotte che, pur rientrando all’interno dell’attività commerciale del soggetto, appaiono come prodromiche o preparatorie alla messa in commercio del prodotto.

Nel caso di specie, invece, l’enorme quantità rinvenuta e sequestrata di prodotti confezionati, provvisti di etichette, come detto, recanti denominazioni d’origine protette a fini specificamente di presentazione promozionale e descrizione della merce, l’ubicazione di tali prodotti in luoghi non segregati e non inaccessibili, la validità ed idoneità merceologica ed alimentare della merce, costituiscono circostanze di fatto che, per gravità, precisione e concordanza, inducono a qualificare la detenzione di detti prodotti come propedeutica all’imminente immissione sul mercato, come peraltro può desumersi, sia pure ex post, dal sopravvenuto rilascio della necessaria autorizzazione da parte dei Consorzi di tutela su pregressa richiesta della società opponente che intendeva farne commercio.

Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, le opposizioni proposte dai ricorrenti devono essere rigettate e, per l’effetto, le impugnate ordinanze-ingiunzioni devono essere integralmente confermate.

Infine, le spese di lite seguono la soccombenza e, quindi, come da dispositivo, vanno liquidate a carico degli opponenti in solido tra loro.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

visti gli artt. 22 e segg. L. n. 689/1981

RIGETTA

le opposizioni proposte da ‘Alfabeta’ S.p.A. e da XX e, per l’effetto, conferma le impugnate ordinanze-ingiunzioni.

CONDANNA

parte opponente all’integrale rifusione delle spese di lite che si liquidano in € 1.500,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge se ed in quanto dovuti.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale, il 7/5/2014.

Il Presidente

dott. Pasquale Liccardo

Il Giudice estensore

dott. Giovanni Salina