Categoria: Tutela del credito

Tutela del credito. Un SMS può rappresentare prova del credito ?

Decreto ingiuntivo n. 4330/2016 del 24/11/2016 del Tribunale di Genova

Il Giudice “Rilevato che dai documenti prodotti il credito risulta certo liquido ed esigibile considerato che sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 633, 634, 641 c.p.c. ma non quelle di cui all’art. 642 risultando gli sms prodotti di ignota provenienza…ingiunge a …..”

Il Tribunale, nella fattispecie, ha concesso il decreto ingiuntivo in forma  non provvisoriamente  esecutiva ravvisando in un  messaggio SMS un principio di riconoscimento del debito, ma non una prova certa.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza ligure perché il documento informatico, e dunque anche un SMS, possa fare piena prova, occorre poter riconoscere la provenienza e nella fattispecie la provenienza dei messaggi era possibile ma non accertata.

Fornire prova certa dell’effettiva provenienza di un messaggio da una determinata persona non è cosa semplice specie nell’ambito di un procedimento d’ingiunzione caratterizzato da istruzione sommaria e da assenza di contraddittorio.

Testo del provvedimento

Il Tribunale di Genova Sezione seconda In composizione monocratica

Numero 14885/2016 del Ruolo D.I.

Letto il ricorso per la concessione di decreto ingiuntivo depositato da

rilevato che dai documenti prodotti il credito risulta certo, liquido ed esigibile; considerato che sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 633, 634, 04ic.p.c., ma non di quelle di cui all’an. 642 risultando gli sms prodotti di ignota provenienza;

Ingiunge a

« Caio    di pagare alla parte ricorrente, entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione del presente decreto:

la somma di Furo 875,00 oltre interessi legali dalla dómanda al saldo; le spese di questa procedura di ingiunzione, liquidate in Furo 400,00 per competenze, in Euro 21,50 per esborsi, oltre spese forfetizzate al 15%, I.v.a. e C.p.a., oltre le successive decorrende;

Avverte

l.a parie debitrice:

  • che può proporre opposizione contro il presente decreto nel termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica;
  • che in mancanza di opposizione la parte ricorrente ha diritto di procedere ad esecuzione forzata.*                                                                                          Il Giudice
  • Cosi deciso in data 22/11/2016

Tutela del credito. L’assegno dato in garanzia e postdatato è  nullo

 

Corte di Cassazione sent.  24 maggio 2016, n. 10710

L’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute nella R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 1 e 2 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 cod. civ..

Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ.

 Il Giudice di Legittimità, richiamando precedenti pronunce (Cass. Civ, Sez. n. 3, n.26232 del 22 novembre 2013 e Cass. Civ., Sez. n. 2, n.4368 del 19 aprile 1995), ha formulato il principio di diritto riportato in massima e, ritenendo meritevole di accoglimento il motivo proposto, ha accolto il ricorso rinviando a diversa composizione della Corte di Appello affinché, applicato detto principio di diritto, valutasse nuovamente il merito della controversia .

Dunque il giudice di legittimità ha ritenuto nullo il decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore  sulla base di un assegno postdatato rilasciatogli dal debitore: e questo perché l’assegno è pagabile a vista e ogni accordo diverso da tale regola è nullo. Dunque, il patto tra creditore e debitore con cui quest’ultimo conferisce al primo un assegno postdatato a garanzia di un futuro pagamento è nullo.

E’ una decisione che merita attenzione,  tenuto conto del fatto che, nel recente passato, l’assegno postdatato è stato ritenuto un titolo valido.   Infatti l giurisprudenza di legittimità  con  sentenza n. 26161/2014  aveva statuito  che l’assegno bancario postdatato non è nullo, risultando nullo solamente il patto di postdatazione;  in altri e più chiari termini, l’assegno bancario postdatato deve considerarsi venuto ad esistenza come titolo di credito e mezzo di pagamento al momento della sua emissione, ovverosia con il distacco dalla sfera giuridica del traente ed il passaggio nella disponibilità del prenditore (il creditore, cioè, che ha materialmente in mano l’assegno).

Testo della sentenza

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 24 maggio 2016, n. 10710

Rilevato che

I. S.B. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Sciacca il 18/19 marzo 2002 con il quale veniva ingiunto all’opponente e a O.U. di pagare, in favore di G.T., la somma di 41.500.000 oltre interessi legali e spese del procedimento monitorio. Il decreto ingiuntivo era fondato su un atto di transazione stipulato il 19 luglio 1993 tra i sigg.ri U. e T. e su un assegno di conto corrente rilasciato in pari data dallo stesso opponente in favore dell’opposta, a garanzia dell’obbligazione assunta dall’U., da riscuotersi il 31 dicembre 1993 in caso di mancato adempimento da parte del debitore principale. L’opponente ha rilevato che l’emissione di un assegno postdatato in garanzia è contraria alle norme imperative di cui agli artt. 1 e 2 del R.D. n. 1763/1933, con conseguente nullità del patto di garanzia stipulato tra le parti e ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo.
2. Si è costituita G.T. e ha rivendicato la validità del titolo di credito emesso in funzione del contratto autonomo di garanzia intercorso con il B..
3. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 25 agosto – 23 dicembre 2003, ha respinto l’opposizione.
4. Ha proposto appello S.B. ribadendo che la emissione di un assegno postdatato comporta la nullità del patto di garanzia sottostante, qualificabile, nella specie, come fideiussione e ha rilevato altresì che la T. era decaduta dal suo diritto, ai sensi dell’art. 1957 c.c., non avendo proceduto nei confronti del debitore principale nei sei mesi successivi la scadenza del credito, e che egli era liberato, ex art. 1955 c.c., per fatto del creditore che con il suo comportamento aveva causato un grave pregiudizio consistito nell’impedimento del suo diritto di surroga nei confronti del debitore principale.
5. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 803/09, ha respinto l’appello ritenendo che la postdatazione non renda il titolo nullo in sé, ma rende nulla solo la postdatazione con la conseguenza che il prenditore può esigerne l’immediato pagamento e che pertanto resta valido il sottostante patto di garanzia.
6. Propone ricorso per cassazione S.B. affidandosi a due motivi di impugnazione.
7. Si difende con controricorso G.T..

Rilevato che

8. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge assegni e formula il seguente quesito di diritto: se l’emissione di un assegno bancario postdatato a garanzia di un altrui futuro adempimento comporta, stante la violazione degli articoli 1 e 2 della legge assegni e dell’articolo 1343 del codice civile, la nullità del sottostante patto di garanzia, stante la natura imperativa delle norme citate.
9. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all’articolo 112 del codice di procedura civile nonché 1957 e 1955 del codice civile e sottopone alla Corte il seguente quesito: se la mancata pronuncia del giudice d’appello in ordine a domande spiegate in atto di appello comporti violazione dell’articolo 112 cpc e delle norme di diritto sostanziale poste a fondamento delle stesse.
Ritenuto che
10. I1 primo motivo di ricorso è fondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ. sez. III, n. 26232 del 22 novembre 2013) secondo cui l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 cod. civ.. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sezione II, n. 4368 del 19 aprile 1995).
11. Va pertanto accolto il primo motivo, restando assorbito il secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, applicato il principio di cui sopra, valuterà nuovamente il merito della controversia e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

 

 

Fondo patrimoniale. Il debito tributario sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può gravare sul fondo patrimoniale solo se contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

Cassazione Civ. n. 3600 del 24.02.16

La norma: Art.170 c.c.: l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Con la sentenza che si annota la Corte di Cassazione non ha  escluso la possibilità di procedere a esecuzione forzata  per i debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per gli stessi scopi.

Infatti, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità.

In sostanza per la Cassazione, i beni vincolati al fondo patrimoniale ben possono essere soggetti all’azione esattoriale per un credito del fisco. Dunque anche un debito tributario sorto per l’esercizio dell’impresa può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

L’onere di fornire la prova – possibile anche mediante presunzioni semplici o ricorrendo a criteri logici e di comune esperienza – che il debito per cui l’ente di riscossione intende procedere è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, grava sul debitore, ovvero sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.

Il caso di specie

L’ente di riscossione iscriveva ipoteca legale sull’immobile di Tizio per un debito che lo stesso aveva contratto nel corso della sua attività d’impresa. Tizio, avendo conferito tale immobile in fondo patrimoniale, proponeva opposizione all’esecuzione deducendo l’impignorabilità del bene. Il Giudice accoglieva l’opposizione di Tizio perché, in considerazione delle prove fornite, della sua attività lavorativa e dell’elevato importo del debito maturato, ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore.

La Corte di cassazione, trattandosi di valutazione che atteneva al merito della controversia, ha affermato di non poter interferire sul pronunciamento del primo giudice.

Occorre osservare, tuttavia, che in precedenti pronunce la Cassazione aveva affermato che, anche un debito di natura tributaria, sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, fermo restando che l’obbligazione sia effettivamente sorta per il soddisfacimento di tali esigenze, non potendosi dirsi sussistente il collegamento per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge (cfr. Cassazione civile sez. VI  24 febbraio 2015 n. 3738).

(Dr.ssa Eleonora Panini) 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI   Stefano                            –  Presidente   –

Dott. CIRILLO Ettore                             –  Consigliere  –

Dott. OLIVIERI Stefano                          –  Consigliere  –

Dott. TRICOMI Laura                         –  rel. Consigliere  –

Dott. VELLA   Paola                              –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16715/2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA in persona del Direttore Operativo pro  tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA EUDO GIULIOLI 47/B/18,  presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAZZITELLI, rappresentato e  difeso

dall’avvocato BARBARO CIRO GENNARO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALESSANDRO

MANZONI 81, presso lo studio dell’avvocato DONATO SENA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ORLANDELLA LIBERO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la  sentenza n. 346/2008 del TRIBUNALE  di  SANT’ANGELO  DEI

LOMBARDI, depositata l’08/07/2008;

udita la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del

24/03/2015 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per  il  controricorrente l’Avvocato RANIERI  delega  Avvocato

ORLANDELLA che ha chiesto il rigetto;

udito il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e

in subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

  1. I.A. a seguito della comunicazione dell’avviso di iscrizione di ipoteca legale sul bene di sua proprietà iscritto nel N.C.T. del Comune di Bisaccia, fol. 47, p.lla 218, proponeva opposizione all’esecuzione con ricorso depositato il 03.07.2006 dinanzi al Tribunale ordinario di Sant’Angelo dei Lombardi deducendo l’impignorabilità del bene esecutato ai sensi dell’art. 170 c.c., in quanto costituito in fondo patrimoniale, e chiedendo dichiararsi nullo l’atto di pignoramento.

L’opposta G.E.I. SPA si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa domanda per non aver operato alcun atto di pignoramento, sostenendo altresì la inoperatività dell’art. 170 c.c., per i crediti tributari.

  1. Con la sentenza n. 346/2008 del 03.07.08, depositata il 08.07.08 e non notificata, il G.M. del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi preliminarmente qualificava l’opposizione avverso l’iscrizione ipotecaria operata dal Concessionario alla riscossione quale “opposizione alla esecuzione” ex art. 615 c.p.c., comma 2, e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a; quindi riteneva la propria competenza quale giudice dell’esecuzione, trattandosi di opposizione proposta anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 248 del 2006. Ne affermava quindi l’ammissibilità perchè spiegata nei limiti del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), trattandosi di questione attinente alla pignorabilità del bene esecutato.

Di seguito affermava che l’esecutato poteva opporsi alla procedura esecutiva esattoriale anche prima della notifica dell’atto di pignoramento, che nel caso non era ancora avvenuta, e sulla scorta di tale considerazione qualificava diversamente la domanda.

Concludeva il G.O. affermando che il bene era stato sottoposto illegittimamente ad una procedura esecutiva in violazione dell’art. 170 c.c., non risultando il credito riconducibile ai bisogni familiari, e che in questi termini la domanda doveva essere accolta:

dichiarava pertanto l’illegittimità della iscrizione ipotecaria eseguita in data 07.03.06 ai danni di I.A. su istanza della GEI SPA di Avellino al n. di rep. 215/2006 e ne ordinava la cancellazione.

  1. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Equitalia Polis SPA (di seguito Equitalia) affidato a quattro motivi. Il contribuente resiste con controricorso e deposita memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente va respinta la eccezione di improponiblità, inammissibilità ed improcedibilità della domanda sollevata dall’intimato nel controricorso, assumendo che la ricorrente avrebbe illegittimamente adito la Suprema Corte per saltum, senza interporre appello.

1.2. Al riguardo la Corte ha già avuto modo di chiarire che le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione, pubblicate successivamente al 1 marzo 2006 e fino al 4 luglio 2009, non sono appellabili, in forza dell’art. 616 c.p.c., ultimo periodo, come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, (“ratione temporis” applicabile), ma solo ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, qualunque sia il contenuto della decisione o il motivo d’impugnazione (cfr. Cass. n. 19160/2014, n.18261/2014): questa è la disciplina applicabile alla sentenza di primo grado in esame, depositata l’08.07.2008 e l’eccezione va respinta.

2.1. Con il primo motivo l’Equitalia lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che il G.O. non aveva qualificato diversamente la domanda, ma impropriamente aveva modificato il petitum e formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nell’ipotesi in cui venga spiegata domanda giudiziale volta alla declaratoria di nullità di un pignoramento, il Giudice di merito, assumendo di qualificare diversamente la domanda, possa dichiarare la nullità dell’iscrizione ipotecaria, ovvero, se trattandosi di modifica del petitum, in applicazione dell’art. 112 c.p.c., non possa pronunciarsi su una domanda diversa da quella introdotta dal ricorrente”.

2.1. Il motivo è infondato e va respinto.

2.2. Innanzi tutto va ricordato che, come questa Corte ha già affermato, qualora sia controversa la qualificazione dell’azione in sede di procedimento esecutivo, assume rilievo decisivo quella data, in modo implicito od esplicito, dal giudice del merito al rapporto controverso, con la conseguenza che è esperibile l’impugnazione conseguente a tale qualificazione, indipendentemente dalla esattezza dell’inquadramento effettuato (Cass. n. 21683/2009, n. 8103/2007). Ne consegue che legittimamente il giudice dell’esecuzione esercita il potere di qualificazione dell’azione, in presenza di una prospettazione della parte che presenti aspetti di contraddittorietà o di incertezza tra il contenuto della domanda e l’azione esercitata.

2.3. Ciò premesso, va altresì considerato che, a tali fini, occorre tenere presente che l’opposizione all’esecuzione investe il diritto della parte istante di agire in executivis, mentre l’opposizione agli atti esecutivi consiste nella contestazione della regolarità formale dei singoli atti del procedimento esecutivo (cfr. Cass. n. 21683/2009). Poichè nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata senza che sul punto sia stata sollevata censura, l’opposizione è stata proposta deducendo la impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, quale unica ragione impeditiva della iscrizione ipotecaria, correttamente il giudice dell’esecuzione ha qualificato l’opposizione come “opposizione all’esecuzione” ( cfr.

Cass. sent. n. 11534/2014, n. 23891/2012) e la ha ritenuta ammissibile ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), senza che sia ravvisabile alcuna modifica del petitum, contrariamente a quanto sostenuto, in modo peraltro assertivo, dalla ricorrente che ha valorizzato con la sua censura l’utilizzo improprio del termine “atto di pignoramento” della parte privata, trascurando di considerare il contenuto dell’opposizione sul quale, correttamente, il giudice di primo grado ha fondato la riqualificazione dell’azione.

3.1. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che tale disposizione normativa introduce una limitazione al diritto del creditore di procedere in via esecutiva, ma non ha ricadute in tema di iscrizione ipotecaria. Formula a corredo il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di beni costituiti in fondo patrimoniale sia preclusa al creditore, in applicazione dell’art. 170 c.c., la possibilità di procedere ad iscrizione ipotecaria, ovvero, se l’art. 170 c.c., precluda, in presenza di determinati presupposti, al creditore solo l’espropriazione e non anche la facoltà di iscrivere ipoteca.”.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Va rilevato che lo stringato motivo e la formulazione del quesito, astratto, generico e indeterminato nel suo contenuto, impongono la declaratoria di inammissibilità.

3.3. Pur ricordando che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “L’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. 3 marzo 1973, n. 602, art. 77” (Cass. n. 5385/2013; cfr anche n. 3738/2015, n. 13622/2010), va tuttavia osservato che la ricorrente nel formulare il quesito richiama, quale elemento – a suo parere – condizionante la risposta, la “presenza di determinati presupposti” che tuttavia rimangono vaghi e privi di individuazione con riferimento alla fattispecie in esame, di guisa che alla indeterminatezza del quesito consegue l’inammissibilità.

4.1. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto sostiene che la disciplina, che preclude al creditore l’aggressione dei beni destinati al fondo patrimoniale, troverebbe applicazione solo per le obbligazioni di natura contrattuale. Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di credito di natura tributaria possa trovare applicazione l’art. 170 c.c., che richiede la prova della consapevolezza del creditore in ordine alla contrazione del debito per scopi estranei ai bisogni familiari, ovvero, se l’art. 170 c.c., non sia applicabile nei casi in cui l’obbligazione abbia natura extracontrattuale”.

4.2. Il motivo è infondato e va respinto.

4.3. E’ opportuno ricordare il dettato dell’art. 170 c.c., che così recita “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

La norma si occupa della possibilità dell’esecuzione, e nei termini prima ricordati sub 3.3. anche dell’iscrizione di ipoteca, su beni e sui frutti del fondo e sotto tale profilo evoca chiaramente l’iniziativa di un terzo estraneo al fondo. Essa esclude non in modo assoluto l’esecuzione, ma solo nel caso in cui la situazione per cui si procede sia insorta “per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e conosciuta dal creditore come tale.

4.4. Come questa Corte ha di recente chiarito l’evocazione nella sostanza 11 di tre distinte situazioni, quella dei “debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e, a contrario, quella dei “debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”, nonchè quella dei “debiti contratti per scopi non estranei ai bisogni della famiglia” e, quindi, assunti per soddisfare tali bisogni evidentemente dal soggetto che ha costituito il fondo conferendovi un bene e che normalmente dovrebbe rispondere, secondo la regola generale dell’art. 2740 c.c., con il suo patrimonio e, quindi, anche con esso, evidenzia che in realtà il legislatore ha voluto dettare una regola che non riguarda tanto l’inizio dell’esecuzione, bensì la forza stessa del titolo che potrebbe astrattamente svolgere la funzione di titolo per l’esecuzione sul bene facente parte del fondo patrimoniale, perchè, evidentemente, formatosi contro il coniuge o contro il terzo che costituì il fondo (Cass. n. 5385/2013).

4.5. Sulla scorta di tali considerazioni va quindi ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità (cfr.

Cass. n. 11230/2003, n. 12998/2006, n. 3738/2015).

Il motivo va pertanto respinto.

5.1. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta ancora la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e sostiene che il giudice di primo grado aveva superato la questione della conoscibilità della contrazione del debito per scopi estranei alle esigenze familiari, escludendo ogni relazione tra l’obbligazione tributaria ed i bisogni familiari, pur in assenza di prova, assumendo che il creditore avrebbe dovuto trarre consapevolezza della estraneità del debito alle esigenze familiari dalla natura tributaria dell’obbligazione riconducibile alla attività lavorativa autonoma del debitore.

Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi in cui l’obbligazione abbia natura tributaria e sia inerente all’attività lavorativa autonoma del debitore, debbano presumersi sussistenti i requisiti, richiesti, dall’art. 170 c.c., della estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari e della consapevolezza da parte del creditore di tale estraneità, ovvero, se in applicazione dell’art. 170 c.c., debba essere fornita la prova positiva della rottura della relazione che intercorre fra la produzione di reddito da parte del capofamiglia e la sua destinazione al sostentamento e allo sviluppo della famiglia nonchè della consapevolezza del creditore”.

5.2. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non risulta pertinente al decisum.

Il giudice di primo grado, contrariamente a quanto assume la ricorrente, non ha deciso in assenza di prova ed anzi si è attenuto al principio (cfr. Cass. n. 5385/2013) secondo il quale l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, e quindi, nel caso, sul debitore opponente, che deve provare che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, ed ha precisato che la, prova può consistere anche in “presunzioni semplici o nel ricorso a criteri logici e di comune esperienza” (fol. 4 della sent.).

Il giudice di merito ha quindi sviluppato il suo ragionamento giuridico su più elementi, puntualmente indicati, e cioè la fonte dell’obbligazione, costituita dall’attività lavorativa del contribuente, e l’elevato importo del debito tributario, ed ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore. Sul punto, giova ricordare peraltro che questa Corte ha già affermato che la prova di applicabilità dell’art. 170 c.c., alla stregua dei principi generali, ben può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., gravando comunque sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova (cfr. Cass. n. 4011/2013).

5.3. La censura pertanto appare non pertinente alla decisione.

La statuizione è basata su un accertamento in fatto. Questo, in quanto relativo alla riconducibilità o meno dei debiti alle esigenze della famiglia, è istituzionalmente riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr., da ultimo, Cass. n. 12730/07, n. 933/12): la statuizione avrebbe, eventualmente, potuto essere censurata sotto il profilo del vizio motivazionale.

6.1. In conclusione, il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto.

6.2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano a carico della Equitalia nella misura stabilita in dispositivo.

PQM

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

– rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro.7.000,00, oltre spese borsuali per Euro.150,00, IVA e CASSA. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2016

 

 

 

 

 

 

 

Efficacia di prova della fattura fiscale

Cassazione Civile, sez. II, 10 ottobre 2011, n. 20802.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema della natura della fattura commerciale e degli effetti che ad essa si associano. In particolare, la Corte ricorda come la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza ad un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale, o di indizio circa l’esistenza del credito in essa riportato. Ne Consegue che incombe sull’emittente l’onere di provare l’esatto ammontare del proprio credito . Tale regola non varia allorchè il debitore, oltre a contestare la cifra fatturata, deduca e provi, sia pur genericamente, di aver già pagato la diversa e inferiore somma dovuta. Secondo la Corte, infatti, poichè le dichiarazioni ammissive complesse o qualificate, in virtù dell’aggiunta di fatti favorevoli alla parte che le ha rese, sono inscindibili (come si desume dall’art.2734 c.c. in materia di confessione), e inidonee a invertire l’onere della prova secondo le rispettive aree di pertinenza che l’art. 2697 c.c. assegna ai soggetti del rapporto, resta pur sempre a carico del creditore dimostrare che una frazione del proprio credito sia rimasta comunque insoddisfatta.

Tutela del credito – fondo patrimoniale – ipoteca

Cass. S.U. 5385 del 2012 (dep. Il 5.3.13)

 De profundis per l’istituto del fondo patrimoniale? Verrebbe da rispondere in senso affermativo leggendo questa sentenza delle Sezioni Unite, che affronta un caso invero peculiare, laddove il ricorrente contesta la legittimità dell’iscrizione ipotecaria dell’esattore su un bene conferito in fondo patrimoniale.

Sebbene l’attenzione degli ermellini, nella fattispecie, si incentri sul problema dell’onere della prova, appare sempre più evidente l’intento della giurisprudenza di circoscrivere l’efficacia “protettiva”  del Fondo patrimoniale, per scoraggiare o vanificare il tentativo frequente di utilizzare l’istituto al fine di sottrarre i beni così vincolati all’aggressione dei creditori (i quali ricorrono sovente  all’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. per di annullare l’atto di conferimento).

Gioverà ricordare che ai creditori è consentito procedere in via esecutiva (e quindi anche a iscrivere ipoteca) su beni costituiti in fondo patrimoniale soltanto nel caso in cui il credito sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari e, quando – ancorché sia stato contratto per uno scopo estraneo a tali bisogni – il titolare del credito per cui si procede non conosceva tale estraneità.

Nella circostanza il disfavore della giurisprudenza nei confronti di questo Istituto, ormai evidente, si manifesta attraverso la formulazione del principio per cui l’onere della prova dell’esistenza dei presupposti per sottrarre i beni alle azioni esecutive dei creditori grava  su colui che intende opporre l’impignorabilità dei beni per effetto del vincolo rappresentato dal conferimento nel fondo patrimoniale. In particolare, l’interessato dovrà dare prova della finalità per cui è stata contratta l’obbligazione e della relazione esistente tra il fatto generatore della obbligazione stessa e i bisogni della famiglia, nonché della consapevolezza da parte del creditore di tale relazione.

Può essere utile osservare, a conferma della crescente avversione della magistratura per questo istituto, che con sentenza 8991/03 la Corte di Cassazione ha ritenuto di applicare la regola della piena responsabilità del fondo anche nei riguardi di obbligazioni risarcitorie da illecito. Non è superfluo osservare che, in tale ottica, è irrilevante che l’obbligazione sia stata contratta prima o dopo la costituzione del fondo.

 

Tutela del Credito. Riforma del processo civile in tema di esecuzione presso terzi

Merita di essere segnalata una novità introdotta con il recente D.L. 12 settembre 2014, n. 132 in tema di misure urgenti per snellire il processo e risolvere il problema dell’arretrato  civile.

Un’ importante innovazione riguarda, come si diceva più sopra, specificamente l’individuazione del foro di competenza per l’espropriazione forzata dei crediti. Continue reading “Tutela del Credito. Riforma del processo civile in tema di esecuzione presso terzi”

Tutela del credito, società di persone, preventiva escussione del patrimonio sociale ex art. 2304 c.c.

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 10 settembre 2004

Il provvedimento annotato offre uno spunto di riflessione su un problema che si presenta frequentemente nella pratica.  Com’è noto, ai sensi dell’art. 2304 c.c “I creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”.         Continue reading “Tutela del credito, società di persone, preventiva escussione del patrimonio sociale ex art. 2304 c.c.”

Il possesso della cambiale non vale titolo

Cassazione Civile, Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 63

Con sentenza n. 63 del 10 gennaio 2012, n. 63, la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazioni afferma il principio secondo cui il mero possessore di una cambiale che non risulti prenditore (né giratario) della stessa, difettando sul titolo l’indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato a pretendere il pagamento del credito documentato, se non dimostri l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito. Ciò in quanto il semplice possesso della cartula non ha significato univoco, ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che essa sia pervenuta al possessore abusivamente.

In siffatta ipotesi il documento non può neppure valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 cod. civ., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti di colui al quale la promessa sia stata realmente fatta.   Ne deriva che il mero possessore di un titolo all’ordine, privo di valore cartolare, e dal quale perciò stesso non risulti che la promessa di pagamento è stata fatta in favore di chi lo possiede, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del suo diritto.