Categoria: Contrattualistica nazionale e internzaionale

Diritto alla provvigione, intervento del mediatore, Tribunale di Reggio Emilia

Questa sentenza, relativa ad una causa che abbiamo patrocinato in materia di diritto alla provvigione, è pubblicata anche sul sito Ricerca giuridica e disponibile al seguente link.

Massima

“Il diritto al compenso non sussiste quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate.”

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Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Seconda sezione civile

In composizione monocratica, il Giudice, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 000/00 r.g., promossa da:

AGENZIA IMMOBILIARE. elettivamente domiciliata in Reggio Emilia, presso lo studio dell’Avv. …..che la rappresentata e la difende come da delega a margine dell’atto di citazione; Attrice
contro
L.P. elettivamente domiciliata in Reggio Emilia, presso lo studio dei l’Avv. Giovanni Orlandi che la rappresenta e la difende come da delega in calce alla copia dell’atto di citazione notificato; Convenuto

CONCLUSIONE

Il procuratore di parte, attrice conclude come da udienza del 19/10/2010;
Il procuratore di parte convenuta conclude come da udienza del 19/10/2010;

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione naturalmente, notificato l’attrice Agenzia Immobilare ha convenuto in giudizio L.P. per sentirla condannare al pagamento della somma di € 6-500,00 quale provvigione asseritamente dovuta per l’attività di mediazione svolta in occasione della compravendita di un immobile sito in Correggio.
Si costituiva in giudizio la convenuta contestando in fatto e in diritto la domanda attorea di cui chiedeva il rigetto.
Assunte le prove orali e disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza dei 19/10/2010 le parti discutevano oralmente la causa che veniva trattenuta in decisione ai sensi del disposto dell’art. 281 quinquies, comma 2, c.p.c.

2. La domanda attorea (cioè dell’Agenzia, ndr.) è infondata. Giova evidenziare, in diritto, che in tema di mediazione, al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituita un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di essa ad aprire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7994 del 0210412009).
Per aversi diritto alla provvigione non basta che l’affare sia stato concluso, ma, in forza dell’art. 1755 c.c., occorre che la conclusione sia avvenuta per effetto dell’intervento del mediatore, il quale, cioè, deve avere messo in relazione i contraenti con un’attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare (tra le altre, cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15880 del 06107/2010; Cass Sez, 3, Sentenza n. 23842 del 18/09/2008).
Perché sorga il diritto alla provvigione è necessario verificare che l’affare si sia concluso, bastando, a tal fine, che la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’opera svolta, ancorché quest’ultima consista nella semplice attività di reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’affare, sempre che l’attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta, dal mediatore, che sia stata poi valorizzata dalle parti.
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l’attività del mediatore, e la conclusione dell’affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la “messa in relazione” delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto. Ne consegue che la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre, che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 08/03/2002).
Il diritto al compenso non sussiste, per contro, quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. Qualora detta assoluta autonomia della seconda attività di mediazione non sussista e l’affare sia concluso per l’intervento di più mediatori (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in. base allo stesso incarico o a più incarichi) a nonna dell’art. 1758 c.c., ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione (Cass. Sez. III, Sentenza n. 5952 del 18/03/2005).
Secondo i principi che regolano l’onere probatorio incombe sul mediatore fornire la prova dell’esistenza di utile valido contributo causale tra la propria attività e la conclusione dell’affare: detta prova non può tuttavia essere fornita semplicemente dimostrando la successione cronologica tra attività del mediatore e conclusione dell’affare, in base al paralogismo ‘post hoc, ergo propter hoc (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 5760 del 11/06/1999).
In applicazione di questo principio la Suprema Corte, con una condivisibile decisione, ha confermato una sentenza di merito che aveva ritenuto che per dimostrare il suddetto nesso causale non fosse sufficiente la prova, da parte del mediatore, di avere accompagnato l’acquirente a visitare l’immobile, ne’, addirittura di avere appianato contrasti in ordine alle modalità di pagamento del prezzo, ne’ che l’acquirente si era più volte recato nella sede del mediatore.

3. Ciò posto in diritto, l’istruttoria ha dimostrato, in fatto, che l’intervento dell’agenzia immobiliare, attrice non ha fornito quel contributo causale necessario che, secondo i principi della causalità adeguata, ha consentito la conclusione dell’affare.
L’istruttoria ha piuttosto dimostrato che, pur essendovi stato tra la convenuta e l’agenzia immobiliare attrice un primo contatto che non ha condotto ad alcun risultato positivo – contatto, si precisa neppure riconducibile ad una vera e propria trattativa, – la conclusione dell’affare si è verificata per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili ai precedenti contatti avuti con l’Agenzia Immobiliare o da questi condizionate.
In sede di interrogatorio formale, la convenuta ha dichiarato che, interessata all’acquisto di un immobile in Correggio, contattava varie Agenzie e, in particolare, avendo notato nella vetrina dell’agenzia attrice l’avviso di vendita, di un appartamento, entrava per avere notizie su di esso. Nell’occasione — prosegue la convenuta – l’impiegato dell’agenzia le disse che vi erano altre possibilità, di acquisto diverse da quell’appartamento e le indicò l’immobile per cui è causa, mostrandole le planimetrie. La convenuta, considerato che si trattava di un immobile da ristrutturare e eccessivamente costoso dimostrò il suo disinteresse. A quel punto la Sig.ra L.P. forniva il suo numero di telefono all’impiegato che si era dimostrato disponibile a farle pervenire notizie qualora avesse trovato soluzioni conformi alle sue esigenze. Qualche giorno dopo, Contattata dall’impiegato dell’agenzia, si recò su invito di questo presso l’immobile, confermando all’esito della visita il suo disinteresse in ragione del prezzo eccessivo e della necessità di ristrutturazione dell’immobile.
Secondo quanto dichiarato dalla convenuta, i due si congedarono senza alcun impegno e non vi furono altri contatti con l’agenzia.
Successivamente – prosegue, la Sig.ra L.P. – essa contattò altre agenzie, tra cui l’Agenzia G. che tra le varie proposte d’acquisto le mostrò anche la villetta che già l’Agenzia Immobiliare le aveva mostrato.
Originariamente, non interessata all’acquisto, la convenuta, che nel frattempo non aveva trovato altre soluzioni, decise di valutare l’offerta che l’Agenzia G. le aveva fatto ad un prezzo notevolmente inferiore a quello che le aveva proposto l’Agenzia Immobiliare (€ 450.000,00 anziché 530.000), infine, si determinò all’acquisto per il prezzo di € 430.000,00.
Il teste M.G., comproprietario dell’immobile insieme al fratello, ha negato di essere stato contattato dall’Agenzia Immobiliare per essere informato del fatto che la Sig.ra L.P. era interessata all’acquisto e che a tale scopo non fu contattato nemmeno suo fratello e ciò benché detta agenzia fosse una di quelle cui avevano dato l’incarico di reperire potenziali acquirenti.
Il teste ha inoltre dichiarato che più volte lui e suo fratello si incontrarono con la convenuta e suo marito per la trattativa presso l’Agenzia G. alla presenza del titolare dell’agenzia stessa o di suo figlio. Durante dette trattative, dice il teste, le parti raggiunsero l’accordo sul prezzo, originariamente troppo alto per la convenuta e, all’esito, in occasione di uno dei predetti incontri stipularono il contratto preliminare. In particolare, durante le trattative, afferma il teste, emerse l’esigenza della convenuta di prendere subito possesso dell’immobile per iniziare i lavori di ristrutturazione in modo da terminarli prima della data fissata per il rilascio dell’immobile nel quale ancora abitava. Lui ed il fratello – continua il teste – accordarono il loro consenso a tale condizione posta dalla convenuta, anche perché l’agenzia Gabriella, per permettere alle parti di trovare un accordo sul punto, convinse la convenuta a prestare una polizza assicurativa che coprisse i rischi derivanti dall’esecuzione dei lavori.
L’agenzia G., dice il teste, non solo predispose la relativa clausola da apporre nel preliminare, ma propose anche di stipulare, come poi avvenne, un contratto di comodato per consentire l’esecuzione dei lavori. Il teste M. G. ha anche dichiarato che vi fu un accordo per il pagamento delle provvigioni che sarebbe stato posto a carico della convenuta e che l’Agenzia G. si occupò anche della presentazione delle denunce di carattere amministrativo.
Particolarmente significativa è poi la circostanza, riferita dallo stesso teste M. G., che mai l’Agenzia Immobiliare chiese a lui e a suo fratello il pagamento della provvigione per la vendita dell’immobile. Il teste B., titolare dell’Agenzia G., privo di interesse nella controversia, ha dichiarato di avere fatto visionare diversi immobili alla convenuta e, in particolare, di avere svolto tutte le specifiche attività (oggetto dei capitoli di prova formulati dalla convenuta) che convinsero la Sig.ra L.P. a superare l’originario disinteresse dall’acquisto dell’immobile e, quindi, a stipulare il contratto. Il teste, inoltre, ha confermato che l’Agenzia G. aveva svolto attività di mediazione anche nel corso delle trattative per consentire, alle parti di addivenire ad un accordo sugli elementi essenziali del contratto e nella predisposizione di specifiche clausole che potessero soddisfare l’interesse di entrambe le parti (possesso immediato, polizza assicurativa…).
Le dichiarazioni rese dal teste sono state confermate, nella sostanza, anche dal teste G.T. che ha confermato, con dovizia di particolari, le circostanze oggetto dei capitoli di prova di parte convenuta.

4. Alla luce delle univoche risultanze delle prove orali assunte, deve pertanto ritenersi che l’incontro tra l’Agenzia Immobiliare e la convenuta non ha apportato alcun contributo causale nella conclusione dell’affare, poiché quest’ultimo è stato raggiunto solo per effetto della nuova iniziativa posta in essere dall’Agenzia G. e non è in nessun modo ricollegabile ai precedenti incontri avuti con l’agenzia attrice o da questi condizionato. In altre parole, l’attività svolta dall’attrice non ha costituito nemmeno l’antecedente indispensabile che, attraverso le successive vicende, ha condotto (o ha contribuito a condurre) alla conclusione del contratto, né le parti l’hanno valorizzata in alcun modo.
Ed invero, la convenuta, all’esito degli incontri avuti con la agenzia attrice, era certamente determinata a non acquistare l’immobile a causa del costo eccessivo proposto e della necessità di effettuare opere di ristrutturazione sull’immobile.
L’Agenzia Immobiliare, del resto, a fronte del disinteresse dimostrato dalla Sig.ra L.P., non avvertì nemmeno i proprietari dell’immobile del possibile affare che poteva essere concluso con la convenuta: i sig.ri M. G. furono invece contattati dall’Agenzia G., che, unica, mise dunque in contatto i due contraenti.
In altri termini, l’attrice non ha nemmeno messo in relazione le parti del successivo accordo contrattuale.
Significativo è inoltre il fatto che il disinteresse della convenuta per l’acquisto dell’immobile permaneva inizialmente anche quando l’Agenzia G. le propose l’acquisto della villetta già visionata nell’incontro avuto con l’agenzia attrice.
Tale originario disinteresse anche al momento dei primi contatti con l’Agenzia G. dimostra che fu solo per effetto dell’intervento di tale seconda agenzia che la convenuta si determinò all’acquisto.
Ed invero, dalle testimonianze riportate è dato evincere non solo il fatto che fu l’Agenzia G. a mettere in contatto la convenuta con gli acquirenti, ma anche che fu grazie alla sua articolata attività di mediazione che la convenuta superò l’originario disinteresse e vennero appianati i contrasti tra i futuri contraenti circa gli elementi essenziali del contratto. In particolare, durante le trattative svolte presso l’Agenzia G. alla presenza del titolare o del figlio, le, parti raggiunsero l’accordo sul prezzo – originariamente troppo alto per la Sig.ra L.P. – e si accordarono anche sulla possibilità per la convenuta di prendere possesso immediatamente dell’immobile per potere effettuare fin da subito le opere di ristrutturazione.
All’esito delle trattative, poi, fu l’Agenzia G. a redigere il contratto preliminare cui furono introdotte alcune clausole confacenti alle esigenze di entrambi i contraenti: a fronte della disponibilità dei promittenti venditori di dare alla promissaria acquirente il possesso anticipato dell’immobile per eseguire fin da subito i lavori, l’Agenzia G. convinse la convenuta a stipulare una polizza assicurativa a copertura dei possibili danni che potevano verificarsi nel corso dei lavori.
L’Agenzia G. si occupò addirittura della presentazione della comunicazione di passaggio della proprietà all’autorità di polizia dopo la stipulazione del rogito.
Ad ulteriore dimostrazione dell’esclusiva rilevanza causale dell’attività di mediazione svolta dell’Agenzia G. è la circostanza che mai l’agenzia attrice ha chiesto ai proprietari dell’immobile il pagamento della provvigione, evidentemente consapevole del fatto che l’acquisto non era dipeso dalla sua attività che era sfociata solamente nella visita dell’immobile, nelle visione delle planimetrie e nel rilascio dei propri dati personali da parte della convenuta
Questi ultimi elementi non consentono di affermare che l’attrice abbia quanto meno concorso con la sua attività di mediazione a determinare la conclusione dell’affare, e ciò si ribadisce, alla luce del fatto che in assenza della determinante attività svolta dall’Agenzia G. in maniera del tutto autonoma rispetto a quella della agenzia attrice, la convenuta non si sarebbe in alcun modo decisa ad acquistare l’immobile.
In altri termini, la mediazione dell’Agenzia G rappresenta la causa esclusiva della conclusione dell’altare.
Deve peraltro osservarsi che tra gli elementi sopra indicati, sulla base dei quali l’attrice vorrebbe dimostrare la fondatezza del -proprio assunto, non sono nemmeno dimostrati.
Se infatti è certo che vi siano stati due incontri (il primo presso l’agenzia e il secondo anche presso l’immobile per cui è causa), diretta tuttavia la prova sia del fatto che l’attrice abbia fornito le planimetrie alla convenuta, sia del fatto che essa abbia sottoscritto il modello di raccolta dati con quel contenuto.
Quanto alle planimetrie, infatti, pur avendo la convenuta affermato, in sede di interrogatorio formale, di avere visto le planimetrie non ha dichiarato di averle ricevute, perché non era in grado di ricordare tale circostanza; quanto al modello raccolta dati, la convenuta ha tempestivamente disconosciuto la conformità della copia all’originale e l’attrice non ha dimostrato con gli ordinari mezzi di prova.
Conclusivamente, per tutte le ragioni sopra esposte la domanda attorea deve essere rigettata.
5. Le spese di lite, come meglio liquidate in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 000/00 r.g., promossa da Agenzia Immobiliare nei confronti di L.P., ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede:
1) rigetta la domanda attorea;
2) dichiara tenuta e condanna parte attrice a rifondere alla convenuta le spese di lite che si liquidano in complessivi € 6.175,60 di cui C 25,60 per spese oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.
Reggio Emilia.
Il Giudice

I contratti di locazione ai tempi del Coronavirus

Per approfondire la recente riflessione sugli effetti prodotti dalla pandemia coronavirus sui contratti in corso, sembra utile circoscrivere ora la disamina degli effetti della situazione di emergenza all’ambito delle locazioni, ovviamente di natura commerciale (ivi comprese le attività artigianali e industriali).

La situazione, in continuo divenire per il susseguirsi dei Decreti presidenziali che comportano limitazioni e divieti sempre più rigidi, impone adeguamenti anche sul piano degli effetti che i provvedimenti possono spiegare sui rapporti contrattuali in corso.

In effetti molte attività commerciali/imprenditoriali sono da qualche tempo, o anche soltanto da ora, costrette all’inattività per un arco di tempo che può variare da alcune settimane a qualche mese in funzione dell’evoluzione degli eventi. Resta il problema degli oneri correnti: imposte, tasse, stipendi, rate dei finanziamenti e, tra gli altri, anche canoni e affitti. Le preoccupazioni crescono.

Il quesito che assilla conduttori e locatori, dunque, è se i primi possono sospendere il pagamento del canone di locazione o addirittura recedere dal rapporto.

Per un inquadramento sistematico è opportuno tenere ben presente che andiamo ad occuparci di contratti c.d. di durata in quanto caratterizzati dalla peculiarità della prestazione continuata o periodica.
Si tratta ora di vedere quali possono essere gli effetti di una causa di forza maggiore quale innegabilmente deve essere considerata la pandemia da coronavirus – dovuta a circostanze sopravvenute e imprevedibili – in assenza di espresse previsioni contrattuali.

Vanno considerati in premessa i seguenti punti fermi:

  • il conduttore non può sospendere il pagamento del canone per nessuna ragione, salvo il caso in cui l’immobile sia materialmente inutilizzabile;
  • l’impossibilità di svolgere l’attività non è imputabile ad alcuna delle parti stante l’emergenza straordinaria di tutela della salute;
  • l’immobile resta nella pacifica disponibilità del conduttore, che può utilizzarlo, tuttavia non ne può godere a fini di svolgere l’attività.

Vediamo quindi cosa può accadere, nel presupposto naturalmente che sia interesse del conduttore continuare a mantenere la disponibilità dell’immobile, laddove cioè gli eventi siano considerati meramente temporanei e vi siano i presupposti per mantenere vivo il rapporto.

Tradurre i divieti disposti dai DPCM in termini di impossibilità di una prestazione tipica del locatore o del conduttore quantomeno nel contratto di locazione commerciale, potrebbe apparire problematico in quanto il conduttore continua ad avere la disponibilità dell’immobile. Diversamente accade per i contratti di affitto d’azienda, laddove l’impossibilità di esercitare certe attività incide direttamente, rendendola di fatto impossibile, sulla prestazione principale dell’affittante, consistente nella messa a disposizione di un complesso di beni e rapporti giuridici organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa. In questi casi viene meno l’utilità funzionale che costituisce il cuore della prestazione contrattuale dell’affittante che diviene, in questo modo, pacificamente impossibile.

Nella locazione commerciale, per contro, i divieti non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali genericamente idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto. L’impedimento non ha alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito. È difficile, però, negare che i divieti incidano direttamente o indirettamente sull’attività del conduttore, sebbene a prescindere dalla prestazione locatore.

Esclusa, dunque, la possibilità di rinvenire nella disciplina specifica della locazione la regola che consente di sospendere il pagamento del canone, è nella disciplina generale delle obbligazioni e contratti a cui occorre fare riferimento per dare una risposta. A questo proposito vengono in considerazione le norme di cui agli artt. 1256 e 1467 del codice civile, che disciplinano rispettivamente i casi di impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta.

L’impossibilità sopravvenuta rappresenta una causa di legittima estinzione dell’obbligazione o, a seconda dei casi, di giustificazione del ritardo nell’adempimento. Naturalmente, l’impossibilità, per essere giuridicamente rilevante, deve essere riconducibile a un evento eccezionale imprevedibile, estraneo all’ambito di una azione del debitore e idoneo a provocare un impedimento obiettivo e insormontabile allo svolgimento della prestazione. Occorre pertanto distinguere.

Nei casi in cui per effetto dell’epidemia e a maggior ragione dei provvedimenti del governo al conduttore fosse impedito di esercitare l’attività, secondo anche i precedenti giurisprudenziali, appare legittima la sospensione del pagamento del canone di locazione. Soccorre in tema di epidemia un precedente giurisprudenziale rappresentato dalla pronuncia della Corte di Cassazione: “eventi sopravvenuti alla stipula del contratto, quali l’imperversare di un’epidemia nel luogo prescelto per le vacanze, incidendo negativamente sulla sicurezza del soggiorno e, quindi, sulla “finalità turistica” del viaggio, comportano l’estinzione del contratto per sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta dello stesso”. I giudici di legittimità, nella fattispecie, hanno ritenuto che il venir meno dell’interesse creditorio dovuto alla sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta del contratto, infatti, comporta l’estinzione di quest’ultimo anche nell’ipotesi in cui la prestazione dedotta in obbligazione sia astrattamente ancora eseguibile.

Tuttavia, non è affatto scontato che, sotto il profilo causale, la chiusura temporanea dell’attività (e a maggior ragione l’incidenza indiretta, per le attività non sospese, sulla sua redditività) renda radicalmente impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie. Occorre, infatti, puntualizzare che non è impossibile la prestazione che possa essere adempiuta con la normale diligenza e che, in sede di giudizio, potrebbe non essere ritenuta giustificazione sufficiente la mancanza (o, peggio ancora, la mera riduzione) di ricavi limitata (come speriamo) a qualche settimana. La giurisprudenza, soprattutto di merito, conforta questo indirizzo.
Sarà, quindi, più complesso invocare l’impossibilità sopravvenuta nel caso di attività sulle quali i DPCM incidano solo indirettamente, quali gli esercizi commerciali che rientrano nelle eccezioni alla sospensione generalizzata. In questi casi sarà più difficile affermare che sia venuta radicalmente meno la possibilità di fruire della prestazione del locatore e il conduttore dovrà attrezzarsi per fornire la prova rigorosa che l’applicazione delle disposizioni ha determinato l’impossibilità di fatto di poter fruire della prestazione del locatore.

Nondimeno, gli esercizi che siano rimasti aperti, così fruendo dell’immobile, sia pure in circostanze che hanno inciso pesantemente sulla redditività del suo utilizzo, potranno invocare una riduzione del canone invocando le difficoltà causate dai limiti di circolazione delle persone e dal calo della domanda. Dovranno però fornire prova della riduzione delle entrate.

Quanto agli uffici, è indubbio che, per un ampio numero di attività amministrative e professionali, il ricorso allo smart working li sta di fatto svuotando, rendendo alquanto limitato il beneficio della loro disponibilità in virtù del rapporto locativo. In questi casi un giudice potrebbe essere meno incline ad assecondare le ragioni di quegli operatori che siano comunque riusciti ad assicurare la propria operatività tramite lo smart working. Pare più giustificata una domanda di riduzione dei canoni proporzionata al mancato godimento piuttosto che una sospensione “tout court” del loro pagamento.

V’è poi da prendere in esame il caso della eccesiva onerosità sopravvenuta, che comporta una grave alterazione tra il valore delle prestazioni corrispettive con conseguenze persistenti e non soltanto passeggere. In questo caso, stante la causa di forza maggiore determinata dalla pandemia, è possibile invocare la risoluzione del contratto ex art. 1467 cc (fatto salvo l’onere della prova dello squilibrio tra le prestazioni che compete al conduttore e la facoltà del conduttore di evitare la risoluzione offrendo un’equa modificazione delle condizioni contrattuali), o esercitare il recesso per gravi motivi ex art. 27, u.c., della L. 392/1978.

In conclusione, stante l’eccezionalità della situazione, pare produttivo suggerire sempre al conduttore – dopo avere compiuto una specifica analisi della situazione contrattuale e in presenza dei presupposti dianzi illustrati – di formalizzare al proprietario, mediante lettera raccomandata, una richiesta di sospensione del canone di locazione per tutta la durata dell’emergenza sanitaria. Il locatore, infatti, in difetto del pagamento dei canoni, sarebbe legittimato ad agire per recuperarli e anche a promuovere il procedimento di sfratto per morosità. La tempestiva formalizzazione al locatore, con le adeguate motivazioni, di sopravvenuta impossibilità di adempiere agli obblighi contrattuali per cause di forza maggiore favorirebbe il dialogo tra le parti e la possibilità di una soluzione negoziale che contempli una sospensione o una riduzione del canone.

Del pari, come anticipato, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta è sempre possibile evitare la risoluzione del contratto, offrendo un’equa modificazione delle condizioni.

Certo è che la fondatezza in diritto di richieste di sospensione o riduzione del canone o addirittura di rinegoziazione dei contratti, dipenderà molto dalla durata della crisi e dalla portata dei suoi effetti sull’andamento dell’economia, e, caso per caso, sugli affari dei singoli operatori. Come osservato, la ragionevolezza del ricorso alle disposizioni che consentono di giustificare tali pretese si fonda su un giudizio di insostenibilità delle condizioni economiche del contratto per effetto dell’impatto significativo, strutturale e perdurante delle circostanze invocate.

Contratti e clausole vessatorie: la illeggibilità del testo non necessariamente implica nullità della clausola

Corte di Cassazione ordinanza n. 3307 del 12 febbraio 2018

Il tema delle clausole vessatorie rimane di stretta attualità, specialmente ove si considerino la diffusione della passi del porta a porta anche soltanto per i rapporti inerenti e utenze telefoniche o i servizi di somministrazione di energia elettrica, e gas, per non parlare delle innumerevoli altre proposte contrattuali della più svariata natura che vengono proposte con cadenza ormai quasi giornaliera sia ai consumatori che alle imprese (si considerino anche soltanto le proposte di manutenzione degli impianti o quelle inerenti la pubblicità o la visibilità in rete).

Ora, con l’arresto che si segnala all’attenzione del lettore, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare un importante principio per il caso in cui il testo delle condizioni generali di contratto si presenti illeggibile, decisone che deve indurre ad elevare la soglia di guardia.

Infatti, gli ermellini, a proposito di clausole vessatorie presenti – come nella fattispecie la clausola derogatoria della competenza territoriale – nei formulari predisposti per regolare rapporti uniformi, hanno affermato il seguente principio: “In materia di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti, la clausola con cui si stabilisce una deroga alla competenza territoriale ha natura vessatoria e deve essere, ai sensi dell’art. 1341 Cod. Civ., comma 2, approvata espressamente per iscritto. Qualora la medesima risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile; ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata della suddetta clausola derogatoria”.

Il principio affermato si pone sulla scia di precedenti analoghe pronunce, tuttavia, se si può anche comprendere la logica che sottende al principio espresso dalla Corte per quanto concerne le clausole scritte in caratteri ridotti, lascia perplessi la equiparazione di questa ipotesi a quella di un testo illeggibile. In questo caso, infatti, dovrebbe prevalere il principio della buona fede contrattuale.

Qui il testo integrale della sentenza

Operazione di crowdfunding mediante cambio valuta in bitcoin

Il Tribunale scaligero,  nell’affrontare per  primo  temi di grande attualità  quali quelli delle  monete virtuali e del crowdfounding, appurata la totale assenza, nella singola operazione, di informativa fornita al cliente, così come di un documento contrattuale redatto per iscritto, e quindi la violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale di cui agli artt. 67-duodecies ss. Codice Consumo «violazione degli obblighi di informativa precontrattuale, idonea ad alterare in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche dell’investimento», ha affermato la nullità del contratto (ex art. 67-septiesdecies cod. cons.) e, a cascata ex art. 2033 c.c., il conseguente obbligo per la società di cambio di restituire il capitale in Euro investito dagli attori  ( Tribunale di Verona Sent. n. 195 del 2017 ) .

ll testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di VERONA SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Unico Dott. Andrea Mirenda

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 14185/2014 R.G. promossa da:

V………. (C.F………) con il patrocinio degli aw. …….. …………………….

ATTORE 

contro:

L…. (C.F………………)

e , con elezione di domicilio in….. presso e nello studio dell’avv………..

 CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza, che qui si intendono richiamati

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITO-                               

rilevato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo;

ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, SS.UU. 16.1.2015 n. 642; v. anche Cass. 3636/07), la cui ammissibilità – come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta risultava del resto già codificata dall’art.16 del d.lgs 5/03, a sua volta recettivo dei previ orientamenti giurisprudenziali;

osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni – di fatto e di diritto – “rilevanti ai fini della decisione” concretamente adottata 1 ;

che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come “omesse” (per l’effetto dell’ error in procedendo), ben potendo esse risultare

semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico­giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante;

richiamato il contenuto della citazione con la quale    hanno dedotto l’inesistenza dl contratto con………..

 avente ad oggetto l’ordine di acquisto azionari e/o  il quale in ogni caso sarebbe da   considerarsi nullo per violazione della normativa in tema di equity crowdfunding (D.L. 179/2012, convertito con modificazioni con la L. 221/2012) e del Codice del Consumo ( D.lgs. 206/2005)” e hanno, quindi, richiesto – ex art. 2033 c.civ. – la restituzione delle somme versate alla convenuta;

richiamata, del pari, la comparsa di risposta dei convenuti che, nel contestare la fondatezza della domanda e nel chiederne il rigetto, facevano rilevare ” come unico dato certo e incontrovertibile fosse l’accredito da parte di   sugli accounts privati degli attori – come peraltro da

loro medesimi affermato e provato – di quanto loro promesso, id est quote di partecipazione in “start up” presenti sullo stesso portale Uinvest”;

richiamate le risultanze dell’istruttoria orale espletata (prova per testi e per interpello del convenuto                           ;

tanto premesso, osserva:

l’istruttoria ha consentito di chiarire i termini “di fatto” dell’odierna vicenda.

Giova senz’altro la descrizione fornitane dal …………..nel suo interrogatorio formale (al netto della riserva assoluta in favore del giudicante circa la qualificazione giuridica della fattispecie concreta in esame)in quanto sostanzialmente coerente con gli scarni elementi documentali in atti, qui rappresentati, oltre che dai bonifici eseguiti dagli attori in favore della società del ¿al prospetto

contratto di partenariato della società convenuta con         ( contratto

che, a stretto rigore, non assurgerebbe alla dignità di prova scritta trattandosi di res inter alios acta).

 Il ……………..»   così risponde:                             

  “Sul primo capitolo” Nulla so sulle competenze finanziarie e in materia di investimenti mobiliari delle attrici; io mi sono limitato ad operare non come intermediario finanziario, bensì come financial partner di……. nella materia della c.d. criptovaluta. In breve, le attrici hanno individuato la nostra società come partner di………………………………………………….incaricata di  consegnare, dietro bonifico, “moneta ……” in pari misura, con la quale le attrici, poi, avrebbero potuto acquistare quote di partecipazioni in “start up” presenti sul portale…………………………………………….

Per la migliore definizione del nostro rapporto con…………………, mi riporto al contratto già dimesso in atti.

Sul capitolo 2): conoscevo il sig…………………………………………….( n.d.e., del quale ha parlato il teste ……………………. come colui che avvicinò e introdusse le attrici all’investimento per cui è causa) e lo conosco tutt’ora, il qual è un collaboratore non nostro bensi di……………………………………Lui mi metteva al corrente di potenziali clienti intenzionati ad acquistare “valuta……………………………………o a riscuotere denaro, in cambio della restituzione di tale valuta.

Omissis…… Confermo di aver ricevuto dalle attrici i bonifici di cui al capitolo 6, in esito ai quali attribuii loro pari  valore di “moneta…………..che acquistai a mia volta da altri investitori che avevano esercitato il diritto alla riconsegna del denaro.

Sul capitolo 5: è vero, mai alcun contratto o ordine scritto ci fu tra noi e le attrici in quanto il rapporto era costituito con……………………….

Sul capitolo 11: gli account ( creati direttamente dagli attori presso ……., n.d.e.) non funzionarono, nel senso che effettivamente non fu possibile prelevare le somme. Preciso che si trattava di account legati a ………………….cercò di ovviare a questo problema creando dei “top fund” che riuscirono a restituire gran parte o la totalità del capitale investito nell’arco di 24 mesi, ovvero somme ridotte in tempo reale. Altro rimedio fu quello dell’emanazione di carte di debito che pure funzionarono per quattro mesi, fino al fallimento dell’emittente……………….

In definitiva, per quanto è emerso, gli attori corrisposero alla società convenuta (non al ……………….. che di quella società di capitali era solo il legale rappresentante), somme in valuta reale, ricevendone in cambio valuta ……………….che gli stessi impiegarono, poi, presso il portale ucraino al fine di dar corso agli investimenti di varia natura e specie ivi descritti e disciplinati, il tutto nell’ambito del chiaro partenariato che legava ………………………………………………… a quel gestore (si veda, in tal senso, la documentazione dimessa da ambo le parti in atti, sia in sede di costituzione che con le successive memorie ex art. 183, comma sesto, cpc).

Parte attrice, come detto, nel rilevare l’assoluta assenza di forme scritte e di qualsivoglia informativa precontrattuale a sostegno delle operazioni impugnate, invoca la tutela consumeristica di cui agli artt.67 e ss. del Codice del Consumo.

Parte convenuta, di contro, inquadra le operazioni in esame nell’ambito del c.d. eguity crowfunding, ciò è a dire in quelle attività volte, per quanto qui interessa, a proporre – mediante una piattaforma digitale dette “portale” ed affidata al “gestore di portale” iscritto nell’apposito registro ex art.50 quinquies TUF in conformità al Regolamento di cui alla delibera CONSOB 26.6.2013 n. 18592 (in G. Uff. n. 162 del 12.7.2013) – investimenti finalizzati all’acquisto di partecipazioni in start up innovative (operanti quali “emittenti” di strumenti finanziari).

Sempre i convenuti evidenziano come……………………………..     nella veste di gestore del relativo portale e di prestatore di attività funzionali all’utilizzo, scambio e conservazione di valute virtuali e alla conversione di esse con valute reali:

  • non avesse operato come intermediario finanziario e/o prestatore di servizi di investimento;
    • non fosse tenuta ad osservare la normativa antiriciclaggio, giusta l’autorevole conclusione raggiunta sul punto da l’UNITA’ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (U.I.F.);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • non fosse tenuta a fornire agli odierni attori ulteriori informazioni rispetto a quelle, già specifiche e adeguate, fornite loro grazie all’accesso e all’iscrizione (ciascuno con proprio account personale] al portale gestito dalla società di diritto ucraino (iscrizione a cui conseguì l’erogazione della prestazione pattuita).
  • Va detto, tuttavia, quanto al preteso assolvimento dei doveri informativi gravanti sul “soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali di rischio per le start up innovative ” (secondo la definizione datane dall’art. 2 dell’Allegato 1 della Delibera Consob n.18592/2013) , come – nella realtà del processo – l’affermazione non abbia trovato concreto riscontro, nulla essendo comprovatamente emerso (al di là di mere affermazioni labiali e della produzione non confermata di un documento indicato come “Prospetto…………”, circa le caratteristiche e i contenuti obiettivi del portale medesimo, onde verificare il rispetto degli artt. 13 e ss. dell’All.l cit e, ancor più, dell’art.23 dell’Allegato 3, lì dove impone al gestore di assicurare “che per ciascuna offerta sia preliminarmente riportata con evidenza grafica la seguente avvertenza: Le informazioni sull’offerta non sono sottoposte ad approvazione da parte della Consob. L’emittente è l’esclusivo responsabile della completezza e della veridicità dei dati delle Informazioni dallo stesso fornite, Si richiama inoltre l’attenzione dell’investitore che l’investimento in strumenti finanziari emessi da start vip innovative è illiquido e connotato da un rischio molto alto“) .Peraltro, al di là del riparto del relativo onere probatorio, non mette conto in questa sede approfondire la questione e neppure rileva qui verificare se……………, quale gestore di portale, fosse davvero sottratta – ex art. 50 quìnquies TUF – alle disposizioni della parte II, titolo II, capo II, e dell’art. 22 del TUF medesimo, in difetto – ancora una volta – di prova alcuna che una società di diritto ucraino fosse effettivamente iscritta, all’epoca dei fatti, nell’apposito registro tenuto dalla Consob ai sensi del comma secondo dell’art. 50 quinquies cit, anche ai fini di cui al d.lgs. 4.3.2014 n.44 (attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui geestori di fondi di investimento alternativi, in G.U. 25.3,2014 n. 70}, salvo ai fini, tipicamente consumeristici, che si verranno dì seguito a trattare.Il nucleo “liquido” della vicenda, difatti, si incentra tutto sul rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale – al di fuori della benché minima “puntuazione” informativa e di qualsivoglia tracciatura formale (come ha riconosciuto il legale rappresentante della società in sede di interrogatorio formale) – ebbe luogo il cambio dì valuta reale con “bitcoin” (definito da attenta dottrina come uno “strumento finanziario utilizzato per compere una serie dì particolari forme di transazioni online” costituito da ” una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer”).In altra parole,………………………….quale utente–bitcoin di ……………e quale sostanziale promotore finanziario di costei ( giusta l’insistita autodefinizione quale “financial partner” della menzionata società di diritto ucraino: v. docc. in atti), ha ceduto agli attori, a fini di profitto d’impresa, la relativa moneta virtuale (non importa se già propria o se procurata ad hoc, in forza di intermediazione) in cambio di valuta reale.Di tal genere di operazioni si è occupata di recente – in termini autorevoli e convincenti – l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/E, prendendo le mosse dalla nota sentenza 22.10.2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( Causa C-264/14) . Per quanto qui interessa, tanto la CGCE quanto l’Agenzia delle Entrate italiana definiscono le operazioni in questione ( ciòè a dire “cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti”) come prestazioni di servizio a titolo oneroso ( sub specie di “intermediazioni nell’acquisto e vendita di bitcoin“) , che – in quanto “…relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” – sono riconducibili all’art.135, paragrafo I, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, onde poi trarne l’inclusione nelle prestazioni esenti ex art. 10, corrma primo, n.3), dpr n.633/1972 (non assoggettabilità ad IVA e, per converso, assoggettabilità ad IRES ed IRAP dei margini di profitto generati).Ebbene, alla luce di quanto sopra, trova conferma l’evidente natura contrattuale delle operazioni in esame, qualificabili – sul versante di  ………………………………..  come attività professionale di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori 2.In effetti, le risultanze istruttorie consentono di affermare che……………………..assunse il ruolo di “fornitore” del servizio finanziario descritto all’art. 67 ter, lett.a), b) , c) e g) : essa, invero, operò quale soggetto privato che – mediante “contratto a distanza” ex art. 50 cod. consumo e servendosi di “operatore o fornitore di tecnica di comunicazione a distanza” ( qui il gestore del portale………………..) ebbe a collocare i “bitcoin” di che trattasi, senza mai incontrare personalmente gli odierni attori ( come ha lealmente dichiarato il legale rappresentante di costei), svolgendo siffattamente quel “servizio finanziario ai consumatori” ex art. 67 bis L. cit., con accordo per fatti concludenti comprovato, ex parte actoris. dai bonifici bancari esequiti da costoro sul c/c della società,______

    Note a piè di pagina

     

    1. laddove non si ritenga addirittura – in guisa della clausola di salvezza dell’art. 67 bis del Codice del Consumo (“omissis…, fatte salve, ove non espressamente derogate, le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa, dei sistemi di pagamento e di previdenza individuale, nonché le competenze delle autorità di settore”)               –  la sussistenza della fattispecie dell’ “offerta al pubblico di prodotti finanziari” descritta dall’art.l, lett. t) e u) , del d.lvo 24.2.1998 n.58, ovvero ancora di quella dei “servizi e attività di investimento” in “valori mobiliari” ex art.l bis, comma primo, lett. c) ed), nonché comma quinto, lett. a), del d.lvo n.58 cit., avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di “qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere” (n.d.e. azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership etc.) ovvero di “qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure” ( il 2pensiero corre alla prospettata facoltà di conversione successiva dei bitcoin in valuta reale). Si avrebbe, così, la nullità delle relative transazioni tra le odierne parti in quanto poste in essere senza il rispetto della forma scritta “ad substantiam” contemplata dall’art.23 TUF, senza che possa giovare l’esonero di cui al successivo art. 50 quinquies, in difetto di prova della sussistenza dei presupposti legittimanti ivi descritti. Si preferisce, tuttavia, nel rispetto dei principi sottesi all’art.101 c.p.c., restare saldamente legati al tema consumeristico in quanto maggiormente aderente a quello principalmente dibattuto in causa.
    • ———–

    bonifici ai quali fece seguito l’accredito, in favore dei primi, di unità di criptomoneta …………..(la c.d. Virtual value : “V.V.” ), in pari misura, sul portale ucraino (e dunque, ancora un volta, con le modalità degli artt. 50 e 67 ter, 1. cit.). La premessa ricostruttiva che precede consente, ora, di affrontare con maggiore precisione il tema della mancata informazione, agitato in via risarcitoria dagli attori, per verificarne la riconducibilità al perimetro tracciato dagli artt. 67 quater, quinquies, sexies, septies, undecies della L. cit., come integrato in via regolamentare (ex art. 67 decies) dal Titolo III dell’Allegato 1 della delibera Consob n. 18592 del 26.6.2013 (Regole di condotta: artt.13-21).

    Escluso il diritto di recesso giusta la previsione dell’art.67 duodecies, comma quinto, la disciplina prevede, in estrema sintesi, che il consumatore abbia diritto:

  • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
  • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
  • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
  • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
  • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
  • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
  • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
  • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
  • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
  • lo Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.

Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.

Non si dubita, ovviamente, che gli obblighi regolamentari in questione abbiano per destinatario “naturale” il c.d. gestore dì portale (nel caso, ……) e, tuttavia, una volta accertata la simmetrica sussistenza di specifici doveri informativi gravanti anche sul fornitore dello strumento finanziario (qui la cripto-moneta finalizzata, per l’appunto, agli investimenti in partecipazioni offerte sul portale    pare ragionevole definirne il contenuto, i contorni concreti (specie, come nel caso, laddove non assolti ovvero assolti lacunosamente dal gestore) mediante la loro trasposizione in capo al “fornitore”, in esito ad un’operazione ricostruttiva volta a evitare, in via esegetica, lacune nell’ordinamento di settore.

Tracciato in tal modo il perimetro soggettivo ed oggettivo degli obblighi informativi in parola, la legge – con l’art. 67 septiesdecies – ne assicura altresì l’effettività, facendo discendere dalla violazione degli “obblighi di informativa precontrattuale” idonea ad alterare “in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche” dell’investimento:

  1. la nullità del contratto, con diritto potestativo di azione riservato al consumatore, secondo lo schema consueto delle c.d. nullità relative;

2. l’ “obbligo alla restituzione di quanto ricevuto” a carico del fornitore.

Ciò detto, non è chi non veda come, nella fattispecie, il problema della alterazione significativa della rappresentazione delle operazioni di investimento sub iudice si ponga in termini assoluti, essendo mancato qualsivoglia contatto, sia diretto che indiretto tra le parti, per l’effetto di privare in radice gli attori di qualsivoglia flusso informativo in loro favore, nel rispetto dei principi guida tracciati dal legislatore.

Inevitabile, quindi, la nullità dei contratti stipulati per facta  concludenti con gli odierni attori e, a cascata ex art. 2033 c.civ., la condanna della banca convenuta alla “restituzione di quanto ricevuto”.

Non vi è prova di danno emergente ulteriore né di danno da lucro cessante.

Sulle somme percette, come pacificamente indicate per ciascun attore ( v. docc. 1, 2 e 3 attorei), competono gli interessi legali dalla domanda al saldo, non essendo stata offerta prova del dolo dell‘accipiens tale da superare la presunzione generica di buona fede ex art. 1147 c. A questo riguardo, per quanto emerso, l’operato di……………………….parrebbe improntato non tanto a dolo quanto a grave carenza di professionalità nell’accostarsi ad attività rischiose con assoluta superficialità e noncuranza del dovere di protezione degli investitori).

Le spese seguono la soccombenza della società convenuta e si liquidano in € 8946,55, oltre CA e IVA ( se dovuta), come da notula dell’avv. ……… in data 27.9.2016, in favore degli attori, in solido tra loro.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e respinta, dichiara nulli i contratti di “cambio in bitco in………………….         inter partes e, per l’effetto, condanna…………………………………………………………………….     ….. sedente a restituire :

  • a………………………….. la somma capitale di € 7.020,33;
  • a………………………………la somma capitale di € 7.289,00;
  • a …………………………….la somma capitale di € 9395, 00;

oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo per ciascuno di essi;

condanna, infine, la società convenuta alla rifusione delle spese di lite, come sopra liquidate.

Così deciso, in Verona, il 24 gennaio 2017

Il Giudice

Dott. Andrea Mirenda

Cointestazione del conto corrente bancario: rapporti interni tra cointestatari.

Un recente arresto  offre lo spunto per ricordare alcuni principi peraltro consolidati nel pensiero giurisprudenziale a proposito del rapporto di conto corrente cointestato (Cassazione Civile, Sez. II, 04 gennaio 2018, n. 77).

In primo luogo la Corte di legittimità ribadisce che nel conto corrente cointestato il rapporto interno fra i vari correntisti cointestatari, vale a dire l’effettiva titolarità della quota spettante a ciascuno di essi sul credito o sul debito risultante dal conto, va regolamentato dall’art. 1298, comma secondo c.c., ai sensi del quale le parti di ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali, a meno che la parte interessata non dimostri che la quota spettante alcuno dei contitolari è maggiore di quella presunta. Pertanto ove la presunzione di parità delle parti non sia superata, ciascun intestatario, nei rapporti interni, non può disporre in proprio favore senza il consenso tacito dell’altro della somma depositata in misura eccedente la quota di sua spettanza, e questo sia in relazione al saldo finale del conto sia in pendenza del rapporto.

Questi in sintesi i principi affermati dalla sentenza.

Sempre per quanto riguarda i rapporti interni tra i cointestatari, peraltro, pare utile ricordare che in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di agire di uno dei cointestatari, in caso di conto firme congiunte, non si pongono problemi particolari in quanto gli atti di disposizione continueranno a dover essere compiuti da tutti i cointestatari e da tutti gli eredi .

Nella diversa ipotesi di conto a firme disgiunte – secondo quanto previsto dall’art. 14 delle N.U.B. (Norme Uniforme Bancarie) sui conti correnti di corrispondenza – la morte di uno dei cointestatari del conto non priva gli altri contitolari del diritto di continuare a disporre separatamente del saldo, a meno che uno degli interessati non proponga opposizione.

Testo della sentenza 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 novembre 2017 – 4 gennaio 2018, n. 77 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa

Fatti di causa

L’avvocato K.K.D.L.G.T. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2654/2013, depositata il 10 maggio 2013, la quale ha rigettato l’impugnazione principale dello stesso K.K.D.L.G.T. ed ha parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. contro la pronuncia di primo grado n. 6439/2005 resa dal Tribunale di Roma, condannando N. a pagare al fratello T. la somma di Euro 77.972,01, oltre interessi legali dal 18 marzo 1995 al saldo. K.K.D.L.G.N. resiste con controricorso. K.K.D.L.G.T. , con citazione dell’8 giugno 1999, convenne il fratello N. davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che quest’ultimo fosse dichiarato debitore della cifra di Lire 557.245.071, pari alla metà della somma depositata sul conto corrente Cornelio, aperto in cointestazione da K.K.D.L.G.N. e dalla madre C.E. il 26 maggio 1994 presso la banca Merril Lynch S.A., somma abusivamente prelevata dal convenuto. Assunse l’attore che l’iniziale provvista di oltre 900.000.000 di lire versata sul conto cointestato alla sua apertura fosse di esclusiva proprietà della signora C. , la quale aveva comunque poi appreso nell’aprile del 1997 che era stata disposta la chiusura del medesimo conto con autorizzazione recante la propria firma contraffatta, oltre che la firma di N. , e che era stato trasferito il saldo esistente su altro conto corrente denominato (…). L’attore aggiunse che la Banca aveva anche trattenuto in pegno alcuni titoli gestiti sul conto cointestato per la mancata restituzione di un mutuo rilasciato al fratello N. ; di tal che affermò che il debito gravante su N. fosse pari a titoli e contanti disponibili al momento della chiusura, oltre a quelli incamerati dall’istituto per il mutuo rimasto inadempiuto. Il Tribunale accolse la domanda di K.K.D.L.G.T. e condannò il fratello N. a pagare la somma di Euro 155.944,02 (pari alla metà del saldo esistente in base all’estratto al 31 marzo 1995), oltre accessori, ritenendo apocrifa la sottoscrizione di Erminia C. , nonché superata la presunzione di comproprietà delle somme versate sul conto(…). La Corte d’Appello di Roma ha poi respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. , affermando che “non può essere condivisa la tesi dell’appellante che sostiene che il fratello dovrebbe restituire anche i soldi presi a mutuo, sia perché non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento), sia perché in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. La sentenza impugnata ha invece parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , sostenendo che non potesse dirsi superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato “la fonte delle ingenti somme depositate sul conto”, e negando rilevanza alle circostanze, al contrario, valorizzate dal Tribunale, quali la vendita di immobili da parte di N. , o la notevole esposizione debitoria di N. verso la madre (Lire 385.000.000), come da assegno emesso da questo in favore della C. , assegno del quale, però, la Corte d’Appello ha detto non esser chiara la causale, aggiungendo che era comunque intenzione della madre rimettere tale debito, stando al testamento del 3 ottobre 1996, poi revocato. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

Il primo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. (e 111, comma 2, Cost.,) indicando le deduzioni istruttorie avanzate dal ricorrente per superare la presunzione di comproprietà delle somme esistenti sul conto corrente cointestato (trascritte nella parte espositiva del ricorso) e rimaste senza risposta nella sentenza impugnata. Il secondo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. denuncia l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, facendo riferimento sempre ai fatti che avrebbero consentito di superare la presunzione di comproprietà. Il terzo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. allega ancora un omesso esame di fatti anche in relazione all’art. 115 c.p.c., quanto all’affermazione della Corte d’Appello di Roma secondo cui “non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento)”, e “in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti anche in relazione agli artt. 2727 e ss. c.c. ed all’art. 115 c.p.c., quanto alle “vendite” di proprietà immobiliari compiute da N. , che avrebbero potuto alimentare la provvista sul conto cointestato. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 2727 2729 c.c., circa l’uso delle presunzioni fatto dalla Corte d’Appello. Il sesto motivo di ricorso censura l’omesso esame quanto alla documentazione allegata alla lettera della Merryl Linch del 22 aprile 1997, che negava qualsiasi versamento di somme sul conto (…) dopo quello iniziale. Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in quanto lo stesso convenuto K.K.D.L.G.N. si era difeso già nel costituirsi in primo grado senza allegare di aver in qualche modo alimentato la somma depositata sul conto cointestato. I sette motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati. Va premesso come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). La sentenza della Corte d’Appello di Roma risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa ha respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. e parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , senza rendere percepibile il fondamento della decisione, precludendo all’attuale ricorrente la possibilità di assolvere l’onere probatorio su di esso gravante e ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello ha ritenuto non superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato “la fonte delle ingenti somme depositate sul conto”; la Corte di Roma ha poi negato rilevanza alle circostanze dell’avvenuta vendita di immobili da parte di K.K.D.L.G.N. , della notevole esposizione debitoria del medesimo N. verso la madre (documentata da assegno di Lire 385.000.000), e della soggezione di N. a numerose procedure esecutive, anche da parte della stessa C. . Di conseguenza, la Corte d’Appello ha diviso tra i due correntisti cointestatari il saldo attivo esistente sul conto al 31 marzo 1995. Quanto alla vicenda che la Banca avesse incamerato alcuni titoli gestiti sul conto cointestato in conseguenza della mancata restituzione di un mutuo rilasciato a N. e garantito con gli stessi titoli, la Corte d’Appello ha sostenuto che “non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria” e che “in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. La causa va sottoposta a nuovo esame, dovendo la Corte d’Appello uniformarsi ai principi più volte ribaditi da questa Corte, secondo cui nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell’art. 1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. Peraltro, pur ove si dica insuperata la presunzione di parità delle parti, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (cfr. Cass. Sez. 2, 02/12/2013, n. 26991; Cass. Sez. 2, 19/02/2009, n. 4066; Cass. Sez. 1, 01/02/2000, n. 1087; Cass., Sez. 1, 09/07/1989, n. 3241). Al fine, allora, di ritenere non superata la presunzione di comproprietà in relazione al conto corrente (…), cointestato a K.K.D.L.G.N. ed alla madre C.E. , occorrerà spiegare perché, a fronte delle deduzioni istruttorie di K.K.D.L.G.T. , risulti non provato che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto alla C. . D’altro canto, deve essere accertato e spiegato se sussista, o meno, pur a fronte della presunzione derivante dalla cointestazione del conto, la dedotta (da K.K.D.L.G.T. ) assoluta estraneità di C.E. all’operazione di costituzione in pegno di titoli, gestiti sul conto, in favore della banca mutuante Merryl Linch a garanzia del rimborso di un finanziamento erogato a K.K.D.L.G.N. , in quanto tale prospettazione renderebbe non riferibile solidalmente la movimentazione, e la relativa esposizione debitoria, al saldo del conto corrente. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per una nuova delibazione, sulla base dei principi di diritto sopra enunciati e dei rilievi svolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

 

 

Contrattualistica. Clausole vessatorie, l’approvazione in blocco le rende inefficaci

“Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle  che non hanno carattere oneroso, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, delle clausole vessatorie.”

In un’epoca in cui il consumatore è continuamente sollecitato ad assumere impegni contrattuali mediante adesione a moduli prestampati  scarsamente intelleggibili (ad es. i contratti per l’erogazione dei servizi o per l’acquisto di prodotti  on-line) è certamente importante acquisire informazioni per difendersi dalle aggressioni dei sempre più incalzanti  e abili procacciatori o dalle offerte veicolate dalla rete .

Costituisce ormai un principio acquisito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che l’adempimento della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie può dirsi assolto soltanto quando le stesse siano oggetto di un’approvazione separata, specifica e autonoma, distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni dell’accordo. Il requisito assolve in tal modo alla finalità di richiamare l’attenzione del contraente debole verso il significato di quella determinata specifica clausola a lui sfavorevole, sicché esso può reputarsi assolto soltanto quando la sottoscrizione avviene con modalità idonee a garantire tale attenzione.

Numerose sentenze si sono susseguite nell’ultimo decennio a tale proposito  (tra le altre Cass. n. 9492/2012, Cass. n. 24262/2008, Cass. n. 5733/2008, Cass. n. 7748/2007, Cass. n. 4452/2006, Cass. n. 13890/2005 )-

Riassumiamo qui i tratti salienti di due pronunce tra le più recenti.

Il Trib.le di Reggio Emilia (Sent. 30.10.2014 ) è stato  chiamato a decidere una controversia in cui una Banca aveva risolto un contratto di leasing in seguito al mancato pagamento di alcuni canoni da parte dell’utilizzatore Alfa, ed era rientrata in possesso di beni. Il curatore del fallimento Alfa aveva evocato in giudizio la  Banca e, sul presupposto della natura traslativa del leasing e quindi dell’applicazione analogica dell’articolo 1526 c.c. aveva chiesto la restituzione dei canoni versati, con deduzione dell’equo compenso per l’uso dei beni ( nella specie era stato pagato l’86% dei canoni pattuiti).

La Banca nel costituirsi in giudizio eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito, richiamando la clausola contrattuale che prevedeva la competenza esclusiva del Foro di Milano.

Il Tribunale ha ritenuto, a questo proposito, l’inefficacia dell’approvazione della clausola, perché l’approvazione di tutte le clausole del contratto, “comprese anche quelle non vessatorie, integra un riferimento generico che priva l’approvazione della specificità e della separatezza richiesta dall’art. 1341 cc rendendo difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto realmente vessatorio, in quanto la norma richiede non solo la sottoscrizione separata ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate”

Lo stesso principio aveva affermato la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con sentenza n. 2970/12 accogliendo il ricorso della parte che assumeva che non potevano essere considerate vessatorie, in particolare, le clausole contrattuali disciplinati il corrispettivo, i tempi di esecuzione del contratto e le penali e la risoluzione del rapporto e, tra le condizioni generali, quella attinente alla documentazione ed al criterio di prevalenza, di conoscenza delle condizioni di esecuzione, in materia di inadempienze. Ha ribadito, quindi, con riferimento all’ipotesi in cui la distinta sottoscrizione richiami più condizioni generali di contratto, che l’adempimento in parola può ritenersi realizzato soltanto nel caso in cui tutte le clausole richiamate siano vessatorie, mentre il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, di quelle onerose.

 

Tribunale di Reggio Emilia. Contratti misti, come distinguere tra vendita e appalto. Risoluzione contrattuale.

Trib.le di Reggio Emilia Sentenza n. 1276/2016 pubbl. il 22/09/2016

Il caso esaminato dal Giudice del Tribunale di Reggio Emilia riguarda una fattispecie negoziale complessa, un c.d. contratto misto nel quale si fondono i singoli elementi causali di più fattispecie contrattuali utilizzate, vale a dire la compravendita e l’appalto. La fusione di tali elementi realizza un interesse unitario sul piano pratico ed economico.

In presenza di un interesse unitario, come nel caso di specie, secondo la giurisprudenza deve essere applicata la disciplina del contratto prevalente (Cass. 17 novembre 2010 n. 23215,  Cassazione Sez. Un. Civili , 12 maggio 2008, n. 11656). Questo orientamento è stato ribadito ulteriormente da una recente pronuncia della Suprema Corte, (Cass. n. 22828/2012) che è intervenuta regolando un caso di contratto misto, in cui coesistevano due fattispecie negoziali molto differenti.

Dunque il prevalere dell’una o dell’altra fattispecie contrattuale assume rilevanza in quanto determina la disciplina civilistica  applicabile al caso (ad es. in materia di vizi).

Una parte della giurisprudenza (tra le altre Cass. sez. 5^, n. 9320/2006) ritiene che   l’elemento distintivo tra compravendita e appalto sia rappresentato dalla prevalenza quantitativa dell’elemento materia  sull’elemento lavoro. Nella  fattispecie  il compito è apparso agevole per il prevalere del valore economico della prestazione di dare (materiale per pavimenti) rispetto al fare ( posa del pavimento).

Merita di essere segnalata anche una relativamente recente pronuncia della Corte di Cassazione secondo la quale   sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi (Cassazione civile, sez. II, 17/01/2014 n.872)

Assecondati tali principi, il Giudice. entrando nel merito della controversa vicenda. ha ritenuto che l’istruttoria abbia dimostrato “che Waterproofing Srl non abbia promesso qualità diverse ed ulteriori rispetto a quelle descritte nella scheda tecnica, tenuto conto del fatto che, da un lato, vi sono elementi per ritenere che il problema della corretta pulizia fosse stato fatto presente (“V. F. ha affermato che: (cap. 2) “la richiesta del signor Sempronio era di un prodotto dotato di amovibilità antiscivolosità e che doveva sopportare carichi pesanti e così io gli avevo proposto il modello GTI attraction però anziché tinta unita, con un decoro sale e pepe perché mascherava di più lo sporco rispetto alla tinta unita…….. e, dall’altro, tenuto conto del fatto che se una superficie deve essere antisdrucciolevole, è facile immaginare che non possa facilmente essere pulita con modalità di lavaggio manuali.”

Ha quindi ritenuto di rigettare la domanda di risoluzione del contratto per non averne ravvisato i presupposti, con conseguente condanna dell’opponente Beta al pagamento, in favore della Waterproofing. Srl della somma di € xxxx   oltre a quota parte delle spese processuali.”

Testo della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI   REGGIO NELL’EMILIA

SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luisa Poppi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3179/2012 promossa da:

BETA quale titolare ditta GAMMA, con il patrocinio dell’Avv. Caio, elettivamente domiciliato in VIA ALDO MORO N. 24 42013 CASALGRANDE presso il difensore Avv. Caio                                                 –  ATTORE

contro

WATERPROOFING SRL (C.F. ), con il patrocinio dell’Avv. ORLANDI GIOVANNI , elettivamente domiciliato in CORSO MAZZINI N.15 42015 CORREGGIO presso il difensore Avv. ORLANDI GIOVANNI    – CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da verbale d’udienza.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione notificato in data 21/03/12, Beta titolare dell’impresa individuale Gamma, proponeva opposizione avverso il decreto n. 930/2012, emesso in data 09/03/2012, con il quale il Tribunale di Reggio Emilia le ingiungeva il versamento, a favore della società Waterproofing Srl, della somma di € 8.731,36, oltre interessi di mora, spese e competenze della fase monitoria.

Sosteneva l’opponente che il decreto ingiuntivo doveva essere dichiarato illegittimo se non altro perchè era stato versato un acconto di € 2.910,45 e , nel merito, che la pavimentazione utilizzata era priva delle qualità promesse, inidonea all’uso e, comunque, non realizzata a regola d’arte. Formulava, quindi, le seguenti conclusioni: “Voglia l’Ill.mo Tribunale di Reggio Emilia, per i motivi esposti in premessa: In via principale e nel merito: DICHIARARE nullo, invalido, illegittimo e di nessun effetto l’opposto decreto ingiuntivo n. 930/2012 del 08.03.12 del Tribunale di Reggio Emilia e, conseguentemente, revocarlo, respingendo le domande tutte proposte dalla WATERPROOFING SRL SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Correggio (RE), Via……………., nei confronti di  Beta, in qualità di titolare della ditta individuale Gamma, corrente in……., Via …………, perchè infondate in fatto ed in diritto.

In via riconvenzionale: ACCERTARE la mancata corrispondenza, come sopra evidenziato, delle caratteristiche del prodotto fornito e posato da controparte alle richieste avanzate di Beta di conseguenza DICHIARARE la risoluzione del contratto stipulato tra le parti, per inadempimento di parte convenuta CONDANNANDO quest’ultima alla restituzione della somma già corrisposta da Beta ad € 2.910,45 oltre ad interessi come per legge ed al risarcimento del danno, quantificato in € 2.000,00 o in quella somma, maggiore o minore, che dovesse risultare in corso di causa, determinata anche in via equitativa ex art. 1226 C.C.. In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio”.

Si costituiva tempestivamente in giudizio l’opposta ed eccepiva la decadenza dal termine per la denuncia dei vizi e/o difetti di qualità, contestava il fondamento dell’opposizione e pertanto l’esistenza dei vizi e la con corretta esecuzione secondo la regola dell’arte del pavimento sul presupposto che il consulente dell’opponente aveva scelto in modo consapevole quel tipo di pavimento. Puntualizzava, inoltre, di non avere assunto impegni per quanto concerne le modalità di pulizia del pavimento e comunque per caratteristiche diverse da quelle previste dalla scheda tecnica del prodotto, consegnata all’opponente. Chiedeva, quindi, la condanna dell’opponente al pagamento della somma di euro € 5.820,91, oltre interessi di mora, -riconoscendo il mancato calcolo dell’acconto versato- e che fossero respinte le domande riconvenzionali proposte dall’opponente.

La causa veniva istruita mediante produzione documentale, audizione di testimoni e svolgimento di CTU.

Quest’ultima ha chiarito che la posa del materiale è stata eseguita con risultati tutto sommato soddisfacenti, ad eccezione di “alcune imperfezioni lungo i bordi ove i tagli non sono sempre perfetti e ove si rende necessario installare un profilo di finitura (cosa diversa dal battiscopa e da ritenersi parte integrante della fornitura, compreso nella voce “posa del materiale”: cfr. p. 19 CTU) con una spesa che si valuta in € 500 oltre IVA. Una volta installato il profilo di bordo si ritiene comunque il risultato complessivo accettabile sia dal punto di vista funzionale che estetico.”

Il punto centrale della vicenda, pertanto, rimane la difficoltà di pulizia del pavimento, oggettivamente riscontrata dal CTU, il quale ha affermato che la pulizia “non è particolarmente agevole e i migliori risultati si ottengono solo con una lavapavimenti con rotospazzola che garantisca un’azione particolarmente energica (…). Le pulizie manuali o con una lavapavimenti di caratteristiche standard non garantiscono risultati soddisfacenti e/o tempi di pulizia compatibili con le normale attività”.

Tale caratteristica (punibilità) deve ritenersi una qualità del prodotto fornito ed installato e, dunque, la sua assenza un eventuale “vizio” o “mancanza di qualità” del bene venduto.

L’eccezione di decadenza di cui all’art. 1495 c.c. formulata da parte opposta deve essere rigettata: infatti, le prove testimoniali e la produzione documentale (doc. 3 parte opponente) hanno dimostrato la reiterata denuncia dei vizi fin da un momento immediatamente successivo rispetto alla posa del pavimento (consegnato nel tardo pomeriggio del 2.9.2011 con inaugurazione del locale il giorno successivo) a cui sono seguiti reiterati sopralluoghi.

Deve, pertanto, stabilirsi a questo punto se possa o meno essere imputata a parte opposta Waterproofing Srl la scelta di quel materiale, rivelatosi poi inadeguato alle esigenze di quel tipo di esercizio commerciale (il pavimento viene definito dal CTU più adatto ad un utilizzo industriale che commerciale).

Dall’esame delle deposizioni testimoniali deve, innanzitutto, rilevarsi l’incapacità a testimoniare di Tizio, socio della Waterproofing Srl e consigliere di amministrazione (che, tra l’altro ha sottoscritto il contratto per conto di Waterproofing Srl): dalla visura camerale, infatti, emerge che la firma e la rappresentanza legale della società di fronte ai terzi spetta al presidente del CDA nonché indistintamente a tutti i componenti del consiglio di amministrazione in via tra loro disgiunta.

D’altro canto, la deposizione di Sempronio, allora compagno e attuale marito dell’opponente -per quanto in regime di separazione dei beni- deve essere valutata con estremo rigore in termini di attendibilità, seppure non di incapacità a testimoniare.

Il teste V.F. a proposito delle caratteristiche del prodotto ha così riferito: (cap 2) “la richiesta del Sempronio era di un pavimento dotato di amovibilità, antiscivolosità e che doveva sopportare carichi pesanti …”. Effettivamente tali caratteristiche risultano illustrate nella scheda del prodotto e sostanzialmente non sono state contestate.

Lo stesso teste ha dichiarato inoltre che “io avevo portato a Correggio presso il locale che sarebbe diventato la lavanderia Gamma i campionari e le schede tecniche da far visionare a un signore che credo fosse il titolare della lavanderia e che ho visto questa mattina davanti alla porta dell’ufficio del Giudice il quale sceglieva il tipo di prodotto”. ADR “eravamo presenti io, il signor Tizio, un signore che credo fosse il titolare della lavanderia perché le scelte le faceva lui e il posatore L.M.”

Il teste L. M., a sua volta, ha dichiarato: (cap.1) “si è vero, io ero presente nei locali della lavanderia a Correggio nell’estate del 2011 prima di agosto, quando il signor Sempronio ha scelto il tipo di pavimento. Oltre a me erano presenti anche V.F. e Tizio.”

Del resto, è la stessa difesa dell’opponente che conferma che Sempronio “ha seguito passo passo la realizzazione dell’intero locale come consulente della sig. Beta e ha, pertanto, affiancato la convenuta anche nella scelta della pavimentazione”.

Ed allora, non pare che l’istruttoria abbia dimostrato che Waterproofing Srl abbia promesso qualità diverse ed ulteriori rispetto a quelle descritte nella scheda tecnica, tenuto conto del fatto che da un lato che vi sono elementi per ritenere che il problema della corretta pulizia fosse stato fatto presente (“V. F. ha affermato che: (cap. 2) “la richiesta del signor Sempronio era di un prodotto dotato di amovibilità antiscivolosità e che doveva sopportare carichi pesanti e così io gli avevo proposto il modello GTI Attraction però anziché tinta unita, con un decoro sale e pepe perché mascherava di più lo sporco rispetto alla tinta unita.”; di seguito (cap. 3): confermo che il signore della lavanderia aveva scelto il colore grigio scuro uniforme”; infine (cap. 4) : “avevo detto al signore della lavanderia che le alternative possibili per le sue esigenze di non compromettere il pavimento sottostante non erano molte”; e (cap.5) . “Avevo consegnato tramite il sig. Tizio al signore della lavanderia una mattonella dimostrativa di 63,5 x 63,5 ad incastro

Tizio mi aveva confermato di avere fatto una dimostrazione”.), e dall’altro tenuto conto del fatto che se una superficie deve essere antisdrucciolevole, è facile immaginare che non possa facilmente essere pulita con modalità di lavaggio manuali.

Pertanto, e conclusivamente, il D.I. deve essere revocato in quanto l’importo ingiunto è certamente errato: € 5.820,91 contro la somma di € 8.731,36 richiesta nel decreto. Deve, infatti, essere conteggiato l’acconto versato, mentre nessuna prova è stata raggiunta in relazione ad un diverso accordo modificativo del preventivo portato nel ricorso monitorio.

Deve viceversa essere rigettata la domanda di risoluzione del contratto di cui non vi sono i presupposti, con conseguente condanna dell’opponente al pagamento, in favore di Waterproofing Srl,della somma di € 5.820,91, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

A tale proposito, deve precisarsi come non possa essere accolta la domanda di riduzione del prezzo formulata in sede di precisazione delle conclusioni: il contratto in oggetto, infatti, non può -per le sue prevalenti caratteristiche- essere qualificato come contratto di appalto.

Le spese del giudizio, tenuto conto della soccombenza reciproca, devono compensarsi per la metà, con condanna dell’opponente (prevalentemente soccombente) al pagamento della restante metà delle spese in favore dell’opposta, liquidate come da dispositivo, mentre le spese di CTU devono interamente porsi a carico di parte opponente

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia, in persona del Giudice Unico dott.ssa Luisa Poppi, uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta da Beta confronti di Waterproofing Srl  avverso il D.I. n. 930/2012, emesso in data 09/03/2012, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

-accoglie parzialmente l’opposizione per le causali di cui in parte motiva e, per l’effetto, revoca l’impugnato decreto ingiuntivo n. 930/2012 , emesso in data 09/03/2012;

-condanna Beta al  pagamento in favore di Waterproofing Srl  della somma di € 5.820,91 oltre interessi nella misura legale dalla domanda al saldo;

-condanna Beta  al  pagamento della metà spese di lite in favore di Waterproofing Srl, che si liquidano nella misura -già decurtata – di € 2.410,00 , oltre al pagamento delle spese di CTU; compensa tra le parti la restante metà.

Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.

Reggio Emilia, 22 settembre 2016

Il   Giudice dott. Luisa Poppi

 

Societario. Può essere risolto il contratto di cessione di partecipazioni sociali in caso di carenze o vizi del patrimonio ?

Sentenza n. 19814/2015   R.G.  Trib.le di Roma

La sentenza che si annota consente di fare il punto su un aspetto di indubbio  interesse,  che riguarda la cessione di partecipazioni societarie ed in particolare il caso non infrequente dell’emersione di sopravvenienze passive successivamente alla definizione dell’accordo.

Premette, il Tribunale capitolino, che costituiscono patti accessori al contratto di cessione le clausole inserite dalle parti in un contratto di compravendita di partecipazioni sociali con le quali si garantisce una certa consistenza del patrimonio sociale della società, ovvero ci si assume la responsabilità circa le sopravvenienze e sopravvivenze passive.  In quanto tali riguardano esclusivamente le parti di quel negozio, e  l’originario acquirente è legittimato a far valere i diritti che ne discendono  anche ove  abbia successivamente alienato quelle quote a un soggetto terzo.

Riportandosi poi ad un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, afferma che la consistenza patrimoniale della società nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente.

In effetti la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale, intesa come l’insieme dei diritti patrimoniali e amministrativi che qualificano lo status di socio, e come oggetto mediato la quota parte del patrimonio che, pertanto, rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta in tal senso dal cedente; in caso contrario, le eventuali carenze o vizi del patrimonio, riguardando il valore economico della società e la sfera delle valutazioni motivazionali, non possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione.

Non è necessario che la garanzia, con la quale il cedente si assume la piena responsabilità circa le carenze e i vizi della consistenza patrimoniale della società,  sia qualificata come tale, ma è sufficiente che si evinca inequivocabilmente dal contratto.

Tra le clausole che possono essere previste e introdotte nel contratto di cessione di partecipazioni societarie, quelle di garanzia tendono a garantire l’acquirente da passività potenziali o da attività inesistenti o minori, riferibili alla situazione aziendale e imprenditoriale esistente al momento della cessione , mentre gli eventuali oneri e sopravvenienze future rientrano nell’ambito del normale rischio di impresa e non possono che gravare sul cessionario.

Nel contratto di cessione di partecipazioni societarie possono essere assunti due tipi di garanzie, l’una, relativa alla quota sociale oggetto del trasferimento (c.d. nomen verum), con la quale il cedente è tenuto a garantire che la partecipazione ceduta è di sua proprietà e che ne può liberamente disporre; l’altra, connessa alla situazione patrimoniale della società, con la quale il cedente assicura la consistenza e la capacità reddituale dell’impresa (c.d. nomen bonum).

 

Trasporto – Contratto di subtrasporto: il submittente può fare valere la responsabilità risarcitoria del vettore in via diretta

 

Tribunale di Reggio Emilia  Sent. n.1203 del 23.09.14

 

Il vettore che  stipula un contratto di sub trasporto, risponde della regolarità dell’intero trasporto nei confronti del mittente, restando obbligato anche per il ritardo, la perdita o l’avaria imputabili al sub trasportatore.

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