Categoria: Commerciale

Può il creditore sociale agire contro i soci di una società in liquidazione mediante espropriazione forzata ?

Società. Il riparto di attivo con il bilancio di liquidazione

 

Massima:    L’unica sanzione prevista dall’ordinamento per il riparto effettuato dal liquidatore in violazione delle disposizioni contenute negli artt. 2491 e ss c.c. è la responsabilità del liquidatore per i danni cagionati ai creditori i sociali (art. 2491 c.c. comma 3 c.c.) laddove si ravvisi (almeno secondo una tesi) la colpa del liquidatore stesso in analogia a quanto previsto dall’art. 2495 comma 2. c.c.

IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA

Seconda sezione civile

In composizione monocratica, Giudice dr. Andrea Rat. ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile iscritta al n. 8535/2008 r.g., promossa da:

  1. M. S.R.L.. con il patrocinio dell’Avv……………. ed elettivamente domiciliata in via……., 2 Reggio Emilia presso il suo difensore;

attrice

contro

ALFA IMMOBILIARE S.R.L.;  A.S. ; P. C. ed altri  tutti con il patrocinio dell’Avv. Orlandi Giovanni ed elettivamente domiciliati in Correggio, Corso Mazzini n.15 presso il loro difensore;

CONCLUSIONI

I procuratori delle parti concludono conte da udienza del 17/11/2011.

 

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA

DECISIONE

 

  1. Per sostenere le proprie ragioni, l’attrice M.M Srl, partendo da incontestate circostanze di procede alla seguente costruzione giuridica:

”a) la società Alfa immobiliare srl è in liquidazione sin dal 30 ottobre 1998;

  1. b) la società Alfa immobiliare srl è attualmente priva di qualsiasi cespite patrimoniale attivo, giusta dichiarazione resa all’ufficiale giudiziario ai sensi dell’articolo 492 comma quattro CPC in data 17 luglio 2006;
  2. c) nel bilancio finale di liquidazione al 31 dicembre 2003 della società Alfa immobiliare srl, approvato con verbale dell’assemblea dei soci in pari data, è stato ripartito fra tutti i soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale, un attivo residuo di complessivi euro 70.088,00;
  3. d) dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, il liquidatore della società Alfa immobiliare non ha richiesto la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Questi sono i fatti.

Ai sensi dell’articolo 2493 CC il liquidatore di una società di capitali non puoi effettuare riparti a favore dei soci se non ha provveduto a pagare i creditori o ad accantonare le somme necessarie a soddisfarli.

Il riparto eseguito in violazione di tale disposizione integra un illecito sanzionato anche penalmente ai sensi dell’art. 2633 CC, che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni i liquidatori che ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, cagionano danno ai creditori.

È evidente, su tali premesse, che è il reparto effettuato in data 31 dicembre 2003 è affetto da nullità assoluta per violazione di norme imperative punto

Dalla declaratoria di nullità del reparto deriva, come conseguenza immediata e diretta, l’emersione di un credito della società nei confronti dei singoli soci per la restituzione di quanto ne ha formato oggetto “ ( cfr. Comparsa conclusionale di parte attrice).

 

In altri termini oggetto dell’accertamento sarebbe, in tesi, il credito restitutorio vantato dalla società nei confronti dei soci derivante da nullità del riparto per violazione di norme imperative.

 

  1. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non è

Le disposizioni civilistiche e penalistiche richiamate dalla difesa di parte attrice sono poste a presidio dell’interesse particolare dei creditori sociali e non proteggono, invece, un interesse pubblico e generale la cui violazione avrebbe forse consentito di ragionare in termini di patologia della fattispecie dedotta in giudizio.

L’unica sanzione prevista dall’ordinamento per il riparto effettuato dal liquidatore in violazione delle disposizioni contenute negli artt. 2491 e ss c.c. è la responsabilità del liquidatore per i danni cagionati ai creditori i sociali (art. 2491 c.c. comma 3 c.c.) laddove si ravvisi (almeno secondo una tesi) la colpa del liquidatore stesso. in analogia a quanto previsto dall’art. 2495 comma 2. c.c.

In altri termini, per tutelate l’interesse protetto dalla norma l‘ordinamento sanziona, anche penalmente, il comportamento illecito del liquidatore che pregiudichi le ragioni dei creditori sociali addossandogli la responsabilità personale per i danni cagionati a questi ultimi, ma non colpisce il bilancio ed il successivo riparto che, in assenza di una specifica ed espressa comminatoria di nullità, restano pienamente validi ed efficaci.

D’altro lato la nullità potrebbe colpire unicamente la delibera che approva il bilancio ma non il bilancio in sé considerato né, tantomeno, il successivo riparto.

Da ciò discende l’inesistenza di un obbligo restitutorio da parte dei soci e. per l‘effetto il rigetto della domanda attorea, inserita in un giudizio volto esclusivamente ad accertare 1’esistenza del credito vantato dal debitore nei confronti del terzo pignorato e nell’ambito del quale non può trovare spazio il giudizio relativo all’accertamento della responsabilità del liquidatore né un’ipotetica azione surrogatoria  della società odierna creditrice per fare valere nei confronti di terzi eventuali diritti spettanti al proprio debitore

4. Ogni altra questione assorbita

  1. Le spese, di lite liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. non essendovi motivi per derogare ai principi di cui al l’art. 91 p.c.

In proposito occorre rilevare che la magmatica normativa in materia sembra escludere l’applicazione delle tariffe professionali,  quali risultanti dal decreto ministeriale 8 Aprile 2004 numero 127 , in attesa dell’emanazione di parametri diversi, allo stato non noti. Ne discende che questo giudice deve ricorrere a parametri generali e ai criteri di cui all’articolo 2225 CC.   Anche a non ritenere che le precedenti tariffe fossero un uso normativo, esse sicuramente rimangono un criterio residuale, corrispondendo al” risultato ottenuto e al lavoro necessario” (2225 cc); si tratta infatti di un criterio che, fino ad ora, ha operato, offrendo un parametro di corrispettivi, apparentemente in linea con i costi dei servizi legali di analoghe realtà normative ( paesi di affine civiltà giuridica). Naturalmente, la divisione in diritti/onorari/spese generali è da intendersi in senso puramente convenzionale, come relatio alle precedenti tariffe, essendo la liquidazione da intendersi come liquidazione di un unico compenso;

P.Q.M.

Il Giudice de1 Tribunale di Reggio Emilia In composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al  n. 8535/2008 ogni diversa domanda, eccezione e deduzione respinte:

– rigetta la domanda attorea

-dichiara tenuta e condanna parte attrice a rifondere a parte convenuta le spese di lite che liquida in complessivi € 7.43 8.00 oltre spese generali al 12, 50% su tale somma : essa è da intendersi come compenso equo ai sensi dell’articolo 2225 c.c.; spettano infine, IVA e Cassa nelle misure di legge.

Cosi deciso in Reggio Emilia 7/2/2012.

Il Giudice

Dr. Andrea Rat

 

 

 

Arbitrato e appalto, è invalido il lodo emesso dal collegio arbitrale durante l’arco di tempo concesso al commissario liquidatore della procedura concorsuale per decidere se subentrare nel contratto d’appalto

Cassazione civile Sez. un., 23/02/2023, n.5694

IL CASO. La decisione di rimessione alle SSUU prendeva le mosse da un ricorso promosso avverso alla sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato l’impugnazione di un lodo arbitrale con cui il collegio arbitrale aveva accolto alcune delle domande proposte dalla committente e rigettato la domanda di risoluzione del contratto di subappalto. Il collegio non sarebbe stato a conoscenza del fatto che, in pendenza della procedura arbitrale, la committente era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.
Nell’ordinanza di rimessione la Seconda Sezione della Corte prospetta la soluzione sulla base di alcuni precedenti delle stesse Sezioni Unite, in cui si affermava che l’effetto attributivo di cognizione, scaturente dalla clausola arbitrale, sarebbe stato paralizzato dall’inevitabile assorbimento di tali tipologie di giudizio nello speciale procedimento di verifica dello stato passivo, con la conseguenza che l’accertamento di crediti vantati nei confronti di una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria non avrebbe potuto essere devoluta al collegio (cfr. Cass., SS.UU., 21 luglio, 2015, n. 15200).
Una soluzione come quella descritta appare, infatti, funzionale alla garanzia di realizzazione del simultaneus processus, in quanto consente il contraddittorio in un solo giudizio di tutti i creditori del debitore insolvente.
In sintesi con la pronuncia sono stati espressi i seguenti principi:
1) Il giudizio arbitrale promosso sulla base della clausola compromissoria accessoria ad un appalto e per l’accertamento di un credito da esso dipendente, diviene improcedibile al sopraggiungere della messa in liquidazione coatta amministrativa di una delle parti del contratto (nella specie, l’appaltatore), stante l’esclusività dell’accertamento del passivo nella sede concorsuale cui è comunque tenuta, ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall., la parte creditrice (nella specie, il committente), se il rapporto è ancora pendente, cioè non esaurito ai sensi dell’art. 72 l. fall.
2) Il lodo ciononostante emesso, prima della scadenza del termine di 60 giorni assegnato dall’art. 81 l. fall. all’organo concorsuale per dichiarare il proprio eventuale subentro nel contratto-presupposto e senza che siffatta dichiarazione sia intervenuta, è nullo, con conseguente inettitudine a produrre effetti nei confronti della procedura concorsuale, in quanto lo scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’apertura del concorso realizza un effetto legale ex nunc, solo risolutivamente condizionato alla decisione di subentro del commissario fin quando è possibile,  e così gli arbitri, nella fattispecie, difettano di potestas judicandi;
3) l’apertura della procedura concorsuale in pendenza del rapporto determina altresì, secondo la regola generale dell’art. 72, comma 6, l. fall., valevole anche per l’appalto, la inefficacia della clausola negoziale che ne fa dipendere la risoluzione da tale evento.

 

Per la lettura del testo integrale della sentenza accedere al seguente link:     https://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20230223/snciv@sU0@a2023@n05694@tS.clean.pdf

La protezione dei pagamenti da revocatoria fallimentare. I pagamenti effettuati nei termini d’uso

Cass. Civ., Sez. I, 26 aprile 2023, n. 10997, ord.

L’art 67 della Legge Fallimentare ( ora ridefinita Legge della crisi d’impresa) esclude da revocabilità, in caso di insolvenza dichiara dell’impresa ( id est fallimento, concordato, liquidazione coatta amministrativa), il pagamenti operati dall’impresa insolvente anche nell’arco degli ultimi sei mesi che precedono la dichiarazione d’insolvenza, se i pagamenti stessi sono effettuati “nei termini d’uso”. La giurisprudenza si è cimentata, quindi, nel compito di interpretare tale espressione posto che accade sovente che le imprese in difficoltà pagano in modo irregolare.  Accade nella prassi, infatti, che le imprese in difficoltà chiedano di modificare i termini di pagamento, peggio, adempiano in modo irregolare.
L’argomento è stato affrontato con un recentissimo arresto della Suprema Corte di Cassazione, la sentenza n.  10997/2023, con il quale è stato enunciato il seguente principio:
“L’effetto dell’esenzione dell’art. 67, terzo comma, lett. a), l. fall., è quello di rendere non revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus.  Ai fini dell’accertamento, il Giudice dovrà valutare la sussistenza di una prassi invalsa tra le parti in epoca prossima ai pagamenti revocandi.”

IL CASO. La Corte d’Appello di Perugia, ribaltando la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Terni, dichiarava la revocabilità di una serie di pagamenti, escludendo l’applicabilità dell’esenzione di cui alla lett. a) del comma 3, dell’art. 67, l.fall. Per la Corte, infatti, la circostanza che i pagamenti fossero avvenuti con un ritardo sempre maggiore rispetto a quello ritenuto “solito”, portava ad escludere la possibilità di ritenere tali ritardi nei termini d’uso, come ulteriormente comprovato  dai numerosi solleciti inviati dalla Società Alfa, creditrice, alla Società Beta, debitrice.
Sussisteva, inoltre, la scientia decoctionis dell’accipiens ( n.d.r.  la consapevolezza dello stato di decozione da parte del creditore), comprovata da elementi presuntivi quali (i) articoli di stampa; (ii) risultanze di bilancio; (iii) rifiuto del revisore di esprimere il proprio parere sul bilancio; (iv) attivazione della cassa integrazione; (v) sospensione delle forniture e interruzione dell’attività produttiva.
La società Alfa, accipiens condannata alla restituzione degli importi ricevuti, ricorreva in cassazione, chiedendo la riforma della sentenza della Corte perugina, assumendo l’erroneità del decisum del Giudice nella misura in cui aveva escluso l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 67, co. 3, lett. a), l.fall.

La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso della Società Alfa, ha cassato la sentenza impugnata e disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

In particolare, la Corte ha statuito che il giudice d’appello, pur essendo tenuto a verificare l’esistenza di una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, non si è preoccupato di accertare quale fosse la consuetudine negoziale invalsa fra le parti in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi, arrestando la propria analisi a condotte risalenti a quattro anni addietro e dunque non significative della “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione. La motivazione del giudice a quo, che risultava contraddittoria e viziata dall’omesso esame della documentazione relativa ai pagamenti avvenuti in epoca più recente, doveva dunque essere riformata.

Il testo della sentenza 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

RILEVATO

che:

  1. Il Tribunale di Terni, con sentenza n. 355/2017, respingeva la domanda proposta D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 49 e L.Fall., art. 67 da BETA s.p.a. in a.s. nei confronti di ALFA s.p.a., avente ad oggetto la revoca dei pagamenti effettuati dalla società in bonis in favore della convenuta nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di insolvenza, ritenendo che gli stessi fossero stati effettuati nei termini d’uso fra le parti e rientrassero così nell’esenzione prevista dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a).
  2. La Corte d’appello di Perugia ha accolto l’appello proposto dall’A.S. contro la decisione. Ha rilevato che, benché sin dal 2005 BETA avesse iniziato a pagare le forniture con ritardo, contenuto però entro un termine di venti – trenta giorni, “al 2007, e quindi al semestre antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza, i ritardi erano sempre aumentati, sino ad arrivare agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del giudizio” (così, testualmente, la sentenza alla pag. 4, 2 cpv).

Ha quindi ritenuto che simili ritardi non rientrassero nei termini d’uso, come del resto comprovato dai numerosi solleciti (di cui avevano esaustivamente riferito i testi escussi) che ALFA, per il tramite di suoi dipendenti, aveva provveduto a inviare a BETA nell’ultimo periodo.

Ha poi affermato che i medesimi solleciti dimostravano la scientia decoctionis della compagine appellata.

Ha aggiunto che la prova della sussistenza del presupposto soggettivo dell’azione emergeva da ulteriori, plurime circostanze conosciute nel mondo produttivo (articoli di stampa che trattavano della precaria situazione della BETA; pubblicazione del bilancio al 31 dicembre 2008 della società; rifiuto di KPMG di esprimere il proprio parere sul bilancio per l’anno successivo; attivazione della cassa integrazione per i dipendenti; sospensione delle forniture e interruzione dell’attività produttiva).

Ha pertanto dichiarato l’inefficacia dei pagamenti dedotti in giudizio, per l’importo di Euro 41.600, e ha condannato ALFA a restituire alla procedura appellante la somma predetta, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda al saldo.

  1. ALFA s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, pubblicata il 7 giugno 2019, prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso BETA s.p.a. in a.s..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

 

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L.Fall., art. 67, commi 2 e 3, lett. a): la corte d’appello, pur riconoscendo che i ritardi nei pagamenti di BETA risalivano al 2005, ed erano arrivati nel 2007 a 80/90 giorni, ha negato che rientrassero nei termini d’uso i pagamenti di cui era stata richiesta la revoca, che erano avvenuti con un ritardo della medesima consistenza; i giudici distrettuali, a dire della ricorrente, non hanno tenuto conto che la sentenza dichiarativa dell’insolvenza di BETA è stata emessa il 18 maggio 2011, e che dunque il cd. periodo sospetto non risaliva al 2007, ma, dovendo essere calcolato a ritroso da tale data, si arrestava al 17 novembre 2010, oppure hanno limitato la valutazione dei termini d’uso esistenti fra le parti al periodo anteriore al 2007.

4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 116 c.p.c., L. fall., art. 67, commi 2 e 3, lett. a): la corte d’appello – in tesi – non avrebbe compiuto un prudente apprezzamento delle prove disponibili, omettendo di analizzare compiutamente tutti i pagamenti intervenuti fra le parti dal 2005 al 2010 ai fini della valutazione in concreto dei termini d’uso esistenti e limitando la propria disamina sino al 2007; i giudici distrettuali, inoltre, avrebbero dato indebita prevalenza, nella individuazione dei termini d’uso, alle dichiarazioni testimoniali rese dai soli testi della procedura appellante, escludendo invece la valutazione sia delle prove documentali, sia delle prove testimoniali offerte a tal fine da ALFA.

4.3 Il terzo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione di fatti storici decisivi risultanti dagli atti di causa, costituiti, fra l’altro: i) dalla documentazione relativa a tempi e modalità di pagamento delle fatture adottati dalle parti nel periodo ricompreso fra il 2005 e il 2010; ii) dall’insussistenza di solleciti scritti; iii) dalle dichiarazioni testimoniali dei testi di ALFA.

4.4 Il sesto motivo di ricorso adduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli art. 116 c.p.c. e L.Fall., art. 67: la sentenza impugnata sarebbe viziata da incoerenza e illogicità nella parte in cui ha ritenuto i pagamenti tardivi come non rientranti nei termini d’uso, pur avendo riconosciuto che fra le parti i pagamenti avvenivano in ritardo sin dal 2005.

  1. I motivi, da esaminarsi congiuntamente e in via prioritaria, in applicazione del principio della ragione più liquida, sono fondati, nei termini che si vanno ad illustrare.

5.1 Questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. Cass. 27939/2020), in termini che questo collegio condivide appieno, che l’eccezione posta dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), va intesa “nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore – adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale – volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi”.

“L’effetto della disposizione di esonero e’, in definitiva, che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus:

tanto che non possano più, a quel punto, ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma siano divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti: con tutte le conseguenze relative all’inesistenza di un inadempimento dell’altro contraente (in ordine alla mora, all’art. 1460 c.c., all’azione di risoluzione, al risarcimento del danno, ecc.)”.

La norma, quindi, richiede la dimostrazione “della consistenza della quotidianità sotto il profilo delle modalità di adempimento invalse fra le parti, al fine di consentire al giudice di apprezzare se le parti nel caso di specie si fossero scostate dai termini consueti fino ad allora seguiti” (Cass. 9851/2019).

5.2 La corte di merito, chiamata a verificare la revocabilità di due pagamenti effettuati all’interno del periodo sospetto (pacificamente decorrente a ritroso dal 18 maggio 2011), ha sovvertito la decisione di primo grado, che aveva ravvisato l’esistenza dei presupposti dell’esenzione prevista dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), facendo riferimento al fatto che i ritardi invalsi nella prassi negoziale, sempre contenuti tra i venti e i trenta giorni a partire dal 2005, “approssimandosi, invece, al 2007” “erano sempre aumentati fino ad arrivare agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del presente giudizio”.

Una simile valutazione risulta viziata, innanzitutto, perché il giudice d’appello, pur essendo tenuto a verificare l’esistenza di una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, non si è preoccupato di accertare quale fosse la consuetudine negoziale invalsa fra le parti in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi, arrestando la propria analisi a condotte risalenti a quattro anni addietro e dunque non significative della “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione.

Risulta altresì fondata la doglianza concernente l’omesso esame della documentazione relativa ai pagamenti avvenuti in epoca più recente, che doveva essere esaminata dalla corte di merito al fine di verificare se la prassi seguita dalle parti a partire dal 2007 fosse proseguita anche nel periodo successivo o avesse registrato dei significativi mutamenti.

Per di più, la motivazione offerta si prospetta come contraddittoria (o quanto meno apodittica) laddove, da un lato, riconosce che i ritardi erano “sempre” aumentati fino ad arrivare “agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del presente del giudizio”, dall’altro nega rilevanza a comportamenti coerenti con una simile consuetudine ai fini dell’applicazione dell’esenzione in discorso (senza spiegare perché la lievitazione dei tempi di pagamento riscontrata fin dal 2007 non fosse idonea ad assurgere a prassi consolidata).

Giova precisare, infine, come non assumesse rilievo, al fine di sminuire la rilevanza di un’attuale prassi di dilazione nei pagamenti eventualmente esistente nei rapporti fra le parti, il riferimento ai solleciti effettuati nei confronti della debitrice.

Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di precisare che “se il ritardo rispetto alla scadenza pattiziamente convenuta sia divenuto una consuetudine, senza determinare una specifica reazione della controparte, a parte l’intimazione di solleciti, tale prassi deve ritenersi prevalente rispetto al regolamento negoziale” (Cass. 7580/2019).

  1. L’accoglimento dei motivi esaminati nei termini appena illustrati comporta l’assorbimento dei profili di censura riguardanti la scientia decoctionis nonché delle ulteriori doglianze prospettate.
  2. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, la quale, nel procedere a un nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il sesto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023

Cessione di crediti in blocco – NPL – Banche

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI REGGIO EMILIA

Il Giudice di Pace di Reggio Emilia, nella persona della Dr. Rita Rosa ha pronunciato la seguente             sentenza

nella causa iscritta nel ruolo generale affari contenziosi con il n. 3718/20198 promossa da Caio rappresentato e difeso dall’Avv.. Giovanni Orlandi in forza di procura alle liti in calce all’atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, a Correggio (Reggio Emilia), Corso Mazzini n. 15

  • parte attrice opponente

CONTRO

Istituto Finanziario S.R.L. tramite il procuratore della Tizio Srl    in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’Avv. AO e dall’avv. RZ in forza di procura in calce all’opposto ricorso per ingiunzione ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in………

  • parte convenuta opposta
  • OGGETTO: Opposizione a D.l. n. 781/2019.

CONCLUSIONI

Per parte attrice opponente: “Voglia rill.mo Giudice, ogni contraria istanza respinta e disattesa: a) accertare e dichiarare la carenza della titolarità del diritto dedotto in giudizio in capo alla Istituto Finanziario Srl e per l’effetto revocare il decreto ingiuntivo opposto (D.l. n. 781/19 del Gdp di Reggio Emilia) poiché emesso in difetto dei requisiti di legge; b) in subordine respingere le domande tutte avanzate dalla Istituto Finanziario Srl  in quanto prive di fondamento giuridico e conseguentemente revocare il decreto opposto (D.l. n. 781/19 del Gdp di Reggio Emilia). Con vittoria di spese e compensi professionali di causa. ”

Per parte convenuta opposta: “Voglia Nll.mo Giudice adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: In via preliminare nel merito: concedere la provvisoria esecutorietà dell’opposto decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso in data 8/04/2019 dal Giudice di pace di Reggio Emilia, stante la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 648 c.p.c.. In via principale nel merito rigettare l’opposizione proposta e tutte le domande in essa formulate perché infondate in fatto ed in diritto, per i motivi indicati in narrativa e per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso in data 8/04/2019 dal Giudice di pace di Reggio Emilia. In via subordinata, nel merito, in ogni caso il sig. Ghirardini al pagamento in favore dell’Istituto Finanziario  s.r.l. della diversa, maggior o minore somma che risulterà all’esito dell’espletanda istruttoria. In ogni caso con vittoria spese e compensi oltre spese generali, iva e epa come per legge nonché successive occorrende. ”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Il sig. Caio ha citato in giudizio la società Tizio s.r.l. quale procuratore di Istituto Finanziario  s.r.l. per l’udienza del giorno 14/11/2019 (differita d’ufficio all’udienza del 18/11/2019), presentando tempestiva opposizione al decreto ingiuntivo n. 781/2019 con cui il Giudice di Pace di Reggio Emilia in data 8/04/2019 ingiungeva il pagamento della somma di euro 4.458,37 a titolo di somma capitale oltre interessi moratori legali dalle date di scadenza indicate in fattura al saldo.

Parte attrice opponente eccepiva la carenza di titolarità del diritto dedotto in giudizio in capo ad Istituto Finanziario s.r.l. mancando una analitica elencazione dei crediti oggetto della domanda, eccepiva l’inefficacia della cessione per invalidità della notifica/inefficacia dell’intervenuta cessione ex art. 1264 c.c. ed infine la prescrizione del diritto di credito e concludeva chiedendone la revoca o la dichiarazione di nullità e/o inefficacia.

In data 4/11/2019 si costituiva in giudizio la società  Istituto Finanziario s.r.l. sottolineando come il credito vantato fosse stato oggetto di cessione del credito in virtù di operazione di cartolarizzazione ex artt. 1 e 4 I. n. 130 del 30/04/1999 ed art. 58 T.U.B. i cui obblighi pubblicitari erano stati assolti con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, producendo tale adempimento gli effetti indicati ex art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti e contestando il fondamento dell’eccezione di prescrizione, interrotta dalle lettere raccomandate in data 12/01/2017. Ribadiva la sussistenza del credito insistendo nelle conclusioni esposte.

Con ordinanza riservata del 22/11/2019 il G.d.p. revocava l’esecutività del D.l. opposto erroneamente dichiarata in data 16/07/2019 in pendenza di opposizione incardinata in data 8/07/2019.

All’udienza del 16/12/2019 il Gdp rigettava la richiesta di provvisoria esecutività del D.l. opposto e di concessione di termini ex art. 320 c.p.c. e ritenuta la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione fissava udienza di precisazione delle conclusioni.   All’udienza del giorno 17/02/2020, il Giudice tratteneva la causa per la decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate.

***

Ai sensi dell’art. 4 della legge I. n. 130 del 30/04/1999 si applicano, infatti, alle cartolarizzazioni le disposizioni contenute nell’articolo 58, commi 2,3 e 4, del T.U.B. che recita: “La banca cessionaria dà notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La Banca d’Italia può stabilire forme integrative di pubblicità. I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti. Nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 producono gli effetti indicati dall’arì. 1264 del codice civile.”

Questa disposizione, dunque, prevede nei confronti dei debitori ceduti un’efficacia ex lege della cessione, in deroga all’art. 1264 c.c., dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, senza necessità della notifica e dell’accettazione della cessione da parte del debitore ceduto.

Il D.l. n. 781/2019, oggetto di opposizione, è stato emesso sulla base copia della G.U. parte seconda n. 145 del 10/12/2016 contenente l’avviso della comunicazione di acquisto da parte di Istituto Finanziario da  Gamma Srl ., società costituita ai sensi della legge della cartolarizzazione, di un generico portafoglio crediti pecuniari (per capitale, interessi maturati e maturandi, accessori, spese e quant’altro spettante ivi incluso il diritto al recupero di eventuali spese legali e giudiziali e delle altre spese sostenute in relazione al recupero, comunque dovuti per legge o in base al rapporto da cui originano, sue successive modifiche, integrazioni, con ogni pattuizione relativa e/o ai sensi dei successivi provvedimenti giudiziali) che  Gamma Srl aveva precedentemente acquistato in blocco ai sensi della legge sulla Cartolarizzazione da Unicredit Credit Management Bank s.p.a., costituito da tutti i crediti derivanti da contratti di finanziamento di varia tipologia ed altri contratti bancari risultanti nella titolarità di Arena che, alla data del 25/10/2016, non fossero stati integralmente soddisfatti o comunque estinti e non avessero formato oggetto di accordi stragiudiziali e della copia del rapporto a sofferenze della posizione di Ghirardini Graziano da parte di Unicredit dal 7/02/2008 al 31/10/2016.

Se il D.l. è stato concesso in conformità alle condizioni di legge prescritte dagli artt. 634 c.p.c. ss. tuttavia, con l’opposizione a decreto ingiuntivo, si instaura un normale procedimento di cognizione, nel quale il giudice non valuta soltanto la sussistenza delle condizioni e della prova documentale necessarie per l’emanazione della ingiunzione, ma la fondatezza (e le prove relative) della pretesa creditoria nel suo complesso.

In tema di onere della prova poi, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava su chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, mentre incombe sul convenuto l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda.

Oggetto di controversia è innanzitutto la titolarità del rapporto contrattuale oggetto di cessione in capo a Istituto Finanziario s.r.l. ai sensi e per gli effetti della legge sulla Cartolarizzazione.

A parere del giudicante l’opposizione di Caio  è fondata e merita accoglimento.

La società opposta, come anticipato, ha prodotto con il fascicolo monitorio copia della G.U. parte seconda n. 145/2016 (doc. n. 1 fascicolo monitorio) e della procura speciale alla società Credit Base International s.r.l. con sigla C.B.I. S.R.L. a riscuotere i crediti (doc. n. 2 fascicolo monitorio) ma non ha ritenuto di produrre né l’atto di cessione dei crediti né altro documento a riprova che il credito azionato sia compreso tra quelli oggetto della cessione.

La sola copia del rapporto a sofferenze di  Caio nei confronti di Unicredit dal 7/02/2008 al 31/10/2016 non è idonea di per sé sola a dimostrare né quale tipologia di rapporto contrattuale fosse intercorso tra Unicredit e Caio né la congruità dell’importo preteso né, prima ancora, che la posizione dell’attore opponente sia stata effettivamente oggetto della cessione prò soluto e, conseguentemente, la titolarità del rapporto in capo ad Istituto Finanziario  s.r.l..

Per tali motivi, in mancanza di prova della sussistenza del credito ceduto in capo a Istituto Finanziario s.r.l. l’opposizione deve essere accolta ed il decreto ingiuntivo deve essere revocato.

Resta assorbita ogni ulteriore eccezione.

Le spese del presente procedimento di opposizione seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Reggio Emilia, definitivamente pronunciato, nel procedimento di opposizione a D.l. n. 781/2019 proposta da Caio nei confronti di Istituto Finanziario S.R.L ogni contraria e diversa domanda ed eccezione disattesa e respinta:

accoglie l’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso dal Giudice di Pace di Reggio Emilia.

Dichiara tenuta e condanna Istituto Finanziario s.r.l. in persona del l.r.p.t. alla rifusione delle spese processuali nei confronti di parte attrice opponente che liquida in euro XXXXXX, per compensi professionali oltre spese generali, Iva se dovuta e Cpa come per legge.

Dichiara la sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge.

Reggio Emilia,   li 4 Marzo 2020

Cessione di ramo d’azienda, configurabilità,

Secondo  Cass. n. 7364 del 2021  la Corte europea ha costantemente ribadito il principio secondo il quale, per determinare se siano soddisfatte o meno le condizioni per l’applicabilità della direttiva in materia di trasferimento d’impresa, occorre “prendere in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo d’impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno degli elementi materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi materiali al momento del trasferimento, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività”, ma “questi elementi, tuttavia, sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere valutati isolatamente”; si è altresì evidenziato che “l’importanza da attribuire rispettivamente ai singoli criteri varia necessariamente in funzione dell’attività esercitata, o addirittura in funzione dei metodi di produzione o di gestione utilizzati nell’impresa, nello stabilimento o nella parte di stabilimento di cui trattasi”

Ne consegue che, come nel caso oggetto del giudizio,  e conformemente a quando affermato dalla giurisprudenza della CGUE, il trasferimento del ramo d’azienda è configurabile  anche quando oggetto della cessione sia un gruppo organizzato di dipendenti stabilmente assegnato a un compito comune senza elementi materiali significativi, purché tale entità preesista al trasferimento e sia in grado di svolgere quello specifico servizio prescindendo dalla struttura dalla quale viene estrapolata, in favore di una platea indistinta di potenziali clienti

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20210316/snciv@sL0@a2021@n07364@tS.clean.pdf

Operazione di crowdfunding mediante cambio valuta in bitcoin

Il Tribunale scaligero,  nell’affrontare per  primo  temi di grande attualità  quali quelli delle  monete virtuali e del crowdfounding, appurata la totale assenza, nella singola operazione, di informativa fornita al cliente, così come di un documento contrattuale redatto per iscritto, e quindi la violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale di cui agli artt. 67-duodecies ss. Codice Consumo «violazione degli obblighi di informativa precontrattuale, idonea ad alterare in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche dell’investimento», ha affermato la nullità del contratto (ex art. 67-septiesdecies cod. cons.) e, a cascata ex art. 2033 c.c., il conseguente obbligo per la società di cambio di restituire il capitale in Euro investito dagli attori  ( Tribunale di Verona Sent. n. 195 del 2017 ) .

ll testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di VERONA SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Unico Dott. Andrea Mirenda

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 14185/2014 R.G. promossa da:

V………. (C.F………) con il patrocinio degli aw. …….. …………………….

ATTORE 

contro:

L…. (C.F………………)

e , con elezione di domicilio in….. presso e nello studio dell’avv………..

 CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza, che qui si intendono richiamati

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITO-                               

rilevato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo;

ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, SS.UU. 16.1.2015 n. 642; v. anche Cass. 3636/07), la cui ammissibilità – come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta risultava del resto già codificata dall’art.16 del d.lgs 5/03, a sua volta recettivo dei previ orientamenti giurisprudenziali;

osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni – di fatto e di diritto – “rilevanti ai fini della decisione” concretamente adottata 1 ;

che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come “omesse” (per l’effetto dell’ error in procedendo), ben potendo esse risultare

semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico­giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante;

richiamato il contenuto della citazione con la quale    hanno dedotto l’inesistenza dl contratto con………..

 avente ad oggetto l’ordine di acquisto azionari e/o  il quale in ogni caso sarebbe da   considerarsi nullo per violazione della normativa in tema di equity crowdfunding (D.L. 179/2012, convertito con modificazioni con la L. 221/2012) e del Codice del Consumo ( D.lgs. 206/2005)” e hanno, quindi, richiesto – ex art. 2033 c.civ. – la restituzione delle somme versate alla convenuta;

richiamata, del pari, la comparsa di risposta dei convenuti che, nel contestare la fondatezza della domanda e nel chiederne il rigetto, facevano rilevare ” come unico dato certo e incontrovertibile fosse l’accredito da parte di   sugli accounts privati degli attori – come peraltro da

loro medesimi affermato e provato – di quanto loro promesso, id est quote di partecipazione in “start up” presenti sullo stesso portale Uinvest”;

richiamate le risultanze dell’istruttoria orale espletata (prova per testi e per interpello del convenuto                           ;

tanto premesso, osserva:

l’istruttoria ha consentito di chiarire i termini “di fatto” dell’odierna vicenda.

Giova senz’altro la descrizione fornitane dal …………..nel suo interrogatorio formale (al netto della riserva assoluta in favore del giudicante circa la qualificazione giuridica della fattispecie concreta in esame)in quanto sostanzialmente coerente con gli scarni elementi documentali in atti, qui rappresentati, oltre che dai bonifici eseguiti dagli attori in favore della società del ¿al prospetto

contratto di partenariato della società convenuta con         ( contratto

che, a stretto rigore, non assurgerebbe alla dignità di prova scritta trattandosi di res inter alios acta).

 Il ……………..»   così risponde:                             

  “Sul primo capitolo” Nulla so sulle competenze finanziarie e in materia di investimenti mobiliari delle attrici; io mi sono limitato ad operare non come intermediario finanziario, bensì come financial partner di……. nella materia della c.d. criptovaluta. In breve, le attrici hanno individuato la nostra società come partner di………………………………………………….incaricata di  consegnare, dietro bonifico, “moneta ……” in pari misura, con la quale le attrici, poi, avrebbero potuto acquistare quote di partecipazioni in “start up” presenti sul portale…………………………………………….

Per la migliore definizione del nostro rapporto con…………………, mi riporto al contratto già dimesso in atti.

Sul capitolo 2): conoscevo il sig…………………………………………….( n.d.e., del quale ha parlato il teste ……………………. come colui che avvicinò e introdusse le attrici all’investimento per cui è causa) e lo conosco tutt’ora, il qual è un collaboratore non nostro bensi di……………………………………Lui mi metteva al corrente di potenziali clienti intenzionati ad acquistare “valuta……………………………………o a riscuotere denaro, in cambio della restituzione di tale valuta.

Omissis…… Confermo di aver ricevuto dalle attrici i bonifici di cui al capitolo 6, in esito ai quali attribuii loro pari  valore di “moneta…………..che acquistai a mia volta da altri investitori che avevano esercitato il diritto alla riconsegna del denaro.

Sul capitolo 5: è vero, mai alcun contratto o ordine scritto ci fu tra noi e le attrici in quanto il rapporto era costituito con……………………….

Sul capitolo 11: gli account ( creati direttamente dagli attori presso ……., n.d.e.) non funzionarono, nel senso che effettivamente non fu possibile prelevare le somme. Preciso che si trattava di account legati a ………………….cercò di ovviare a questo problema creando dei “top fund” che riuscirono a restituire gran parte o la totalità del capitale investito nell’arco di 24 mesi, ovvero somme ridotte in tempo reale. Altro rimedio fu quello dell’emanazione di carte di debito che pure funzionarono per quattro mesi, fino al fallimento dell’emittente……………….

In definitiva, per quanto è emerso, gli attori corrisposero alla società convenuta (non al ……………….. che di quella società di capitali era solo il legale rappresentante), somme in valuta reale, ricevendone in cambio valuta ……………….che gli stessi impiegarono, poi, presso il portale ucraino al fine di dar corso agli investimenti di varia natura e specie ivi descritti e disciplinati, il tutto nell’ambito del chiaro partenariato che legava ………………………………………………… a quel gestore (si veda, in tal senso, la documentazione dimessa da ambo le parti in atti, sia in sede di costituzione che con le successive memorie ex art. 183, comma sesto, cpc).

Parte attrice, come detto, nel rilevare l’assoluta assenza di forme scritte e di qualsivoglia informativa precontrattuale a sostegno delle operazioni impugnate, invoca la tutela consumeristica di cui agli artt.67 e ss. del Codice del Consumo.

Parte convenuta, di contro, inquadra le operazioni in esame nell’ambito del c.d. eguity crowfunding, ciò è a dire in quelle attività volte, per quanto qui interessa, a proporre – mediante una piattaforma digitale dette “portale” ed affidata al “gestore di portale” iscritto nell’apposito registro ex art.50 quinquies TUF in conformità al Regolamento di cui alla delibera CONSOB 26.6.2013 n. 18592 (in G. Uff. n. 162 del 12.7.2013) – investimenti finalizzati all’acquisto di partecipazioni in start up innovative (operanti quali “emittenti” di strumenti finanziari).

Sempre i convenuti evidenziano come……………………………..     nella veste di gestore del relativo portale e di prestatore di attività funzionali all’utilizzo, scambio e conservazione di valute virtuali e alla conversione di esse con valute reali:

  • non avesse operato come intermediario finanziario e/o prestatore di servizi di investimento;
    • non fosse tenuta ad osservare la normativa antiriciclaggio, giusta l’autorevole conclusione raggiunta sul punto da l’UNITA’ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (U.I.F.);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • non fosse tenuta a fornire agli odierni attori ulteriori informazioni rispetto a quelle, già specifiche e adeguate, fornite loro grazie all’accesso e all’iscrizione (ciascuno con proprio account personale] al portale gestito dalla società di diritto ucraino (iscrizione a cui conseguì l’erogazione della prestazione pattuita).
  • Va detto, tuttavia, quanto al preteso assolvimento dei doveri informativi gravanti sul “soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali di rischio per le start up innovative ” (secondo la definizione datane dall’art. 2 dell’Allegato 1 della Delibera Consob n.18592/2013) , come – nella realtà del processo – l’affermazione non abbia trovato concreto riscontro, nulla essendo comprovatamente emerso (al di là di mere affermazioni labiali e della produzione non confermata di un documento indicato come “Prospetto…………”, circa le caratteristiche e i contenuti obiettivi del portale medesimo, onde verificare il rispetto degli artt. 13 e ss. dell’All.l cit e, ancor più, dell’art.23 dell’Allegato 3, lì dove impone al gestore di assicurare “che per ciascuna offerta sia preliminarmente riportata con evidenza grafica la seguente avvertenza: Le informazioni sull’offerta non sono sottoposte ad approvazione da parte della Consob. L’emittente è l’esclusivo responsabile della completezza e della veridicità dei dati delle Informazioni dallo stesso fornite, Si richiama inoltre l’attenzione dell’investitore che l’investimento in strumenti finanziari emessi da start vip innovative è illiquido e connotato da un rischio molto alto“) .Peraltro, al di là del riparto del relativo onere probatorio, non mette conto in questa sede approfondire la questione e neppure rileva qui verificare se……………, quale gestore di portale, fosse davvero sottratta – ex art. 50 quìnquies TUF – alle disposizioni della parte II, titolo II, capo II, e dell’art. 22 del TUF medesimo, in difetto – ancora una volta – di prova alcuna che una società di diritto ucraino fosse effettivamente iscritta, all’epoca dei fatti, nell’apposito registro tenuto dalla Consob ai sensi del comma secondo dell’art. 50 quinquies cit, anche ai fini di cui al d.lgs. 4.3.2014 n.44 (attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui geestori di fondi di investimento alternativi, in G.U. 25.3,2014 n. 70}, salvo ai fini, tipicamente consumeristici, che si verranno dì seguito a trattare.Il nucleo “liquido” della vicenda, difatti, si incentra tutto sul rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale – al di fuori della benché minima “puntuazione” informativa e di qualsivoglia tracciatura formale (come ha riconosciuto il legale rappresentante della società in sede di interrogatorio formale) – ebbe luogo il cambio dì valuta reale con “bitcoin” (definito da attenta dottrina come uno “strumento finanziario utilizzato per compere una serie dì particolari forme di transazioni online” costituito da ” una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer”).In altra parole,………………………….quale utente–bitcoin di ……………e quale sostanziale promotore finanziario di costei ( giusta l’insistita autodefinizione quale “financial partner” della menzionata società di diritto ucraino: v. docc. in atti), ha ceduto agli attori, a fini di profitto d’impresa, la relativa moneta virtuale (non importa se già propria o se procurata ad hoc, in forza di intermediazione) in cambio di valuta reale.Di tal genere di operazioni si è occupata di recente – in termini autorevoli e convincenti – l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/E, prendendo le mosse dalla nota sentenza 22.10.2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( Causa C-264/14) . Per quanto qui interessa, tanto la CGCE quanto l’Agenzia delle Entrate italiana definiscono le operazioni in questione ( ciòè a dire “cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti”) come prestazioni di servizio a titolo oneroso ( sub specie di “intermediazioni nell’acquisto e vendita di bitcoin“) , che – in quanto “…relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” – sono riconducibili all’art.135, paragrafo I, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, onde poi trarne l’inclusione nelle prestazioni esenti ex art. 10, corrma primo, n.3), dpr n.633/1972 (non assoggettabilità ad IVA e, per converso, assoggettabilità ad IRES ed IRAP dei margini di profitto generati).Ebbene, alla luce di quanto sopra, trova conferma l’evidente natura contrattuale delle operazioni in esame, qualificabili – sul versante di  ………………………………..  come attività professionale di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori 2.In effetti, le risultanze istruttorie consentono di affermare che……………………..assunse il ruolo di “fornitore” del servizio finanziario descritto all’art. 67 ter, lett.a), b) , c) e g) : essa, invero, operò quale soggetto privato che – mediante “contratto a distanza” ex art. 50 cod. consumo e servendosi di “operatore o fornitore di tecnica di comunicazione a distanza” ( qui il gestore del portale………………..) ebbe a collocare i “bitcoin” di che trattasi, senza mai incontrare personalmente gli odierni attori ( come ha lealmente dichiarato il legale rappresentante di costei), svolgendo siffattamente quel “servizio finanziario ai consumatori” ex art. 67 bis L. cit., con accordo per fatti concludenti comprovato, ex parte actoris. dai bonifici bancari esequiti da costoro sul c/c della società,______

    Note a piè di pagina

     

    1. laddove non si ritenga addirittura – in guisa della clausola di salvezza dell’art. 67 bis del Codice del Consumo (“omissis…, fatte salve, ove non espressamente derogate, le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa, dei sistemi di pagamento e di previdenza individuale, nonché le competenze delle autorità di settore”)               –  la sussistenza della fattispecie dell’ “offerta al pubblico di prodotti finanziari” descritta dall’art.l, lett. t) e u) , del d.lvo 24.2.1998 n.58, ovvero ancora di quella dei “servizi e attività di investimento” in “valori mobiliari” ex art.l bis, comma primo, lett. c) ed), nonché comma quinto, lett. a), del d.lvo n.58 cit., avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di “qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere” (n.d.e. azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership etc.) ovvero di “qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure” ( il 2pensiero corre alla prospettata facoltà di conversione successiva dei bitcoin in valuta reale). Si avrebbe, così, la nullità delle relative transazioni tra le odierne parti in quanto poste in essere senza il rispetto della forma scritta “ad substantiam” contemplata dall’art.23 TUF, senza che possa giovare l’esonero di cui al successivo art. 50 quinquies, in difetto di prova della sussistenza dei presupposti legittimanti ivi descritti. Si preferisce, tuttavia, nel rispetto dei principi sottesi all’art.101 c.p.c., restare saldamente legati al tema consumeristico in quanto maggiormente aderente a quello principalmente dibattuto in causa.
    • ———–

    bonifici ai quali fece seguito l’accredito, in favore dei primi, di unità di criptomoneta …………..(la c.d. Virtual value : “V.V.” ), in pari misura, sul portale ucraino (e dunque, ancora un volta, con le modalità degli artt. 50 e 67 ter, 1. cit.). La premessa ricostruttiva che precede consente, ora, di affrontare con maggiore precisione il tema della mancata informazione, agitato in via risarcitoria dagli attori, per verificarne la riconducibilità al perimetro tracciato dagli artt. 67 quater, quinquies, sexies, septies, undecies della L. cit., come integrato in via regolamentare (ex art. 67 decies) dal Titolo III dell’Allegato 1 della delibera Consob n. 18592 del 26.6.2013 (Regole di condotta: artt.13-21).

    Escluso il diritto di recesso giusta la previsione dell’art.67 duodecies, comma quinto, la disciplina prevede, in estrema sintesi, che il consumatore abbia diritto:

  • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
  • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
  • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
  • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
  • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
  • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
  • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
  • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
  • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
  • lo Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.

Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.

Non si dubita, ovviamente, che gli obblighi regolamentari in questione abbiano per destinatario “naturale” il c.d. gestore dì portale (nel caso, ……) e, tuttavia, una volta accertata la simmetrica sussistenza di specifici doveri informativi gravanti anche sul fornitore dello strumento finanziario (qui la cripto-moneta finalizzata, per l’appunto, agli investimenti in partecipazioni offerte sul portale    pare ragionevole definirne il contenuto, i contorni concreti (specie, come nel caso, laddove non assolti ovvero assolti lacunosamente dal gestore) mediante la loro trasposizione in capo al “fornitore”, in esito ad un’operazione ricostruttiva volta a evitare, in via esegetica, lacune nell’ordinamento di settore.

Tracciato in tal modo il perimetro soggettivo ed oggettivo degli obblighi informativi in parola, la legge – con l’art. 67 septiesdecies – ne assicura altresì l’effettività, facendo discendere dalla violazione degli “obblighi di informativa precontrattuale” idonea ad alterare “in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche” dell’investimento:

  1. la nullità del contratto, con diritto potestativo di azione riservato al consumatore, secondo lo schema consueto delle c.d. nullità relative;

2. l’ “obbligo alla restituzione di quanto ricevuto” a carico del fornitore.

Ciò detto, non è chi non veda come, nella fattispecie, il problema della alterazione significativa della rappresentazione delle operazioni di investimento sub iudice si ponga in termini assoluti, essendo mancato qualsivoglia contatto, sia diretto che indiretto tra le parti, per l’effetto di privare in radice gli attori di qualsivoglia flusso informativo in loro favore, nel rispetto dei principi guida tracciati dal legislatore.

Inevitabile, quindi, la nullità dei contratti stipulati per facta  concludenti con gli odierni attori e, a cascata ex art. 2033 c.civ., la condanna della banca convenuta alla “restituzione di quanto ricevuto”.

Non vi è prova di danno emergente ulteriore né di danno da lucro cessante.

Sulle somme percette, come pacificamente indicate per ciascun attore ( v. docc. 1, 2 e 3 attorei), competono gli interessi legali dalla domanda al saldo, non essendo stata offerta prova del dolo dell‘accipiens tale da superare la presunzione generica di buona fede ex art. 1147 c. A questo riguardo, per quanto emerso, l’operato di……………………….parrebbe improntato non tanto a dolo quanto a grave carenza di professionalità nell’accostarsi ad attività rischiose con assoluta superficialità e noncuranza del dovere di protezione degli investitori).

Le spese seguono la soccombenza della società convenuta e si liquidano in € 8946,55, oltre CA e IVA ( se dovuta), come da notula dell’avv. ……… in data 27.9.2016, in favore degli attori, in solido tra loro.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e respinta, dichiara nulli i contratti di “cambio in bitco in………………….         inter partes e, per l’effetto, condanna…………………………………………………………………….     ….. sedente a restituire :

  • a………………………….. la somma capitale di € 7.020,33;
  • a………………………………la somma capitale di € 7.289,00;
  • a …………………………….la somma capitale di € 9395, 00;

oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo per ciascuno di essi;

condanna, infine, la società convenuta alla rifusione delle spese di lite, come sopra liquidate.

Così deciso, in Verona, il 24 gennaio 2017

Il Giudice

Dott. Andrea Mirenda

Cessione di crediti, quando può dirsi vincolante nei confronti del debitore ceduto

Cass. n. 26 maggio 2014, n. 19199

Una sentenza non più recentissima – che conferma tuttavia un orientamento consolidato in una materia che non registra successivi contributi giurisprudenziali – ci offre l’occasione per alcune considerazioni a proposito della cessione dei crediti .

Insegna l’art. 1264 cc che la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata.

Il secondo comma, prevede, tuttavia, che anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione.

Secondo la pronuncia in parola della Corte di Cassazione, la regola dettata al secondo comma del citato articolo, deve essere coordinata con le norme che regolano l’opponibilità della cessione ai creditori del cedente, in particolare con la previsione dell’inopponibilità a questi della cessione che sia stata notificata al debitore in data successiva alla dichiarazione di fallimento del cedente medesimo o al pignoramento del credito, ai sensi degli artt. 2914, n. 2, c.c. e 45 L.F

In proposito giova ricordare che è possibile anche procedere alla cessione non solo di crediti già sorti, ma anche di crediti futuri o sperati, a condizione che nel momento della cessione esista già il rapporto di credito da cui i crediti dovrebbero nascere.

In caso di fallimento, tuttavia, per opporre efficacemente la cessione al curatore è necessario non solo che il credito sia sorto, ma anche che sia divenuto esigibile prima della dichiarazione di fallimento ( C. Cass. 29.12.2000 n. 16235)

Pere utile altresì’ segnalare i seguenti principi giuridici affermati in materia dalla Suprema Corte:

L’art. 1264 cod. civ. non individua il soggetto tenuto a notificare la cessione del credito, sicché la notificazione, che ha solo l’effetto di rendere la cessione opponibile al debitore ceduto, può essere effettuata sia dal cedente che dal cessionario (Cassazione civile sez. VI  13 marzo 2014, n. 5869).

La notificazione della cessione del credito al debitore ceduto, prevista dall’art. 1264 cod. civ., costituisce atto a forma libera, purché idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, e, pertanto, può essere effettuata sia mediante ricorso per decreto ingiuntivo, sia mediante comunicazione operata nel corso del successivo giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. (Cassazione civile sez. III  28 gennaio 2014 n. 1770).

Pratiche anticoncorrenziali: abuso di posizione dominante

TRIBUNALE DI BERGAMO

QUARTA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Designato

Dott. Cesare Massetti

Sul ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalla soc. Cesaretti

Agricoltura s.r.l. nei confronti della soc. Same Deutz – Fahr Italia

s.p.a.;

letti gli atti del procedimento;

sentite le parti all’udienza tenutasi il 20 dicembre 2016;

a scioglimento della riserva formulata nel corso di tale udienza;

premesso che:

– la ricorrente Cesaretti Agricoltura lamenta un abuso di

dipendenza economica ex art. 9 L. n. 192/1998 (c.d. legge subfornitura),

concretatosi nel recesso ad nutum dai contratti di concessione di

vendita in corso, oltre che nell’imposizione di una serie di clausole

vessatorie; chiede emettersi ordine di astensione dal porre in essere

qualsiasi comportamento volto a cessare le relazioni contrattuali con

la ricorrente, con l’applicazione di una penale per ogni ulteriore

violazione o ritardo; preannuncia una causa di merito di inibitoria e di

risarcimento danni;

– la resistente Same Deutz – Fahr Italia, eccepita

pregiudizialmente l’incompetenza del giudice adito, contesta nel

merito la sussistenza della dipendenza economica e dell’abuso, e

ravvisa la giusta causa del recesso negli inadempimenti del

concessionario sotto plurimi profili (andamento negativo delle

vendite, mancato allestimento di un’officina per il servizio di

assistenza postvendita, irregolarità nel pagamento degli acquisti);

– il procedimento è stato, quindi, istruito mediante assunzione di

sommarie informazioni testimoniali;

ritenuto che:

– I) l’eccezione pregiudiziale di incompetenza, sollevata dalla

resistente, è infondata.

Tale eccezione muove dagli artt. 2359 co. 1 n. 3 c.c. – 3 D.Lgs.

  1. 168/2003, come modificato dalla L. n. 27/2012, che affidano al

Tribunale delle Imprese la cognizione delle cause in tema di società

controllate, e segnatamente in tema di società che sono sotto

l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli

contrattuali.

In verità la Cesaretti non ha mai insinuato di essere sotto

l’influenza dominante della Same, piuttosto ha enucleato i particolari

vincoli contrattuali che, in uno ad altre circostanze, ne evidenziano la

mera dipendenza economica.

Di un controllo esterno contrattuale non si parla nel ricorso, e la

lettura che ne fa la resistente costituisce un’evidente forzatura. Il

“dominio” non emerge neppure dagli atti, sulla cui base va decisa la

questione di competenza, ex art. 38 u.c. c.p.c..

Pare anche inutile sottolineare che l’abuso di dipendenza

economica (art. 9 legge subfornitura) e i rapporti tra società controllate (art.

2359 c.c.) ovvero l’abuso dell’attività di direzione e di coordinamento di

società (art. 2947 c.c.) costituiscono fattispecie giuridiche nettamente

diverse.

Il controllo ex art. 2359 co. 1 n. 3 c.c. postula l’esistenza di

determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare

rappresentano la condizione di esistenza e di sopravvivenza della

capacità di impresa della società controllata (Cass. n. 12094/2001).

Tale situazione non è certamente rinvenibile nella fattispecie concreta, solo avuto riguardo all’assenza di un’esclusiva, all’indubbia autonomia

gestionale della Cesaretti e alla mancanza di poteri di concreta

ingerenza da parte della Same.

L’abuso di dipendenza economica rientra pacificamente nella

competenza del Tribunale Ordinario (Cass. n. 22584/2015).

Resta così ferma la competenza del Tribunale di Bergamo;

– II) in esordio la resistente contesta l’applicabilità dell’art. 9 cit.

in ambiti diversi dalla subfornitura.

L’assunto non è, tuttavia, condivisibile.

L’art. 9 L. 18 giugno 1990 n. 192 dispone che “1. È vietato

l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza

economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una

impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la

situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti

commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e

di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche

della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire

sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L’abuso può anche consistere

nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di

condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie,

nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. 3. Il

patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è

nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia

di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il

risarcimento dei danni. 3-bis. Ferma restando l’eventuale

applicazione dell’articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287,

l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora

ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la

tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi

ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed

esperimento dell’istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste

dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti

dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In

caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto

legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle

imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso

si configura a prescindere dall’accertamento della dipendenza

economica”.

Contrariamente all’opinione della resistente, la norma de qua è

di generale applicazione, non essendo limitata ai soli rapporti di

subfornitura.

In tal senso depongono l’uso dei termini “cliente” e “fornitrice”,

non altrimenti impiegati nella legge subfornitura; la genesi della

disposizione, che in origine era destinata a essere inserita

(completandola) nella legislazione antitrust, sulla scia dei modelli

tedesco e francese, e che solo per effetto del parere contrario espresso

dal Garante della Concorrenza è stata spostata all’interno di una legge

settoriale; la ratio della norma, finalizzata a tutelare la correttezza e la

buona fede nei rapporti commerciali tra imprese e a vietare l’abuso del

diritto (principi – questi – che si applicano a tutti i contratti); e, infine,

l’aggiunta del co. 3 bis (in riferimento ai poteri di diffida e di sanzione

del Garante della Concorrenza nei casi in cui l’abuso assume una

rilevanza anche nell’ottica della tutela del mercato e della

concorrenza), che è valso a recuperarne la vocazione di carattere

generale.

Per l’interpretazione estensiva si sono espresse la miglior

dottrina, la più recente e prevalente giurisprudenza di merito (Tribunale

Bari 6 maggio 2002, Tribunale Taranto 17 settembre 2003, Tribunale Roma 5 novembre

2003, Tribunale Catania 5 gennaio 2004, Tribunale Bari 22 ottobre 2004, Tribunale

Trieste 21 settembre 2006, Tribunale Torre Annunziata 30 marzo 2007, Tribunale Catania

9 luglio 2009, Tribunale Roma 30 novembre 2009, Tribunale Torino 11 marzo 2010, Tribunale Forlì 27 ottobre 2010, Tribunale Torino 21 novembre 2013, Tribunale Massa 26 febbraio 2014 e 15 maggio 2014, Tribunale Vercelli 14 novembre 2014) e, last but non least, la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 24906/2011, in linea di obiter dictum, e Cass. n. 16787/2014).

Prova ne sia che, nella prassi (al di là della soluzione del caso

concreto, nel senso che la tutela sia stata, poi, accordata o meno),

l’abuso di dipendenza economica è stato ritenuto configurabile in una

moltitudine di campi: dalla concessione di vendita al franchising, dalla

vendita all’appalto, dal trasporto alla logistica. Il caso più frequente è

proprio quello della distribuzione integrata di veicoli. E nel settore

degli idrocarburi l’applicazione dell’art. 9 è stata, addirittura, sancita allo stesso legislatore con il c.d. decreto Cresci Italia (art. 17 co. 3 D.L.

24 gennaio 2012 n. 1 convertito in L. 24 marzo 2012 n. 27).

Si può, quindi, serenamente concludere nel senso che l’art. 9 si

applica a tutti i rapporti di collaborazione tra imprese, nelle fasi della

produzione e/o della distribuzione.

Nel caso di specie si verte, appunto, in tema concessioni di

vendita, e quindi di “distribuzione”;

– III) Prima di scendere all’esame del merito, pare opportuno

esporre taluni brevi concetti sull’istituto di cui si discute.

La dipendenza economica (countervailing power) è la

situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti

commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di

obblighi, a tal fine dovendo tenersi conto della reale possibilità per la

parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato delle alternative

soddisfacenti.

Malgrado l’ambiguità dell’uso dell’avverbio “anche”, è

communis opinio che l’impossibilità di reperire delle alternative

soddisfacenti rivesta un ruolo centrale nella valutazione circa la

dipendenza economica, senza la quale è ultronea ogni indagine

sull’abuso.

Infatti, il primo e il principale sintomo della dipendenza è

rappresentato dall’esecuzione da parte dell’imprenditore debole di una

serie di investimenti specifici (relational specific investments),

nell’ottica di far fronte agli impegni contrattuali assunti con

l’imprenditore forte. L’imprenditore debole si trova così esposto al

ricatto (hold up) dell’imprenditore forte, giacchè la minaccia di

interruzione del rapporto lo costringe a proseguirlo accettando

condizioni inique, di fronte all’eventualità (laddove sul mercato non

siano reperibili dei validi “sostituti”) di non riuscire ad ammortizzare

gli investimenti che ha fatto nel tempo, o di dover affrontare dei costi

elevati per la loro riconversione (switching costs).

Tipici i casi della distribuzione integrata di veicoli e del franchising, dove – rispettivamente – il concessionario e il franchisee,

avvinti da un contratto che li lega in esclusiva all’altra parte e che

impone loro dei minimi di target, effettuano cospicui investimenti

nell’attività (per allestire i locali, per assumere del personale, per

acquisire il know how, per sostenere campagne promozionali, etc.), ciò

anche e soprattutto nell’interesse del partner forte, nella speranza di

un lungo periodo di collaborazione: investimenti che, in caso di

recesso ad nutum, vengono ad essere vanificati e difficilmente

possono essere riconvertiti.

A dir il vero per l’accertamento della dipendenza economica

soccorrono altri criteri ausiliari (le dimensioni dell’impresa, il

fatturato, la specializzazione, l’utilizzo di licenze di brevetto marchio

o insegna, l’appartenenza a gruppi, la durata del rapporto, l’esistenza

di un’esclusiva), ma quello dell’alternativa di mercato rimane senza

dubbio il più importante, tanto da potersi definire il “cuore” della

disposizione in scrutinio.

Un tale scenario non è, invece, configurabile se l’imprenditore

non è “imprigionato” (locked in), ma è in grado di reperire

agevolmente dei “sostituti”, riuscendo così comunque ad ottimizzare

gli investimenti effettuati nel tempo, malgrado la rottura unilaterale

del rapporto;

– IV) Calando tali principi nel caso di specie, è possibile

osservare quanto segue: a) non sussiste una situazione di dipendenza

economica della Cesaretti nei confronti della Same, e quindi la

condotta della Same non è apprezzabile alla luce dell’art. 9 L. n.

192/1998; b) non sussistono gli inadempimenti imputati alla

Cesaretti, e in ogni caso questi paiono di scarsa importanza nell’ottica

della valutazione circa la giusta causa del recesso operato dalla Same;

  1. c) tale recesso è comunque censurabile secondo la teorica della buona

fede e dell’abuso del diritto in generale, con le conseguenze di cui si

dirà infra.

– a) L’insussistenza di una situazione di dipendenza economica

della Cesaretti nei confronti della Same è dovuta per lo meno a due

fattori essenziali, afferenti rispettivamente 1) gli investimenti specifici

e 2) le alternative di mercato.

Quanto al primo elemento, l’unico investimento di un certo

spessore parrebbe essere l’allestimento della nuova sede di Bastia

Umbria. Senonchè tale investimento riguarda un immobile concesso

in locazione, ragione per cui è arduo sostenerne la non

“riconvertibilità” (infatti, è sufficiente disdettare il contratto per

“rientrare” dall’investimento), e tra l’altro difetta di specificità, posto

che la Cesaretti non commercializza soltanto trattori (di provenienza

Same Deutz – Fahr Italia), ma anche e soprattutto escavatori (di

provenienza S.C.A.I.), tant’è vero che il fatturato globale della

Cesaretti, secondo dati tratti dalla sua stessa contabilità (doc. 19

ricorrente), deriva per il 24,2 % dai prodotti Same e per il 41,6 % dai

prodotti S.C.A.I..

La nuova esposizione, dunque, non è certamente riservata ai

trattori, ma comprende tutti i prodotti venduti dalla Cesaretti, tra cui in

particolare gli escavatori. Il collegamento tra i due contratti di

locazione (G.I.F./Cesaretti e G.I.F./S.C.A.I.) è, addirittura, “testuale”,

come si evince dalle premesse del primo (doc. 21 ricorrente), ciò che

lascia supporre un collegamento materiale tra le due porzioni di

immobile adiacenti, tali da costituire nel complesso un unicum.

Gli strumenti di diagnosi e le attività di marketing non sono

certamente rilevanti ai fini di cui si discute, se non altro in ragione

della minima entità dei corrispondenti capitoli di spesa.

A dir il vero l’unico investimento specifico, sollecitato a più

riprese dalla stessa Same, consisteva nella dotazione di un’officina

interna per l’assistenza post vendita, ma l’istruttoria (su cui v. infra) ha

acclarato che non è mai stato realizzato.

Di talchè non si può nemmeno sostenere che la Cesaretti abbia

assunto del personale ad hoc, per le esigenze proprie della Same,

essendo di contro emerso che il referente di Same in Cesaretti per le

garanzie etc. (tale Sarnei) è stato licenziato, e rimpiazzato con altro

dipendente (tale Furiani “padre”), il quale, tuttavia, si è limitato per lo

più a gestire le incombenze relative alla consegna delle macchine

nuove (informatori Gubbiotti, Tufano e Bruno).

Quanto al secondo elemento, anche a voler restringere l’analisi

ai competitors che si pongono agli stessi livelli di mercato di Same o a

livelli equivalenti, era comunque doveroso un “approccio” per lo

meno con John Deer, del che, invece, è mancata la prova. La Cesaretti

assume che John Deer non fosse interessata a intrattenere rapporti (p. 5 note conclusive), e in limine litis ha prodotto degli estratti (docc. 44 e 45

ricorrente) da cui risulta che John Deer ha assegnato il territorio di

Perugia al concessionario Sgalla, già rivenditore autorizzato per le

Marche.

Il fatto che il punto vendita di Perugia sia in “prossima

apertura” (doc. 45 ricorrente) avvalora semmai l’assunto di Same, la quale

ha evidenziato il turn over di concessionari di macchine agricole

nell’Italia Centrale nel periodo d’interesse. Per dimostrare l’assenza

di valide alternative di mercato, la Cesaretti avrebbe, allora, dovuto

provare che, in un tale contesto, aveva per lo meno tentato di

allacciare una relazione commerciale con John Deer. Viceversa, essa

si è limitata a produrre delle carte, senza tuttavia chiarire cosa è stato

fatto nel periodo (dal recesso ad oggi) in cui John Deer ha maturato la

decisione di ampliare la zona del concessionario Sgalla (dalle Marche

all’Umbria). Solo dimostrando di aver avviato una trattativa con John

Deer, e che detta trattativa non aveva avuto buon fine (non per fatto

proprio), la Cesaretti avrebbe assolto appieno l’onere delle prova circa

la mancanza di alternative soddisfacenti di mercato.

Il Tribunale osserva, in primo luogo, che la lettera di recesso

non ne fa alcuna menzione, e in secondo luogo, che detti

inadempimenti, quand’anche realmente sussistenti, non sarebbe stati

comunque tali da fondare una giusta causa di recesso.

Infatti, quanto all’andamento negativo delle vendite, la tesi della

resistente omette di considerare il dato relativo alla crisi del mercato,

che ha colpito anche il settore delle macchine agricole. Oltretutto il

fatturato della Cesaretti per il 2015 era in crescita del 3,5 %, ciò

secondo la stessa tabella fornita dalla Same (pp. 9 – 10 comparsa). In ogni

caso, la minor performance rispetto ai concessionari limitrofi era

contenuta entro percentuali limitate (5/7 % secondo l’informatore

Tufano).

Quanto al mancato allestimento di un’officina per il servizio di

assistenza post vendita, e a prescindere dalla contestatissima “scheda

valutazione officina”, prodotta soltanto con le note conclusive (doc. 40

ricorrente), è stata fornita la prova della “tolleranza” pluriennale al

ricorso di un’officina esterna (in particolare, tale Orama) per gli

interventi di un certo rilievo. In tal senso è assai eloquente la

deposizione resa dall’informatore Bruno.

La Same non può addurre a giusta causa del recesso una prassi

che essa stessa ha accettato per lunghissimo tempo.

Il numero dei reclami, poi, di per sé non significa nulla, se non

se ne approfondiscono le cause, ben potendo essere che le doglianze

dei clienti si riferissero a problematiche della macchina piuttosto che

all’assistenza fornita dal concessionario.

Infine, quanto all’irregolarità nel pagamento degli acquisti, si è

trattato di semplici richieste di dilazione, previste contrattualmente e

autorizzate dal factor. Quel che è certo è che non si sono mai verificati

degli insoluti, e che non si sono registrati particolari scompensi in

capo alla cedente, per via dello splafonamento dell’affidamento o

altro.

In definitiva, il recesso della Same, per lo meno a livello di

fumus, non pare sorretto da una giusta causa, ma è e rimane un

semplice recesso ad nutum, operato al fine di incrementare le vendite

in Umbria, come riconosciuto dalla stessa Same nelle note conclusive

(pp. 32 – 34).

– c) Se è vero che la Cesaretti non si trova in una posizione di

dipendenza economica (in senso tecnico – giuridico) nei confronti

della Same, per le ragioni illustrate supra, è indubitabile che la Same

si trovi in una posizione di forza o di supremazia nei confronti della

Cesaretti. Lo dimostra il contenuto delle clausole evidenziate in

ricorso (pp. 9 – 11), qui a prescinderne dal carattere vessatorio o meno e

da un controllo circa il fatto che esse integrino o meno delle

condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie.

In presenza di un partner forte, la condotta di Same (id est: il

recesso), se non alla luce dell’art. 9 L. n. 192/1998, diviene allora

rilevante alla luce della teorica della buona fede e dell’abuso del

diritto in generale. A far tempo dal leading case di Cass. n.

20106/2009 (il caso dei concessionari Renault), la giurisprudenza di

legittimità afferma la possibilità di un sindacato giudiziario dell’atto di

autonomia privata, nell’ottica di pervenire a un bilanciamento o

equilibrio dei contrapposti interessi. Con peculiare riferimento

all’ipotesi del recesso, si evidenzia la necessità di una

“procedimentalizzazione” dell’atto, che si sostanzia nella previsione di

trattative, nel riconoscimento di indennità, etc.. Non è in discussione

la libertà del concedente di svincolarsi dal contratto, per ridisegnare la

propria rete di vendita, optando per un altro concessionario, ma si

tratta anche di garantire la controparte, consentendole a sua volta di

riorganizzarsi, entro un congruo periodo di tempo.

Da questo punto di vista il recesso intimato entro il termine di

soli tre mesi, pur in conformità alle previsioni contrattuali (senza,

peraltro, che l’interruzione fosse mai stata preannunciata. Infatti, negli

incontri di Verona, Perugina e Treviglio non se ne era mai accennato),

e a fronte di un rapporto di lunga durata, presenta sicuramente dei

profili di “abusività”. Equo e pertinente alla fattispecie concreta pare

piuttosto il termine di un anno a far tempo dalla comunicazione del

recesso.

Merita, dunque, accoglimento la richiesta subordinata della

ricorrente, tesa a ripristinare il rapporto per un corrispondente periodo.

Nell’instaurando giudizio di merito si valuteranno gli eventuali

aspetti risarcitori.

– V) Il fumus boni iuris, limitatamente alla non congruità del

periodo di preavviso, è acclarato dalle considerazioni che sono state

illustrate nei precedenti paragrafi.

Il periculum in mora è in re ipsa nel venire meno della

collaborazione con un marchio celebre, con tutte le conseguenze che

ne derivano (calo del fatturato, difficoltà nel reperire validi sostituti

entro un breve periodo, necessità di riorganizzare la sede e il

personale, presenza di un concorrente già operativo nella zona, etc.).

E’ comunemente ritenuto ammissibile un provvedimento ex art.

700 c.p.c. che abbia ad oggetto la condanna a un facere infungibile

(nella specie: la ripresa delle relazioni commerciali per il più lungo

periodo di tempo stabilito).

Ex art. 614 bis c.p.c. deve essere fissata, non parendo

manifestamente iniqua, la penale di € 5.000,00= per ogni violazione o

ritardo.

Il giudizio di merito andrà instaurato nel termine di mesi tre

dalla comunicazione del presente provvedimento.

Il regolamento delle spese di lite per questa fase va rinviato al

definitivo.

PQM

– in parziale accoglimento della domanda, ordina alla resistente

di astenersi dal porre in essere qualsiasi comportamento volto a

cessare le relazioni contrattuali con la ricorrente fino alla data del 26

aprile 2017;

– fissa una penale di 5.000,00= per ogni violazione o ritardo

nell’esecuzione del presente provvedimento;

– fissa termine di mesi tre per l’instaurazione del giudizio di

merito;

– spese al definitivo.

Si comunichi.

Bergamo, lì 4 gennaio 2017.

 

Lavoro. Videosorveglianza dei dipendenti illegittima ma rilevante ai fini del licenziamento

Corte Europea  dei Diritti dell’Uomo, sez. III nel caso Lopez Ribalda ed altri c. Spagna (ric. 1874/13) del 9 gennaio 2018

La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è un organismo diverso dalla  Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) .

Corte di Giustizia Europea, Corte dei Diritti dell’Uomo e Corte Costituzionale dello Stato membro devono essere considerati l’organo giurisdizionale di vertice per tre sistemi giuridici indipendenti: sistema UE, sistema CEDU, sistema costituzionale nazionale.
La Corte europea dei diritti dell’uomo (qui il sito ufficiale) è una Corte internazionale istituita nel 1959. Si pronuncia sui ricorsi individuali o statali su presunte violazioni dei diritti civili e politici stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Protegge in particolare il diritto alla vita, il diritto a un equo processo, il diritto al rispetto della vita privata e famigliare, la libertà di espressione, la libertà di pensiero e di religione, il diritto al rispetto della proprietà.

Con la pronuncia in oggetto, la CEDU ha affermato che il datore di lavoro, seppure sospetti furti in azienda, ha il dovere di rispettare le norme sulla tutela dei dati personali e/o per lo meno di avvertire e fornire ai dipendenti le informazioni generiche sulla videosorveglianza per non violarne la privacy (art. 8 Cedu).    Tuttavia ha ritenuto che le registrazioni ottenute da telecamere nascoste sono prove valide in un procedimento per impugnazione del licenziamento disciplinare (e nella transazione tra le parti), purché non costituiscano l’unica prova su cui si basa la convalida ed i ricorrenti abbiano potuto contestarle. Ha ritenuto quindi che non sia stato violato l’art. 6 Cedu.

Nella fattispecie, il datore di lavoro  che gestiva  una catena di supermercati spagnoli, dopo aver  rilevato  ammanchi e sospettando furti, installò delle telecamere di sorveglianza, alcune visibili ed altre occultate. I dipendenti furono avvertiti anticipatamente dell’installazione delle sole telecamere visibili, ma visionando immagini registrate da quelle celate, il datore di lavoro si accorse che alcuni dipendenti – oggi ricorrenti – non solo avevano commesso furti, ma avevano anche aiutato clienti e colleghi nella commissione di altri illeciti.

Leggi la sentenza collegandoti al sito ufficiale della Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

Agenzia. Può il mandante recedere dal rapporto per il mancato conseguimento del minimo di affari da parte dell’agente di commercio?

“Con riguardo alla clausola risolutiva espressa prevista dall’art.6.3 del contratto individuale, va condiviso quanto espresso sul punto da Corte Cass. 18/5/2011 n.10934, secondo cui in caso di ricorso da parte del preponente ad una clausola risolutiva espressa, tale clausola può ritenersi valida nei limiti in cui (oltre a non porsi in contrasto con eventuali previsioni in materia di accordi collettivi applicabili al rapporto) non venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, sicché in tali casi il giudice deve comunque verificare che sussista un inadempimento colpevole dell’agente integrante giusta causa di recesso.” ( Tribunale di Reggio Emilia, Sentenza 10 maggio 2017, n. 141)

Testo della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA

SETTORE LAVORO

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del lavoro di Reggio Emilia, dott. Elena Vezzosi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel procedimento n. 906/2015 R.G.L. promosso da:

X , (C.F. ***), rappresentata e difesa dall’avv. Giulio Cesare Bonazzi del Foro di Reggio Emilia

-ricorrente-

contro

ALFA S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Selmi Carlo, rappresentata e difesa dall’avv. Monica Rustichelli

-resistente-

 

in punto a: indennità cessazione rapporto, indennità di mancato preavviso, altri importi provvisionali

 

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato in cancelleria il 17/9/2015 la sig. X conveniva in giudizio dinanzi al Giudice del Lavoro di Reggio Emilia la società ALFA s.p.a. chiedendo dichiararsi la nullità/illegittimità della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto inter partes, l’assenza di giusta causa nel recesso operato dalla mandante in data 4/3/2015 dal contratto di agenzia, ed il conseguente pagamento della somma di Euro 41.325,10 a titolo di indennità di mancato preavviso, € 39.953,61 a titolo di indennità ex art.1751 c.c., oltre a provvigioni su specifici ordini; il tutto con accessori su tali somme dalla cessazione del rapporto al saldo.

La ricorrente esponeva di aver svolto dal 13/1/2010 attività di agente in favore della convenuta –che opera nel settore della produzione e commercializzazione di materiali ceramici- per una parte della Francia (cfr. doc. 1) con reciproca soddisfazione; finchè, del tutto inaspettatamente, con RAR del 4/3/2015 la mandante recedeva ad nutum dal contratto di agenzia per asserita giusta causa (cfr. doc.8), invocando sia gli effetti della clausola risolutiva espressa (art.6 contratto), sia comunque l’art.12, a causa del mancato raggiungimento del budget minimo per l’anno 2014.

La ricorrente afferma non solo di essersi sempre conformata alle direttive aziendali e di aver ottenuto ottimi risultati complessivi in corso di rapporto (a fronte, per altro, della sottrazione da parte dell’azienda, nell’ottobre 2013, dell’importante cliente TRAFFIC 89 s.a.s.); ma che la condotta di ALFA fosse solo strumentale ad omettere il pagamento delle provvigioni su un consistente ordine perfezionatosi successivamente al recesso ma dovuto all’attività dell’agente nei mesi precedenti.

Si costituiva nei termini la società convenuta contestando il contenuto del ricorso e le pretese a credito.

In particolare ALFA evidenziava la legittimità della clausola risolutiva espressa, ed in ogni caso il netto calo del fatturato nella sola zona di competenza della X, a fronte invece di un complessivo incremento delle vendite su tutto il resto della Francia; mentre, con riguardo al cliente TRAFFIC, affermava che sia stato lo stesso cliente a chiedere di essere seguito direttamente dall’azienda a causa dei cattivi rapporti interpersonali con l’agente.

Dopo alcuni rinvii tesi ad una conciliazione, è stata disposta CTU contabile affidata al dr. De Luca; ed all’udienza odierna del 09.05.2017 esaurita la discussione orale, la causa è stata decisa come da sentenza contestuale letta in udienza all’esito della camera di consiglio.

Il ricorso è in parte fondato e va pertanto accolto.

Con riguardo alla clausola risolutiva espressa prevista dall’art.6.3 del contratto individuale[1], la scrivente aderisce (in buona compagnia: cfr. Corte d’Appello Milano 23/7/2013 n.218, Corte d’Appello di Bologna 27/8/2014; Tribunale Pescara sez. lav. 08 luglio 2016 n. 691) a quanto espresso sul punto da Corte Cass. 18/5/2011 n.10934, secondo cui in caso di ricorso da parte del preponente ad una clausola risolutiva espressa, tale clausola può ritenersi valida nei limiti in cui (oltre a non porsi in contrasto con eventuali previsioni in materia di accordi collettivi applicabili al rapporto) non venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, sicché in tali casi il giudice deve comunque verificare che sussista un inadempimento colpevole dell’agente integrante giusta causa di recesso.

Quanto poi a questo istituto, previsto dall’art. 2119 c. 1° c.c. in relazione al contratto di lavoro subordinato, esso è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali- assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, sicché ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza (cfr. tra le più recenti Cass. Sez. L. n. 11728 del 26/05/2014 rv. 631050).

Va per concludere ricordato come la giusta causa di recesso sia qualificata dalla norma come il verificarsi di una causa che non consenta la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto di lavoro, e la giurisprudenza è a sua volta assestata nel riconoscere a questa ipotesi connotati di particolare, intensa gravità, legati soprattutto (e soprattutto in materia di agenzia) alla violazione del vincolo fiduciario tra le parti.

In punto di fatto va allora esaminata la causa di recesso contestata da COEN, e cioè sostanzialmente il mancato raggiungimento da parte della X del budget minimo di vendita fissato per l’anno 2014 in € 610.000 (RAR del 8/1/2014, doc.6 ric).

Se da un lato non è contestato che l’agente non abbia raggiunto quel budget (per altro progressivamente aumentato rispetto agli anni precedenti: nel 2010 era pari a € 480.000, nel 2011 € 550.000, nel 2012 590.000, nel 2013 580.000 –cfr. doc.16 ric.), è stato accertato dal CTU (pg.30 perizia; doc.12 conv., che lo stesso CTU dichiara più attendibile del doc.7) che le vendite effettuate dalla ricorrente nell’anno 2014 ammontano ad € 525.749,00, pertanto lo scollamento dal budget è di una percentuale di circa il 13% in meno, percentuale da considerarsi sostanzialmente modesta o comunque di non tale gravità (a fronte dei successi della X nei 4 anni precedenti) da determinare un recesso immediato dal rapporto; certamente lo scostamento dal budget non può definirsi “eclatante” come iperbolicamente esposto dalla società.

Va inoltre osservato come nell’ottobre 2013 alla stessa fosse stato tolto il cliente Traffic (doc.4 ric;) e tale circostanza ha senza dubbio influito sull’andamento del fatturato, poiché esso cliente (anche qualora non raggiunga il vertice di acquisti dell’anno 2013, ove ha comprato per € 252.474 -doc.5 ric.; dato non contestato da COEN) è comunque importante, dal momento che il fatturato medio annuale dello stesso è superiore ai 150mila euro (cfr. doc.12 conv.). Va poi notato che sommando il fatturato Traffic dell’anno 2014 (che è stato singolarmente basso rispetto alla media di cui s’è dato conto, attestandosi in € 120.257,01 –sempre doc.12) a quello prodotto dalla ricorrente, la stessa avrebbe superato il budget minimo concordatocon ALFA (€ 525.749,00 + € 120.257,01= € 646.006); sicchè a maggior ragione l’esclusione di questo cliente ha pesato sul mancato raggiungimento del budget e comunque ha avuto un ruolo determinante nell’andamento degli affari. Va osservato infatti che Traffic era un cliente consolidato e sul quale la X poteva fare affidamento per l’assolvimento degli obblighi contrattuali: venuto meno lo stesso, la stessa ha dovuto riorganizzare il suo ‘giro’ clienti con evidente maggiore difficoltà rispetto ad una gestione consolidata dei contatti e delle visite. Non pare strano che dunque l’anno 2014 ne abbia risentito in termini di un minor risultato economico, il che non corrisponde ad un minore impegno di tempo ed energie di lavoro (anzi, semmai proprio il contrario); avendo per altro dimostrato la ricorrente di avere comunque in quell’anno procacciato due nuovi clienti.

Per altro, è stato anche dimostrato (e comunque accertato dal CTU) che l’andamento dell’anno 2015 si prospettava molto positivo per la zona X, dal momento che nel 2015 si assiste ad una netta ripresa delle vendite ed è stato verificato un fatturato, relativo a 9 mesi, pari ad € 538.814 (pg.30 CTU): di questa ripresa positiva ha avuto merito certamente la stessa X, sia perché è stata in forza all’azienda a tutti gli effetti per i primi tre mesi dell’anno, sia perché già nel 2014 ha dato prova di aver gettato le basi per un futuro lucroso affare con il cliente Pedrazzini per € 144.011,52 (pg.11 CTU).

Una condotta contrattuale di buona fede doveva portare COEN a valutare l’andamento in flessione degli ordini X dell’anno 2014 come transitorio e connesso con la sottrazione del cliente Traffic o comunque con fluttuazioni dell’andamento del mercato possibili di ripresa; ciò avrebbe consentito di attendere gli esiti –anche parziali- del 2015 e di prendere le conseguenti decisioni.

Va infine notato che nessun precedente accenno, prima della lettera di recesso, è stato fatto alla lavoratrice (la cui anzianità senza macchie avrebbe meritato) in corso d’anno richiamandola ad una maggiore attenzione al proprio portafoglio.

Peraltro, non emerge in alcun modo che il contestato calo di fatturato sia significativo del sostanziale disinteresse dell’agente nella cura della zona affidata, o sia altrimenti imputabile, e per quali ragioni, alla ricorrente, ed anzi lo scostamento dei risultati raggiunti dalla ricorrente non appare significativo, se comparato alla media degli altri agenti di zone limitrofe e a quelli raggiunti nell’anno precedente dalla medesimo agente, come risultanti dalla documentazione prodotta, sicché la contestazione appare destituita di fondamento sotto l’aspetto della condotta tenuta dalla lavoratrice (cfr., in materia di qualificabilità dello scarso rendimento come giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia, Cass. Sez. L. n. 16772 del 17/07/2009 rv. 610330 e Cass. Sez. 2 n. 6008 del 17/04/2012 rv. 622285).

Sul punto, come esattamente osserva la difesa della ricorrente nelle note finali, i dati di comparazione tra l’operato X e gli altri agenti operanti in Francia offerti da COEN non appaiono omogenei tra loro, sia perché ogni zona presidiata ha le proprie peculiarità produttive e occupazionali (oltre che diversa estensione territoriale), sia perché non è coerente paragonare il fatturato di un solo agente – peraltro organizzato in maniera individuale – con la sommatoria dei fatturati di tutti gli altri agenti francesi.

L’erroneità di un siffatto confronto è facilmente riscontrabile laddove invece di prendere in considerazione il fatturato globale di tutta la Francia si proceda a una disamina dei fatturati dei singoli agenti ALFA (doc. 5 primo foglio fascicolo ALFA) e si raffrontino con quello raggiunto dalla signora X, dal momento che così procedendo si verifica che:

– nel 2010 la signora X ha fatturato secondo le stime del CTU 490.568,00 euro (pag. 30). Tra gli altri 19 agente ALFA per la Francia posti come termine di paragone da ALFA, l’unico che ha avuto un fatturato superiore è stato Eurocem Agence Commerciale che ha fatturato 519.444,72 (cfr. sub doc. 5 fascicolo ALFA) quello che segue la X ha fatturato 222.209,68 euro (ovvero meno della metà del fatturato X);

– nel 2011 la signora X ha fatturato secondo le stime del CTU 555.857,00 euro (pag. 30). Tra gli altri 19 agente ALFA per la Francia posti come termine di paragone da ALFA, nessuno ha fatturato più della X, quello che la segue è Eurocem Agence Commerciale che ha fatturato 489.110,92 euro (cfr. sub doc. 5 fascicolo ALFA), gli altri hanno fatturato meno della metà di quest’ultimo;

– nel 2012 la signora X ha fatturato secondo le stime del CTU 495.506,00 euro (pag. 30). Tra gli altri 19 agente ALFA per la Francia posti come termine di paragone da ALFA, nessuno ha fatturato più della X, quello che la segue è Eurocem Agence Commerciale che ha fatturato 323.152,34 (cfr. sub doc. 5 fascicolo ALFA), gli altri agenti hanno fatturato al massimo 195.398,69 e così solo a diminuire sino a arrivare a euro 311,02.

– nel 2013 la signora X ha fatturato secondo le stime del CTU 602.151,00 euro (pag. 30). Tra gli altri 19 agente ALFA per la Francia posti come termine di paragone da ALFA, nessuno ha fatturato più della X, quello che la segue è NB Diffusion sarl che ha fatturato 510.191,00 (cfr. sub doc. 5 fascicolo ALFA), gli altri agenti hanno fatturato al massimo 165.242,00 euro e così solo a diminuire sino a arrivare a euro 600,60.

– nel 2014 la signora X ha fatturato secondo le stime del CTU 525.749,00 euro (pag. 30). Tra gli altri 19 agente ALFA per la Francia posti come termine di paragone da ALFA, l’unico che ha avuto un fatturato superiore è stata una società, la NB Diffusion sarl, che ha fatturato 679.999,24 (cfr. sub doc. 5 fascicolo ALFA) quello che segue la X ha fatturato 135.758,35 euro (ovvero poco più di 1/5 del fatturato X).

Pare conclusivamente da escludere –per tutto quanto sino ad ora osservato- che al momento del recesso in tronco esistessero elementi di tale gravità da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto di lavoro; men che meno si riscontrano nei fatti esaminati elementi –anche semplicemente indiziari- che evidenzino da parte della X violazione del vincolo fiduciario tra le parti.

 

A questo punto, per dirla con la Cassazione, “In tema di rapporto di agenzia, il recesso dell’agente per giusta causa si converte, ove si accerti l’insussistenza di quest’ultima e salvo che non emerga una diversa volontà dell’agente medesimo, in un recesso senza preavviso, che determina la riespansione del diritto della controparte a percepire le previste indennità ed all’eventuale risarcimento del danno” (Cass.Sez. 2, Sentenza n. 19579 del 30/09/2016).

Quindi alla ricorrente è dovuto il preavviso semestrale commutato in indennità, e le terminative di rapporto.

Per quantificare queste poste, è necessario risolvere la questione relativa all’ordine del cliente Pedrazzini, e cioè se per quest’ordine (giunto in azienda nel dicembre 2015) la ricorrente abbia diritto alle provvigioni (anche sotto l’aspetto del risarcimento del danno, come è richiesto in ricorso), e dunque se il calcolo del monte provvigionale complessivo –per poi effettuare il calcolo della misura dell’indennità sostitutiva- debba o meno ricomprendere anche questa somma.

La risposta appare negativa.

Se infatti è stato provato dalla X che la stessa lavorò a quell’affare già da novembre 2014, e comunque inviò proposta/preventivo a gennaio 2015, e pervenne in azienda sempre in costanza di rapporto con X (precisamente il 26/2/2015 –doc.7 bis ric.) lettera con richiesta di ‘protezione’ di esso cliente (il che significava una certa conclusione dell’ordine); è dirimente la circostanza che, per le più varie ragioni, l’ordine si è perfezionato solo in data 10/12/2015 (pg.11 CTU), sicché in periodo successivo ai 4 mesi di copertura successivi alla chiusura del contratto d’agenzia, a fronte di quanto previsto in maniera tassativa e inequivoca dall’u.c. dell’art.6 AEC 20/3/2002.

Pertanto, giusto il conteggio del CTU, l’indennità sostitutiva di preavviso della quale ha diritto la ricorrente è pari a € 19.632,74.

Quanto alle terminative, alla ricorrente spetta indennità per lo scioglimento del contratto di cui all’art.10 AEC 2002 nella fattispecie dell’indennità di risoluzione del rapporto e dell’indennità suppletiva di clientela di cui al capo II lett.A, calcolata della CTU in € 6.961,65.

Per chiarire il ragionamento del Giudice, è opportuno ricordare brevemente il regime delle indennità dovute all’agente a seguito della risoluzione del rapporto di agenzia.

Norma fondamentale è l’art. 1751 c.c., che dispone: “All’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

L’indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività; quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.

L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione“.

Quindi, l’art. 10 dell’AEC del 20.2.2002 stabilisce:

” Con la presente normativa le parti intendono dare piena ed esaustiva applicazione all’art. 1751 cod. civ. anche in riferimento alle previsioni dell’art. 17 della Direttiva CEE n. 86/653, individuando con funzione suppletiva modalità e criteri applicativi, particolarmente per quanto attiene alla determinazione in concreto della misura dell’indennità in caso di cessazione del rapporto, e introducendo nel contempo condizioni di miglior favore per gli agenti e rappresentanti di commercio, sia per quanto riguarda i requisiti per il riconoscimento dell’indennità, sia per ciò che attiene al limite massimo dell’indennità, stabilito dal terzo comma del predetto art. 1751 cod. civ. 9 A tal fine si conviene che l’indennità in caso di scioglimento del contratto sarà composta da due emolumenti: l’uno, denominato indennità di risoluzione del rapporto, viene riconosciuto all’agente o rappresentante anche se non ci sia stato da parte sua alcun incremento della clientela e/o del fatturato, e risponde principalmente al criterio dell’equità; l’altro, denominato indennità suppletiva di clientela, è invece collegato all’incremento della clientela e/o del fatturato e intende premiare essenzialmente la professionalità dell’agente o rappresentante. L’indennità in caso di scioglimento del contratto, di cui ai successivi capi I e II, sarà computata su tutte le somme, comunque denominate, percepite dall’agente nel corso del rapporto, nonché sulle somme per le quali, al momento della cessazione del rapporto, sia sorto il diritto al pagamento in favore dell’agente o rappresentante, anche se le stesse non siano state in tutto o in parte ancora corrisposte…”.

L’indennità suppletiva di clientela, come si legge nel capo II dell’art. 10 cit., spetta ” A) all’atto dello scioglimento del contratto di agenzia e rappresentanza commerciale, sarà corrisposta direttamente dalla ditta preponente all’agente o rappresentante, in aggiunta all’indennità di risoluzione del rapporto, di cui al precedente capo I, una indennità suppletiva di clientela, da calcolarsi sull’ammontare globale delle provvigioni e delle altre somme corrisposte o comunque dovute all’agente o rappresentante fino alla data di cessazione del rapporto e relative comunque ad affari conclusi dopo il 1° luglio 1989, secondo le seguenti aliquote (omissis) e B) In aggiunta agli importi previsti al capo I ed alla precedente lett. A), sarà riconosciuto all’agente o rappresentante un ulteriore importo a titolo di indennità suppletiva di clientela, a condizione che, alla cessazione del contratto, egli abbia apportato nuovi clienti al preponente e/o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti, in modo da procurare al preponente anche dopo la cessazione del contratto sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti“.

L’indennità prevista dall’art. 1751 c.c. e quella delineata dagli accordi economici collettivi del 2002 alla lett.B sono tra loro alternative, e non cumulative.

Sul punto, è ben noto il percorso giurisprudenziale concernente l’attuazione della direttiva del consiglio Cee del 18 dicembre 1986, culminato nella pronuncia della Corte di Giustizia delle comunità europee del 23 marzo 2006 e nel successivo mutamento di indirizzo della S.C. in favore dell’interpretazione, fino ad allora minoritaria, incentrata sulla necessità di valutare ex post e in concreto il carattere di maggiore o minor favore della disciplina pattizia rispetto a quella legale (su cui, da ultimo, v. Casso civ., sez. lav., 14-01-2016, n. 486; 18413/2013; 15203/2010; 12724/2009; 23966/2008; 13363/2008; 405612008; 68712008; 16347/2007; 9538/2007).

Nel caso di specie. le parti, all’art. 11 del contratto di agenzia (doc. 1), hanno espressamente richiamato ai fini dell’integrazione del contenuto di esso le norme del vigente Accordo Economico Collettivo e alle norme del Codice civile; in questo giudizio, l’agente ha però prospettato il carattere di maggior favore dell’indennità legale rispetto a quella prevista in tali contratti, ritenendo equa la misura della media annua delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni, invocando la disciplina pattizia solo in via subordinata.

La X chiede l’applicazione del trattamento di miglior favore dell’indennità di cessato rapporto prevista dal richiamato art. 1751 c.c. deducendo di aver acquisito nuovi clienti alla mandante e sviluppato sensibilmente gli affari con quelli preesistenti, continuando la società a ricevere sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

Occorre, quindi, preliminarmente verificare, in fatto, la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma invocata per poi, eventualmente, comparare in concreto l’indennità erogata con quella determinabile in base alla legge.

Sul punto è dirimente quanto accertato dal CTU, che a pg.29 e ss. dell’elaborato precisa come: “Dall’esame di tale documento [il doc.15 COEN ndr] si evince che rispetto ad un totale di 49 clienti “serviti” nel tempo dalla signora X, 33 di essi erano stati serviti nei 3 anni precedenti all’inizio del rapporto (anni 2007, 2008 e 2009) e pertanto si possono considerare non “nuovi”. I 16 “nuovi” sono tutti stati serviti anche negli anni 2014 e/o 2015, con l’eccezione di 2 serviti fino al 2013, e pertanto si possono considerare sostanzialmente “acquisiti”. Tuttavia risulta che solo 24 clienti, tra vecchi e “nuovi” sono stati serviti nell’anno 2014 e nei primi 9 mesi del 2015, pertanto più che di un vero e proprio incremento di clienti, pare potersi parlare di una “sostituzione” di clienti vecchi con i nuovi. Se si include anche il 2013, tali clienti diventano 31, e pertanto ci si ricolloca vicino al numero di clienti di partenza (33). Sotto il profilo dei valori, e tenendo conto che per il 2015 sono riportati soltanto i dati di 9 mesi su 12, si assiste nel 2015 ad una netta ripresa delle vendite, a fronte di un calo piuttosto sensibile nel 2014.

Tra il 2009 (anno precedente all’inizio del rapporto) ed il 2014, vi è una certa confrontabilità di dati, mentre appare un marcato miglioramento conseguito nel 2015…”.

In sostanza, i due dati sostanziali che emergono dall’esame svolto dal CTU sono il pressoché identico numero di clienti facenti capo alla X dal 2009 fino alla cessazione del rapporto, dunque con nessun sostanziale incremento del numero degli acquirenti; nemmeno sotto il profilo dell’aumento del fatturato e/o degli affari si riscontra alcun incremento, dal momento che i dati di partenza -2009- e quelli di arrivo -2015- sono pressoché omogeni. Le differenze di introiti riscontrate negli anni 2014 (in calo) e 2015 (in aumento) sono già state più sopra esaminate: il calo 2014 è verosimilmente dovuto alla perdita del cliente Traffic (ovviamente in alcun modo imputabile all’agente), mentre l’aumento 2015 è spiegato dalla grossa commessa Pedrazzini, ma anche dall’intervento sul precedente territorio di un nuovo agente che –com’è prassi- ha investito nuove risorse ed energie sulla piazza di competenza. Tutti questi elementi non possono dunque essere presi in considerazione per valutare l’effettivo incremento di zona ai sensi dell’art.1751 c.c..

Ne emerge il quadro complessivo di un’agente che ha ben lavorato senza eccellere, mantenendo sostanzialmente il parco clienti e il volume di fatturato iniziale.

Il Tribunale, quindi, osserva che, per costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’art. 1751 comma 1 c.c. ha introdotto una indennità avente funzione compensativa del particolare merito dimostrato dall’agente (Cass. civ., sez. lav., 23-06-2010, n. 15203), e dunque è necessario, per il suo riconoscimento, che ricorrano tutti i presupposti indicati dalla norma in disamina: l’aver procurato “nuovi clienti al preponente”, ovvero l’avere “sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti”, e il ricevere da parte del preponente “ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti”.

Non è quindi sufficiente la mera dimostrazione del procacciamento di nuova clientela, se non permangano “sostanziali vantaggi” dagli affari conclusi con costoro, dove i “vantaggi” di cui si fa menzione non possono che riflettersi sull’incremento di affari e quindi di fatturato; in altre parole, non è immaginabile il riconoscimento dell’indennità meritocratica per apporto di nuovi clienti se tale apporto non abbia incrementato di pari passo gli affari, quale conseguenza dell’ampliamento della clientela che deve, perciò, apportare un aumento di vendite e di incassi.

Nel presente giudizio, a prescindere dal dato numerico dei nuovi clienti procacciati, manca certamente la prova di questo requisito.

La domanda in parte qua non è dunque accoglibile.

E’ invece accoglibile la domanda relativa alle differenze provvigionali spettanti all’agente con riguardo agli ordini 840729 e 841370. Se da un lato è certo che entrambi questi ordini sono stati saldati da COEN, è da notare tuttavia che la provvigione calcolata dall’azienda su entrambi è pari al solo 5%, invece che l’8% previsto in contratto.

Tanto per altro si evince dalla @ inviata da ALFA alla X in data 24 febbraio 2015, ove si apprende che per “facilitare la logistica del cantiere” ALFA abbia unilateralmente deciso di non vendere direttamente al cliente “Sociètè Troyes Carrellages” ma alla società Traffic 89 / Point Vert con onere di quest’ultima di approvvigionare la prima (cfr. doc. 13 ric) e con conseguente riconoscimento all’Agente di una provvigione sull’affare pari al 5% anziché all’8% , che è quella applicata al cliente Traffic. Ma l’organizzazione logistica di COEN non può ovviamente ripercuotersi sulle provvigioni spettanti alla ricorrente, sicché la decisione di far transitare l’ordine su Traffic non influisce sulla percentuale applicabile all’ordine.

Pertanto, giusti i calcoli svolti dalla ricorrente a pg.44/45 delle note autorizzate, il complessivo credito provvigionale –basato sul ricalcolo all’8% delle provvigioni- è pari a euro 1.188,15, oltre oneri fiscali.

Quanto alle spese di lite, la solo parziale soccombenza di COEN sia riguardo all’an delle domande che al quantum delle stesse, fa sì che sia equa una parziale compensazione (nella misura di 1/3 del complessivo), mentre i rimanenti 2/3 vanno rifusi a parte ricorrente, anche tenuto conto che l’offerta effettuata da COEN di € 15.000 per transigere la causa si è dimostrata nei fatti del tutto inadeguata rispetto a quanto deciso in sentenza. Le spese sono da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Le spese di CTU vanno poste integralmente a carico dell’azienda, a fronte dei dati discordanti forniti dalla stessa (es: tra il doc. 10 “prospetto andamento fatturati clienti X” ove si leggono dati numerici differenti a quelli riportati nei docc. 5, 6, 7, 7bis e 12 e parzialmente differenti da quelli comunicati all’Agente cf. doc. 15 fascicolo ricorrente) che hanno richiesto una effettiva verifica contabile; ed a fronte comunque della soccombenza in causa della convenuta.

Ex lege la provvisoria esecuzione.

PQM

Il Giudice del Lavoro, ha pronunciato la seguente sentenza:

  1. In parziale accoglimento del ricorso, dichiarata l’illegittimità del recesso ad nutum della preponente per assenza di una giusta causa di recesso, condanna la società ALFA s.p.a a corrispondere a X la somma di € 19.632,74 a titolo di indennità di mancato preavviso e di € 6.961,65 a titolo di indennità suppletiva di clientela di cui all’art.10 punto II lett.A, oltre ad accessori come per legge su tali somme dalla data del recesso al saldo effettivo;
  2. condanna ALFA a corrispondere differenze provvigionali relative agli ordini per il cantiere ‘Galerie exterieure commerciale” pari a netti € 1.188,15, oltre ad accessori di legge dalla data dei pagamenti al saldo effettivo;
  3. rigetta le ulteriori domande svolte da parte ricorrente;
  4. Condanna ALFA s.p.a. a rifondere le spese di lite sostenute da parte ricorrente in misura di 2/3 dell’intero, intero che quantifica in complessivi € 6.500 di cui € 900 per spese oltre ad IVA e CPA., compensato tra le parti il restante terzo; pone definitivamente e per l’intero in carico della convenuta ALFA le spese di CTU già liquidate.
  5. Riserva la motivazione in giorni 60

Reggio Emilia, 09/10/2017

IL GL

Dott.Elena Vezzosi