Autore: Giovanni Orlandi

Concorrenza sleale – norme ISO

Ordinanza Trib.le di Modena Sez. Distaccata di Carpi in data 7 gennaio 2010

Secondo una recente ordinanza del Tribunale di Modena, Sezione Distaccata di Carpi, emessa a seguito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. costituisce atto di concorrenza sleale per contrarietà ai principi della correttezza professionale (art. 2598 n. 3 c.c.) ed appropriazione di pregi (art. 2598 n. 2 c.c.) l’apporre una certificazione ISO sul proprio prodotto qualora le qualità dello stesso non siano più aggiornate alle ultime norme ISO .

Le conclusioni dell’ordinanza, poi confermata in sede di reclamo, sono in linea di principio da condividere. Il giudicante ha giustamente ritenuto che “non avrebbe senso, infatti, confidare su un prodotto che promette di essere dotato di caratteristiche realizzate secondo la migliore scienza ed esperienza del momento se questa non è più tale perché superata da conoscenze ed esperienze migliori”. D’altronde, sia la dottrina che la giurisprudenza erano da sempre concordi nel ritenere un caso tipico di illecita appropriazione di pregi l’apposizione al proprio prodotto di certificazione ISO qualora questa fosse avvenuta mentre il prodotto era privo delle qualità certificate (VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009; e App. Milano, 18 marzo 2006). Tuttavia l’ordinanza si spinge oltre ritenendo appunto che, non solo si ha illecita appropriazione di pregi quando il prodotto certificato sia completamente sprovvisto degli standard ISO, ma anche quando questo, per così dire, sia “rimasto indietro” nell’aggiornamento di detti standard, millantando caratteristiche che sono rispondenti alle vecchie norme ISO non più aggiornate con la recente normativa.

 

Il falso in Bilancio valutativo secondo le Sezioni Unite.

(Cassazione penale, sez. un., 31/03/2016,  n. 22474)

Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione, nel bilancio, di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

La vicenda dalla quale deriva il principio di diritto appena richiamato trae origine dal Fallimento della S.p.a. Aquila Calcio. Nel caso in esame la procura della Repubblica contestava a due amministratori della società Aquila Calcio i reati di bancarotta fraudolenta distruttiva e documentale nonché di bancarotta da reato societario.

Con questa sentenza il Supremo Consesso è intervenuto per dirimere l’importante dibattito giurisprudenziale e dottrinale accesosi in seguito alla riforma dei reati societari operata dal legislatore nel 2015.

In particolare, a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 69 del 2015, non di poco momento era stabilire se il cosiddetto “falso valutativo” continuasse o meno a mantenere rilevanza penale.

Come noto, infatti, con legge 69/2015, art. 9, è stato espunto dagli articoli 2621 c.c. e 2622 c.c. l’inciso “ancorché oggetto di valutazione” e con ciò alcuni esponenti della dottrina, poi seguiti parte da una certa branca della giurisprudenza, avevano ritenuto che detta reformatio determinasse una vera e propria successione di leggi, con effetto abrogativo, limitato ovviamente, alle condotte di falsa valutazione di una realtà effettivamente esistente.

L’arresto a Sezioni Unite in commento, invece, ha posto fine alla disputa accogliendo la tesi opposta, secondo la quale la riforma non ha avuto l’effetto di escludere dal perimetro della repressione penale gli enunciati valutativi, i quali, viceversa, ben possono essere definiti falsi, quando si pongano in contrasto con criteri di valutazione normativamente determinati, ovvero tecnicamente indiscussi.

Dott. Matteo Gambarati (Studio Legale Orlandi)

Pegno di libretto di deposito

Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza n. 18597 del 12 settembre 011

Con la sentenza n. 18597 del 12 settembre scorso, la Corte di cassazione ha affrontato il tema delle differenti modalità di soddisfazione del credito riconducibile alla natura regolare o irregolare del pegno vantato dalla banca su libretti di deposito al risparmio del fallito.

Citando i propri precedenti orientamenti (Cass. Civ, sez. I, 6 dicembre 2006 e Cass. Civ, sez. I, 20 aprile 2006 n. 9306), la Cassazione ha ricordato come, qualora un cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un libretto di deposito al risparmio e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, non si è in presenza di un pegno irregolare ma si rientra invece nella disciplina del pegno regolare.

In tale ultimo caso, la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riservare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il  documento.

Il  creditore assistito da pegno regolare è quindi tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare agli sensi dell’articolo 53 della L.F., per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione che invece opera, nel pegno irregolare, come modalità tipica di esercizio della prelazione.

Nel caso di specie, le condizioni generali di contratto riportate in calce all’atto costitutivo del pegno non conferivano alla banca il potere di disporre di libretti ma, al contrario, tale potere era espressamente escluso nella misura in cui si attribuiva alla banca il diritto di prelevare la somma depositata fino alla concorrenza di quanto dovutole, ma esclusivamente in caso di inosservanza degli obblighi assunti e dopo il corso di cinque giorni dalla richiesta di pagamento da comunicare al cliente con lettera raccomandata .

Per   tale motivo, la Corte di Cassazione, in conformità con le decisioni del giudice di merito, ha confermato la revocabilità dei prelievi eseguiti dalla banca sulle somme portate dal libretto offerto in pegno regolare.

 

Efficacia di prova della fattura fiscale

Cassazione Civile, sez. II, 10 ottobre 2011, n. 20802.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema della natura della fattura commerciale e degli effetti che ad essa si associano. In particolare, la Corte ricorda come la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza ad un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale, o di indizio circa l’esistenza del credito in essa riportato. Ne Consegue che incombe sull’emittente l’onere di provare l’esatto ammontare del proprio credito . Tale regola non varia allorchè il debitore, oltre a contestare la cifra fatturata, deduca e provi, sia pur genericamente, di aver già pagato la diversa e inferiore somma dovuta. Secondo la Corte, infatti, poichè le dichiarazioni ammissive complesse o qualificate, in virtù dell’aggiunta di fatti favorevoli alla parte che le ha rese, sono inscindibili (come si desume dall’art.2734 c.c. in materia di confessione), e inidonee a invertire l’onere della prova secondo le rispettive aree di pertinenza che l’art. 2697 c.c. assegna ai soggetti del rapporto, resta pur sempre a carico del creditore dimostrare che una frazione del proprio credito sia rimasta comunque insoddisfatta.

La Fideiussione omnibus e il recesso del socio fideiussore

In caso di recesso del fideiussore dal rapporto di fidejussione omnibus  limitata ( cioè circoscritta a un importo fissato all’atto di accensione del rapporto fideiussorio),  i principi  desumibili  dal consolidato orientamento della giurisprudenza possono essere sintetizzati come segue:

a.   la regola generale è che il recesso del fideiussore, ove consentito nel perdurare del rapporto principale, produce l’effetto di circoscrivere l’obbligazione accessoria al saldo del debito esistente al momento in cui il recesso medesimo diventa efficace e, pertanto, l’obbligo del garante è limitato al pagamento di tale saldo ancorché il debito dell’accreditato, al momento della chiusura del conto, risulti aumentato in dipendenza di operazioni successive;

b.  qualora successivamente al recesso del socio fideiussore si verifichino ulteriori rimesse da parte dell’accreditato sul conto garantito, queste, stante l’unitarietà del rapporto, non possono essere conteggiate separatamente dai prelevamenti, occorrendo in tali casi, per determinare l’entità dell’obbligazione principale, avere riguardo al momento della richiesta da parte della banca di estinzione del debito garantito, con la conseguenza che se esso risulta inferiore a quello esistente al momento del recesso, si verificherà una corrispondente riduzione dell’obbligazione fideiussoria, in applicazione della regola sancita dall’art. 1941, comma I, cc, per cui la fideiussione non può eccedere l’ammontare dell’obbligazione garantita;

c.   il comportamento della banca che,  pur dopo il recesso del fideiussore medesimo, abbia mantenuto in vita il rapporto di apertura di credito con il debitore principale senza chiedere la sostituzione del garante o l’integrazione della garanzia non è di per sé contraria a principi di correttezza e buona fede nei confronti del fideiussore, salvo  non venga dimostrato che la banca abbia agito con la consapevolezza delle insufficienza della garanzia e, quindi, senza la dovuta attenzione all’interesse del fideiussore (Cass. 12685/2004).

Nota.   Nel quadro della uniformità dei rapporti negoziali banca-cliente, il fideiussore è chiamato a rispondere anche per le obbligazioni successive al momento in cui ha manifestato l’intenzione di recedere, sorte e maturate in dipendenza dei rapporti esistenti a quel momento.

 

Trasporto – Contratto di subtrasporto: il submittente può fare valere la responsabilità risarcitoria del vettore in via diretta

 

Tribunale di Reggio Emilia  Sent. n.1203 del 23.09.14

 

Il vettore che  stipula un contratto di sub trasporto, risponde della regolarità dell’intero trasporto nei confronti del mittente, restando obbligato anche per il ritardo, la perdita o l’avaria imputabili al sub trasportatore.

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Societario. Il voto maggioritario e il superamento del principio “un’azione un voto”

 

Decreto Competitività

 

Con l’entrata in vigore del Decreto Competitività ( Legge 116/2014 di conversione, con modificazioni, del D.L. 91/2014), il legislatore ha inteso semplificare la normativa che incide sull’accesso delle società al mercato di capitale di rischio.

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Concordato preventivo: anche i creditori non dissenzienti possono fare opposizione nel giudizio di omologazione.

Cassazione civile sent.   n. 20040 del 24 settembre 2014

 Recentemente, la Corte di Cassazione ha dovuto affrontare un’interessante questione legata al giudizio di omologazione del concordato preventivo. Prima di questa importante decisione c’era grande incertezza su chi fosse o meno legittimato ad opporsi al giudizio di omologazione del concordato. La sentenza della Corte Suprema  può essere di grande importanza per chiunque eserciti un’attività imprenditoriale o di libero professionista e debba fare i conti con un partner d’affari in concordato preventivo. Continue reading “Concordato preventivo: anche i creditori non dissenzienti possono fare opposizione nel giudizio di omologazione.”