TRIBUNALE DI BERGAMO
QUARTA SEZIONE CIVILE
Il Giudice Designato
Dott. Cesare Massetti
Sul ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dalla soc. Cesaretti
Agricoltura s.r.l. nei confronti della soc. Same Deutz – Fahr Italia
s.p.a.;
letti gli atti del procedimento;
sentite le parti all’udienza tenutasi il 20 dicembre 2016;
a scioglimento della riserva formulata nel corso di tale udienza;
premesso che:
– la ricorrente Cesaretti Agricoltura lamenta un abuso di
dipendenza economica ex art. 9 L. n. 192/1998 (c.d. legge subfornitura),
concretatosi nel recesso ad nutum dai contratti di concessione di
vendita in corso, oltre che nell’imposizione di una serie di clausole
vessatorie; chiede emettersi ordine di astensione dal porre in essere
qualsiasi comportamento volto a cessare le relazioni contrattuali con
la ricorrente, con l’applicazione di una penale per ogni ulteriore
violazione o ritardo; preannuncia una causa di merito di inibitoria e di
risarcimento danni;
– la resistente Same Deutz – Fahr Italia, eccepita
pregiudizialmente l’incompetenza del giudice adito, contesta nel
merito la sussistenza della dipendenza economica e dell’abuso, e
ravvisa la giusta causa del recesso negli inadempimenti del
concessionario sotto plurimi profili (andamento negativo delle
vendite, mancato allestimento di un’officina per il servizio di
assistenza postvendita, irregolarità nel pagamento degli acquisti);
– il procedimento è stato, quindi, istruito mediante assunzione di
sommarie informazioni testimoniali;
ritenuto che:
– I) l’eccezione pregiudiziale di incompetenza, sollevata dalla
resistente, è infondata.
Tale eccezione muove dagli artt. 2359 co. 1 n. 3 c.c. – 3 D.Lgs.
- 168/2003, come modificato dalla L. n. 27/2012, che affidano al
Tribunale delle Imprese la cognizione delle cause in tema di società
controllate, e segnatamente in tema di società che sono sotto
l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali.
In verità la Cesaretti non ha mai insinuato di essere sotto
l’influenza dominante della Same, piuttosto ha enucleato i particolari
vincoli contrattuali che, in uno ad altre circostanze, ne evidenziano la
mera dipendenza economica.
Di un controllo esterno contrattuale non si parla nel ricorso, e la
lettura che ne fa la resistente costituisce un’evidente forzatura. Il
“dominio” non emerge neppure dagli atti, sulla cui base va decisa la
questione di competenza, ex art. 38 u.c. c.p.c..
Pare anche inutile sottolineare che l’abuso di dipendenza
economica (art. 9 legge subfornitura) e i rapporti tra società controllate (art.
2359 c.c.) ovvero l’abuso dell’attività di direzione e di coordinamento di
società (art. 2947 c.c.) costituiscono fattispecie giuridiche nettamente
diverse.
Il controllo ex art. 2359 co. 1 n. 3 c.c. postula l’esistenza di
determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare
rappresentano la condizione di esistenza e di sopravvivenza della
capacità di impresa della società controllata (Cass. n. 12094/2001).
Tale situazione non è certamente rinvenibile nella fattispecie concreta, solo avuto riguardo all’assenza di un’esclusiva, all’indubbia autonomia
gestionale della Cesaretti e alla mancanza di poteri di concreta
ingerenza da parte della Same.
L’abuso di dipendenza economica rientra pacificamente nella
competenza del Tribunale Ordinario (Cass. n. 22584/2015).
Resta così ferma la competenza del Tribunale di Bergamo;
– II) in esordio la resistente contesta l’applicabilità dell’art. 9 cit.
in ambiti diversi dalla subfornitura.
L’assunto non è, tuttavia, condivisibile.
L’art. 9 L. 18 giugno 1990 n. 192 dispone che “1. È vietato
l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza
economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una
impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la
situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti
commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e
di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche
della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire
sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L’abuso può anche consistere
nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie,
nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. 3. Il
patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è
nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia
di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il
risarcimento dei danni. 3-bis. Ferma restando l’eventuale
applicazione dell’articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287,
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora
ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la
tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi
ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed
esperimento dell’istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste
dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti
dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In
caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto
legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle
imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso
si configura a prescindere dall’accertamento della dipendenza
economica”.
Contrariamente all’opinione della resistente, la norma de qua è
di generale applicazione, non essendo limitata ai soli rapporti di
subfornitura.
In tal senso depongono l’uso dei termini “cliente” e “fornitrice”,
non altrimenti impiegati nella legge subfornitura; la genesi della
disposizione, che in origine era destinata a essere inserita
(completandola) nella legislazione antitrust, sulla scia dei modelli
tedesco e francese, e che solo per effetto del parere contrario espresso
dal Garante della Concorrenza è stata spostata all’interno di una legge
settoriale; la ratio della norma, finalizzata a tutelare la correttezza e la
buona fede nei rapporti commerciali tra imprese e a vietare l’abuso del
diritto (principi – questi – che si applicano a tutti i contratti); e, infine,
l’aggiunta del co. 3 bis (in riferimento ai poteri di diffida e di sanzione
del Garante della Concorrenza nei casi in cui l’abuso assume una
rilevanza anche nell’ottica della tutela del mercato e della
concorrenza), che è valso a recuperarne la vocazione di carattere
generale.
Per l’interpretazione estensiva si sono espresse la miglior
dottrina, la più recente e prevalente giurisprudenza di merito (Tribunale
Bari 6 maggio 2002, Tribunale Taranto 17 settembre 2003, Tribunale Roma 5 novembre
2003, Tribunale Catania 5 gennaio 2004, Tribunale Bari 22 ottobre 2004, Tribunale
Trieste 21 settembre 2006, Tribunale Torre Annunziata 30 marzo 2007, Tribunale Catania
9 luglio 2009, Tribunale Roma 30 novembre 2009, Tribunale Torino 11 marzo 2010, Tribunale Forlì 27 ottobre 2010, Tribunale Torino 21 novembre 2013, Tribunale Massa 26 febbraio 2014 e 15 maggio 2014, Tribunale Vercelli 14 novembre 2014) e, last but non least, la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 24906/2011, in linea di obiter dictum, e Cass. n. 16787/2014).
Prova ne sia che, nella prassi (al di là della soluzione del caso
concreto, nel senso che la tutela sia stata, poi, accordata o meno),
l’abuso di dipendenza economica è stato ritenuto configurabile in una
moltitudine di campi: dalla concessione di vendita al franchising, dalla
vendita all’appalto, dal trasporto alla logistica. Il caso più frequente è
proprio quello della distribuzione integrata di veicoli. E nel settore
degli idrocarburi l’applicazione dell’art. 9 è stata, addirittura, sancita allo stesso legislatore con il c.d. decreto Cresci Italia (art. 17 co. 3 D.L.
24 gennaio 2012 n. 1 convertito in L. 24 marzo 2012 n. 27).
Si può, quindi, serenamente concludere nel senso che l’art. 9 si
applica a tutti i rapporti di collaborazione tra imprese, nelle fasi della
produzione e/o della distribuzione.
Nel caso di specie si verte, appunto, in tema concessioni di
vendita, e quindi di “distribuzione”;
– III) Prima di scendere all’esame del merito, pare opportuno
esporre taluni brevi concetti sull’istituto di cui si discute.
La dipendenza economica (countervailing power) è la
situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti
commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di
obblighi, a tal fine dovendo tenersi conto della reale possibilità per la
parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato delle alternative
soddisfacenti.
Malgrado l’ambiguità dell’uso dell’avverbio “anche”, è
communis opinio che l’impossibilità di reperire delle alternative
soddisfacenti rivesta un ruolo centrale nella valutazione circa la
dipendenza economica, senza la quale è ultronea ogni indagine
sull’abuso.
Infatti, il primo e il principale sintomo della dipendenza è
rappresentato dall’esecuzione da parte dell’imprenditore debole di una
serie di investimenti specifici (relational specific investments),
nell’ottica di far fronte agli impegni contrattuali assunti con
l’imprenditore forte. L’imprenditore debole si trova così esposto al
ricatto (hold up) dell’imprenditore forte, giacchè la minaccia di
interruzione del rapporto lo costringe a proseguirlo accettando
condizioni inique, di fronte all’eventualità (laddove sul mercato non
siano reperibili dei validi “sostituti”) di non riuscire ad ammortizzare
gli investimenti che ha fatto nel tempo, o di dover affrontare dei costi
elevati per la loro riconversione (switching costs).
Tipici i casi della distribuzione integrata di veicoli e del franchising, dove – rispettivamente – il concessionario e il franchisee,
avvinti da un contratto che li lega in esclusiva all’altra parte e che
impone loro dei minimi di target, effettuano cospicui investimenti
nell’attività (per allestire i locali, per assumere del personale, per
acquisire il know how, per sostenere campagne promozionali, etc.), ciò
anche e soprattutto nell’interesse del partner forte, nella speranza di
un lungo periodo di collaborazione: investimenti che, in caso di
recesso ad nutum, vengono ad essere vanificati e difficilmente
possono essere riconvertiti.
A dir il vero per l’accertamento della dipendenza economica
soccorrono altri criteri ausiliari (le dimensioni dell’impresa, il
fatturato, la specializzazione, l’utilizzo di licenze di brevetto marchio
o insegna, l’appartenenza a gruppi, la durata del rapporto, l’esistenza
di un’esclusiva), ma quello dell’alternativa di mercato rimane senza
dubbio il più importante, tanto da potersi definire il “cuore” della
disposizione in scrutinio.
Un tale scenario non è, invece, configurabile se l’imprenditore
non è “imprigionato” (locked in), ma è in grado di reperire
agevolmente dei “sostituti”, riuscendo così comunque ad ottimizzare
gli investimenti effettuati nel tempo, malgrado la rottura unilaterale
del rapporto;
– IV) Calando tali principi nel caso di specie, è possibile
osservare quanto segue: a) non sussiste una situazione di dipendenza
economica della Cesaretti nei confronti della Same, e quindi la
condotta della Same non è apprezzabile alla luce dell’art. 9 L. n.
192/1998; b) non sussistono gli inadempimenti imputati alla
Cesaretti, e in ogni caso questi paiono di scarsa importanza nell’ottica
della valutazione circa la giusta causa del recesso operato dalla Same;
- c) tale recesso è comunque censurabile secondo la teorica della buona
fede e dell’abuso del diritto in generale, con le conseguenze di cui si
dirà infra.
– a) L’insussistenza di una situazione di dipendenza economica
della Cesaretti nei confronti della Same è dovuta per lo meno a due
fattori essenziali, afferenti rispettivamente 1) gli investimenti specifici
e 2) le alternative di mercato.
Quanto al primo elemento, l’unico investimento di un certo
spessore parrebbe essere l’allestimento della nuova sede di Bastia
Umbria. Senonchè tale investimento riguarda un immobile concesso
in locazione, ragione per cui è arduo sostenerne la non
“riconvertibilità” (infatti, è sufficiente disdettare il contratto per
“rientrare” dall’investimento), e tra l’altro difetta di specificità, posto
che la Cesaretti non commercializza soltanto trattori (di provenienza
Same Deutz – Fahr Italia), ma anche e soprattutto escavatori (di
provenienza S.C.A.I.), tant’è vero che il fatturato globale della
Cesaretti, secondo dati tratti dalla sua stessa contabilità (doc. 19
ricorrente), deriva per il 24,2 % dai prodotti Same e per il 41,6 % dai
prodotti S.C.A.I..
La nuova esposizione, dunque, non è certamente riservata ai
trattori, ma comprende tutti i prodotti venduti dalla Cesaretti, tra cui in
particolare gli escavatori. Il collegamento tra i due contratti di
locazione (G.I.F./Cesaretti e G.I.F./S.C.A.I.) è, addirittura, “testuale”,
come si evince dalle premesse del primo (doc. 21 ricorrente), ciò che
lascia supporre un collegamento materiale tra le due porzioni di
immobile adiacenti, tali da costituire nel complesso un unicum.
Gli strumenti di diagnosi e le attività di marketing non sono
certamente rilevanti ai fini di cui si discute, se non altro in ragione
della minima entità dei corrispondenti capitoli di spesa.
A dir il vero l’unico investimento specifico, sollecitato a più
riprese dalla stessa Same, consisteva nella dotazione di un’officina
interna per l’assistenza post vendita, ma l’istruttoria (su cui v. infra) ha
acclarato che non è mai stato realizzato.
Di talchè non si può nemmeno sostenere che la Cesaretti abbia
assunto del personale ad hoc, per le esigenze proprie della Same,
essendo di contro emerso che il referente di Same in Cesaretti per le
garanzie etc. (tale Sarnei) è stato licenziato, e rimpiazzato con altro
dipendente (tale Furiani “padre”), il quale, tuttavia, si è limitato per lo
più a gestire le incombenze relative alla consegna delle macchine
nuove (informatori Gubbiotti, Tufano e Bruno).
Quanto al secondo elemento, anche a voler restringere l’analisi
ai competitors che si pongono agli stessi livelli di mercato di Same o a
livelli equivalenti, era comunque doveroso un “approccio” per lo
meno con John Deer, del che, invece, è mancata la prova. La Cesaretti
assume che John Deer non fosse interessata a intrattenere rapporti (p. 5 note conclusive), e in limine litis ha prodotto degli estratti (docc. 44 e 45
ricorrente) da cui risulta che John Deer ha assegnato il territorio di
Perugia al concessionario Sgalla, già rivenditore autorizzato per le
Marche.
Il fatto che il punto vendita di Perugia sia in “prossima
apertura” (doc. 45 ricorrente) avvalora semmai l’assunto di Same, la quale
ha evidenziato il turn over di concessionari di macchine agricole
nell’Italia Centrale nel periodo d’interesse. Per dimostrare l’assenza
di valide alternative di mercato, la Cesaretti avrebbe, allora, dovuto
provare che, in un tale contesto, aveva per lo meno tentato di
allacciare una relazione commerciale con John Deer. Viceversa, essa
si è limitata a produrre delle carte, senza tuttavia chiarire cosa è stato
fatto nel periodo (dal recesso ad oggi) in cui John Deer ha maturato la
decisione di ampliare la zona del concessionario Sgalla (dalle Marche
all’Umbria). Solo dimostrando di aver avviato una trattativa con John
Deer, e che detta trattativa non aveva avuto buon fine (non per fatto
proprio), la Cesaretti avrebbe assolto appieno l’onere delle prova circa
la mancanza di alternative soddisfacenti di mercato.
Il Tribunale osserva, in primo luogo, che la lettera di recesso
non ne fa alcuna menzione, e in secondo luogo, che detti
inadempimenti, quand’anche realmente sussistenti, non sarebbe stati
comunque tali da fondare una giusta causa di recesso.
Infatti, quanto all’andamento negativo delle vendite, la tesi della
resistente omette di considerare il dato relativo alla crisi del mercato,
che ha colpito anche il settore delle macchine agricole. Oltretutto il
fatturato della Cesaretti per il 2015 era in crescita del 3,5 %, ciò
secondo la stessa tabella fornita dalla Same (pp. 9 – 10 comparsa). In ogni
caso, la minor performance rispetto ai concessionari limitrofi era
contenuta entro percentuali limitate (5/7 % secondo l’informatore
Tufano).
Quanto al mancato allestimento di un’officina per il servizio di
assistenza post vendita, e a prescindere dalla contestatissima “scheda
valutazione officina”, prodotta soltanto con le note conclusive (doc. 40
ricorrente), è stata fornita la prova della “tolleranza” pluriennale al
ricorso di un’officina esterna (in particolare, tale Orama) per gli
interventi di un certo rilievo. In tal senso è assai eloquente la
deposizione resa dall’informatore Bruno.
La Same non può addurre a giusta causa del recesso una prassi
che essa stessa ha accettato per lunghissimo tempo.
Il numero dei reclami, poi, di per sé non significa nulla, se non
se ne approfondiscono le cause, ben potendo essere che le doglianze
dei clienti si riferissero a problematiche della macchina piuttosto che
all’assistenza fornita dal concessionario.
Infine, quanto all’irregolarità nel pagamento degli acquisti, si è
trattato di semplici richieste di dilazione, previste contrattualmente e
autorizzate dal factor. Quel che è certo è che non si sono mai verificati
degli insoluti, e che non si sono registrati particolari scompensi in
capo alla cedente, per via dello splafonamento dell’affidamento o
altro.
In definitiva, il recesso della Same, per lo meno a livello di
fumus, non pare sorretto da una giusta causa, ma è e rimane un
semplice recesso ad nutum, operato al fine di incrementare le vendite
in Umbria, come riconosciuto dalla stessa Same nelle note conclusive
(pp. 32 – 34).
– c) Se è vero che la Cesaretti non si trova in una posizione di
dipendenza economica (in senso tecnico – giuridico) nei confronti
della Same, per le ragioni illustrate supra, è indubitabile che la Same
si trovi in una posizione di forza o di supremazia nei confronti della
Cesaretti. Lo dimostra il contenuto delle clausole evidenziate in
ricorso (pp. 9 – 11), qui a prescinderne dal carattere vessatorio o meno e
da un controllo circa il fatto che esse integrino o meno delle
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie.
In presenza di un partner forte, la condotta di Same (id est: il
recesso), se non alla luce dell’art. 9 L. n. 192/1998, diviene allora
rilevante alla luce della teorica della buona fede e dell’abuso del
diritto in generale. A far tempo dal leading case di Cass. n.
20106/2009 (il caso dei concessionari Renault), la giurisprudenza di
legittimità afferma la possibilità di un sindacato giudiziario dell’atto di
autonomia privata, nell’ottica di pervenire a un bilanciamento o
equilibrio dei contrapposti interessi. Con peculiare riferimento
all’ipotesi del recesso, si evidenzia la necessità di una
“procedimentalizzazione” dell’atto, che si sostanzia nella previsione di
trattative, nel riconoscimento di indennità, etc.. Non è in discussione
la libertà del concedente di svincolarsi dal contratto, per ridisegnare la
propria rete di vendita, optando per un altro concessionario, ma si
tratta anche di garantire la controparte, consentendole a sua volta di
riorganizzarsi, entro un congruo periodo di tempo.
Da questo punto di vista il recesso intimato entro il termine di
soli tre mesi, pur in conformità alle previsioni contrattuali (senza,
peraltro, che l’interruzione fosse mai stata preannunciata. Infatti, negli
incontri di Verona, Perugina e Treviglio non se ne era mai accennato),
e a fronte di un rapporto di lunga durata, presenta sicuramente dei
profili di “abusività”. Equo e pertinente alla fattispecie concreta pare
piuttosto il termine di un anno a far tempo dalla comunicazione del
recesso.
Merita, dunque, accoglimento la richiesta subordinata della
ricorrente, tesa a ripristinare il rapporto per un corrispondente periodo.
Nell’instaurando giudizio di merito si valuteranno gli eventuali
aspetti risarcitori.
– V) Il fumus boni iuris, limitatamente alla non congruità del
periodo di preavviso, è acclarato dalle considerazioni che sono state
illustrate nei precedenti paragrafi.
Il periculum in mora è in re ipsa nel venire meno della
collaborazione con un marchio celebre, con tutte le conseguenze che
ne derivano (calo del fatturato, difficoltà nel reperire validi sostituti
entro un breve periodo, necessità di riorganizzare la sede e il
personale, presenza di un concorrente già operativo nella zona, etc.).
E’ comunemente ritenuto ammissibile un provvedimento ex art.
700 c.p.c. che abbia ad oggetto la condanna a un facere infungibile
(nella specie: la ripresa delle relazioni commerciali per il più lungo
periodo di tempo stabilito).
Ex art. 614 bis c.p.c. deve essere fissata, non parendo
manifestamente iniqua, la penale di € 5.000,00= per ogni violazione o
ritardo.
Il giudizio di merito andrà instaurato nel termine di mesi tre
dalla comunicazione del presente provvedimento.
Il regolamento delle spese di lite per questa fase va rinviato al
definitivo.
PQM
– in parziale accoglimento della domanda, ordina alla resistente
di astenersi dal porre in essere qualsiasi comportamento volto a
cessare le relazioni contrattuali con la ricorrente fino alla data del 26
aprile 2017;
– fissa una penale di 5.000,00= per ogni violazione o ritardo
nell’esecuzione del presente provvedimento;
– fissa termine di mesi tre per l’instaurazione del giudizio di
merito;
– spese al definitivo.
Si comunichi.
Bergamo, lì 4 gennaio 2017.