Anno: 2020

Appalto, vizi dell’opera e Consulenza Tecnica Preventiva. La reclamabilità del provvedimento di rigetto

Con il provvedimento in oggetto il Tribunale di Reggio Emilia ha accolto la nostra impostazione difensiva affermando che, contro il provvedimento di rigetto del ricorso per Consulenza Tecnica Preventiva (ex art. 696 bis cpc) è inammissibile il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., così respingendo la domanda della parte istante che è stata condannata alle spese del giudizio.

Nella fattispecie un Condominio aveva presentato un ricorso per Consulenza tecnica preventiva ai fini di composizione della lite (ex art. 696 bis c.p.c.) onde fare accertare l’esistenza di vizi asseritamente afferenti opere di sostegno di un piano dell’edificio. Il Tribunale, accogliendo le tesi difensive dei resistenti, aveva rigettato il ricorso ritenendo che fossero ormai trascorsi i termini prescrizionali.

Avverso tale provvedimento il Condominio aveva poi proposto reclamo, al quale avevano resistito i convenuti, nonché il terzo chiamato. Il Tribunale, in composizione collegiale, ha dichiarato inammissibile il reclamo ricordando che nel nostro ordinamento, i mezzi di impugnazione sono tassativi e che, pertanto, non è possibile l’impiego di mezzi impugnatori diversi da quelli previsti o il loro impiego analogico. Nel caso oggetto di scrutinio, in particolare, stante la natura non cautelare dell’istituto scelto dal Condominio non si palesava alcun pericolo di dispersione della prova.

Per leggere il provvedimento accedere al seguente link:

Ordinanza collegiale del Tribunale Reggio Emilia in data 20 febbraio 2020

 

Diritto alla provvigione, intervento del mediatore, Tribunale di Reggio Emilia

Questa sentenza, relativa ad una causa che abbiamo patrocinato in materia di diritto alla provvigione, è pubblicata anche sul sito Ricerca giuridica e disponibile al seguente link.

Massima

“Il diritto al compenso non sussiste quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate.”

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Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Seconda sezione civile

In composizione monocratica, il Giudice, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 000/00 r.g., promossa da:

AGENZIA IMMOBILIARE. elettivamente domiciliata in Reggio Emilia, presso lo studio dell’Avv. …..che la rappresentata e la difende come da delega a margine dell’atto di citazione; Attrice
contro
L.P. elettivamente domiciliata in Reggio Emilia, presso lo studio dei l’Avv. Giovanni Orlandi che la rappresenta e la difende come da delega in calce alla copia dell’atto di citazione notificato; Convenuto

CONCLUSIONE

Il procuratore di parte, attrice conclude come da udienza del 19/10/2010;
Il procuratore di parte convenuta conclude come da udienza del 19/10/2010;

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione naturalmente, notificato l’attrice Agenzia Immobilare ha convenuto in giudizio L.P. per sentirla condannare al pagamento della somma di € 6-500,00 quale provvigione asseritamente dovuta per l’attività di mediazione svolta in occasione della compravendita di un immobile sito in Correggio.
Si costituiva in giudizio la convenuta contestando in fatto e in diritto la domanda attorea di cui chiedeva il rigetto.
Assunte le prove orali e disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza dei 19/10/2010 le parti discutevano oralmente la causa che veniva trattenuta in decisione ai sensi del disposto dell’art. 281 quinquies, comma 2, c.p.c.

2. La domanda attorea (cioè dell’Agenzia, ndr.) è infondata. Giova evidenziare, in diritto, che in tema di mediazione, al fine del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituita un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di essa ad aprire per la esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7994 del 0210412009).
Per aversi diritto alla provvigione non basta che l’affare sia stato concluso, ma, in forza dell’art. 1755 c.c., occorre che la conclusione sia avvenuta per effetto dell’intervento del mediatore, il quale, cioè, deve avere messo in relazione i contraenti con un’attività causalmente rilevante ai fini della conclusione del medesimo affare (tra le altre, cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15880 del 06107/2010; Cass Sez, 3, Sentenza n. 23842 del 18/09/2008).
Perché sorga il diritto alla provvigione è necessario verificare che l’affare si sia concluso, bastando, a tal fine, che la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’opera svolta, ancorché quest’ultima consista nella semplice attività di reperimento e nell’indicazione dell’altro contraente, o nella segnalazione dell’affare, sempre che l’attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta, dal mediatore, che sia stata poi valorizzata dalle parti.
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che, tra l’attività del mediatore, e la conclusione dell’affare, sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ed essendo, viceversa, sufficiente che, anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo, la “messa in relazione” delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto. Ne consegue che la prestazione del mediatore ben può esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre, che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 08/03/2002).
Il diritto al compenso non sussiste, per contro, quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. Qualora detta assoluta autonomia della seconda attività di mediazione non sussista e l’affare sia concluso per l’intervento di più mediatori (congiunto o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in. base allo stesso incarico o a più incarichi) a nonna dell’art. 1758 c.c., ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione (Cass. Sez. III, Sentenza n. 5952 del 18/03/2005).
Secondo i principi che regolano l’onere probatorio incombe sul mediatore fornire la prova dell’esistenza di utile valido contributo causale tra la propria attività e la conclusione dell’affare: detta prova non può tuttavia essere fornita semplicemente dimostrando la successione cronologica tra attività del mediatore e conclusione dell’affare, in base al paralogismo ‘post hoc, ergo propter hoc (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 5760 del 11/06/1999).
In applicazione di questo principio la Suprema Corte, con una condivisibile decisione, ha confermato una sentenza di merito che aveva ritenuto che per dimostrare il suddetto nesso causale non fosse sufficiente la prova, da parte del mediatore, di avere accompagnato l’acquirente a visitare l’immobile, ne’, addirittura di avere appianato contrasti in ordine alle modalità di pagamento del prezzo, ne’ che l’acquirente si era più volte recato nella sede del mediatore.

3. Ciò posto in diritto, l’istruttoria ha dimostrato, in fatto, che l’intervento dell’agenzia immobiliare, attrice non ha fornito quel contributo causale necessario che, secondo i principi della causalità adeguata, ha consentito la conclusione dell’affare.
L’istruttoria ha piuttosto dimostrato che, pur essendovi stato tra la convenuta e l’agenzia immobiliare attrice un primo contatto che non ha condotto ad alcun risultato positivo – contatto, si precisa neppure riconducibile ad una vera e propria trattativa, – la conclusione dell’affare si è verificata per effetto d’iniziative nuove, in nessun modo ricollegabili ai precedenti contatti avuti con l’Agenzia Immobiliare o da questi condizionate.
In sede di interrogatorio formale, la convenuta ha dichiarato che, interessata all’acquisto di un immobile in Correggio, contattava varie Agenzie e, in particolare, avendo notato nella vetrina dell’agenzia attrice l’avviso di vendita, di un appartamento, entrava per avere notizie su di esso. Nell’occasione — prosegue la convenuta – l’impiegato dell’agenzia le disse che vi erano altre possibilità, di acquisto diverse da quell’appartamento e le indicò l’immobile per cui è causa, mostrandole le planimetrie. La convenuta, considerato che si trattava di un immobile da ristrutturare e eccessivamente costoso dimostrò il suo disinteresse. A quel punto la Sig.ra L.P. forniva il suo numero di telefono all’impiegato che si era dimostrato disponibile a farle pervenire notizie qualora avesse trovato soluzioni conformi alle sue esigenze. Qualche giorno dopo, Contattata dall’impiegato dell’agenzia, si recò su invito di questo presso l’immobile, confermando all’esito della visita il suo disinteresse in ragione del prezzo eccessivo e della necessità di ristrutturazione dell’immobile.
Secondo quanto dichiarato dalla convenuta, i due si congedarono senza alcun impegno e non vi furono altri contatti con l’agenzia.
Successivamente – prosegue, la Sig.ra L.P. – essa contattò altre agenzie, tra cui l’Agenzia G. che tra le varie proposte d’acquisto le mostrò anche la villetta che già l’Agenzia Immobiliare le aveva mostrato.
Originariamente, non interessata all’acquisto, la convenuta, che nel frattempo non aveva trovato altre soluzioni, decise di valutare l’offerta che l’Agenzia G. le aveva fatto ad un prezzo notevolmente inferiore a quello che le aveva proposto l’Agenzia Immobiliare (€ 450.000,00 anziché 530.000), infine, si determinò all’acquisto per il prezzo di € 430.000,00.
Il teste M.G., comproprietario dell’immobile insieme al fratello, ha negato di essere stato contattato dall’Agenzia Immobiliare per essere informato del fatto che la Sig.ra L.P. era interessata all’acquisto e che a tale scopo non fu contattato nemmeno suo fratello e ciò benché detta agenzia fosse una di quelle cui avevano dato l’incarico di reperire potenziali acquirenti.
Il teste ha inoltre dichiarato che più volte lui e suo fratello si incontrarono con la convenuta e suo marito per la trattativa presso l’Agenzia G. alla presenza del titolare dell’agenzia stessa o di suo figlio. Durante dette trattative, dice il teste, le parti raggiunsero l’accordo sul prezzo, originariamente troppo alto per la convenuta e, all’esito, in occasione di uno dei predetti incontri stipularono il contratto preliminare. In particolare, durante le trattative, afferma il teste, emerse l’esigenza della convenuta di prendere subito possesso dell’immobile per iniziare i lavori di ristrutturazione in modo da terminarli prima della data fissata per il rilascio dell’immobile nel quale ancora abitava. Lui ed il fratello – continua il teste – accordarono il loro consenso a tale condizione posta dalla convenuta, anche perché l’agenzia Gabriella, per permettere alle parti di trovare un accordo sul punto, convinse la convenuta a prestare una polizza assicurativa che coprisse i rischi derivanti dall’esecuzione dei lavori.
L’agenzia G., dice il teste, non solo predispose la relativa clausola da apporre nel preliminare, ma propose anche di stipulare, come poi avvenne, un contratto di comodato per consentire l’esecuzione dei lavori. Il teste M. G. ha anche dichiarato che vi fu un accordo per il pagamento delle provvigioni che sarebbe stato posto a carico della convenuta e che l’Agenzia G. si occupò anche della presentazione delle denunce di carattere amministrativo.
Particolarmente significativa è poi la circostanza, riferita dallo stesso teste M. G., che mai l’Agenzia Immobiliare chiese a lui e a suo fratello il pagamento della provvigione per la vendita dell’immobile. Il teste B., titolare dell’Agenzia G., privo di interesse nella controversia, ha dichiarato di avere fatto visionare diversi immobili alla convenuta e, in particolare, di avere svolto tutte le specifiche attività (oggetto dei capitoli di prova formulati dalla convenuta) che convinsero la Sig.ra L.P. a superare l’originario disinteresse dall’acquisto dell’immobile e, quindi, a stipulare il contratto. Il teste, inoltre, ha confermato che l’Agenzia G. aveva svolto attività di mediazione anche nel corso delle trattative per consentire, alle parti di addivenire ad un accordo sugli elementi essenziali del contratto e nella predisposizione di specifiche clausole che potessero soddisfare l’interesse di entrambe le parti (possesso immediato, polizza assicurativa…).
Le dichiarazioni rese dal teste sono state confermate, nella sostanza, anche dal teste G.T. che ha confermato, con dovizia di particolari, le circostanze oggetto dei capitoli di prova di parte convenuta.

4. Alla luce delle univoche risultanze delle prove orali assunte, deve pertanto ritenersi che l’incontro tra l’Agenzia Immobiliare e la convenuta non ha apportato alcun contributo causale nella conclusione dell’affare, poiché quest’ultimo è stato raggiunto solo per effetto della nuova iniziativa posta in essere dall’Agenzia G. e non è in nessun modo ricollegabile ai precedenti incontri avuti con l’agenzia attrice o da questi condizionato. In altre parole, l’attività svolta dall’attrice non ha costituito nemmeno l’antecedente indispensabile che, attraverso le successive vicende, ha condotto (o ha contribuito a condurre) alla conclusione del contratto, né le parti l’hanno valorizzata in alcun modo.
Ed invero, la convenuta, all’esito degli incontri avuti con la agenzia attrice, era certamente determinata a non acquistare l’immobile a causa del costo eccessivo proposto e della necessità di effettuare opere di ristrutturazione sull’immobile.
L’Agenzia Immobiliare, del resto, a fronte del disinteresse dimostrato dalla Sig.ra L.P., non avvertì nemmeno i proprietari dell’immobile del possibile affare che poteva essere concluso con la convenuta: i sig.ri M. G. furono invece contattati dall’Agenzia G., che, unica, mise dunque in contatto i due contraenti.
In altri termini, l’attrice non ha nemmeno messo in relazione le parti del successivo accordo contrattuale.
Significativo è inoltre il fatto che il disinteresse della convenuta per l’acquisto dell’immobile permaneva inizialmente anche quando l’Agenzia G. le propose l’acquisto della villetta già visionata nell’incontro avuto con l’agenzia attrice.
Tale originario disinteresse anche al momento dei primi contatti con l’Agenzia G. dimostra che fu solo per effetto dell’intervento di tale seconda agenzia che la convenuta si determinò all’acquisto.
Ed invero, dalle testimonianze riportate è dato evincere non solo il fatto che fu l’Agenzia G. a mettere in contatto la convenuta con gli acquirenti, ma anche che fu grazie alla sua articolata attività di mediazione che la convenuta superò l’originario disinteresse e vennero appianati i contrasti tra i futuri contraenti circa gli elementi essenziali del contratto. In particolare, durante le trattative svolte presso l’Agenzia G. alla presenza del titolare o del figlio, le, parti raggiunsero l’accordo sul prezzo – originariamente troppo alto per la Sig.ra L.P. – e si accordarono anche sulla possibilità per la convenuta di prendere possesso immediatamente dell’immobile per potere effettuare fin da subito le opere di ristrutturazione.
All’esito delle trattative, poi, fu l’Agenzia G. a redigere il contratto preliminare cui furono introdotte alcune clausole confacenti alle esigenze di entrambi i contraenti: a fronte della disponibilità dei promittenti venditori di dare alla promissaria acquirente il possesso anticipato dell’immobile per eseguire fin da subito i lavori, l’Agenzia G. convinse la convenuta a stipulare una polizza assicurativa a copertura dei possibili danni che potevano verificarsi nel corso dei lavori.
L’Agenzia G. si occupò addirittura della presentazione della comunicazione di passaggio della proprietà all’autorità di polizia dopo la stipulazione del rogito.
Ad ulteriore dimostrazione dell’esclusiva rilevanza causale dell’attività di mediazione svolta dell’Agenzia G. è la circostanza che mai l’agenzia attrice ha chiesto ai proprietari dell’immobile il pagamento della provvigione, evidentemente consapevole del fatto che l’acquisto non era dipeso dalla sua attività che era sfociata solamente nella visita dell’immobile, nelle visione delle planimetrie e nel rilascio dei propri dati personali da parte della convenuta
Questi ultimi elementi non consentono di affermare che l’attrice abbia quanto meno concorso con la sua attività di mediazione a determinare la conclusione dell’affare, e ciò si ribadisce, alla luce del fatto che in assenza della determinante attività svolta dall’Agenzia G. in maniera del tutto autonoma rispetto a quella della agenzia attrice, la convenuta non si sarebbe in alcun modo decisa ad acquistare l’immobile.
In altri termini, la mediazione dell’Agenzia G rappresenta la causa esclusiva della conclusione dell’altare.
Deve peraltro osservarsi che tra gli elementi sopra indicati, sulla base dei quali l’attrice vorrebbe dimostrare la fondatezza del -proprio assunto, non sono nemmeno dimostrati.
Se infatti è certo che vi siano stati due incontri (il primo presso l’agenzia e il secondo anche presso l’immobile per cui è causa), diretta tuttavia la prova sia del fatto che l’attrice abbia fornito le planimetrie alla convenuta, sia del fatto che essa abbia sottoscritto il modello di raccolta dati con quel contenuto.
Quanto alle planimetrie, infatti, pur avendo la convenuta affermato, in sede di interrogatorio formale, di avere visto le planimetrie non ha dichiarato di averle ricevute, perché non era in grado di ricordare tale circostanza; quanto al modello raccolta dati, la convenuta ha tempestivamente disconosciuto la conformità della copia all’originale e l’attrice non ha dimostrato con gli ordinari mezzi di prova.
Conclusivamente, per tutte le ragioni sopra esposte la domanda attorea deve essere rigettata.
5. Le spese di lite, come meglio liquidate in dispositivo, seguono il principio della soccombenza.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 000/00 r.g., promossa da Agenzia Immobiliare nei confronti di L.P., ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede:
1) rigetta la domanda attorea;
2) dichiara tenuta e condanna parte attrice a rifondere alla convenuta le spese di lite che si liquidano in complessivi € 6.175,60 di cui C 25,60 per spese oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.
Reggio Emilia.
Il Giudice

I contratti di locazione ai tempi del Coronavirus

Per approfondire la recente riflessione sugli effetti prodotti dalla pandemia coronavirus sui contratti in corso, sembra utile circoscrivere ora la disamina degli effetti della situazione di emergenza all’ambito delle locazioni, ovviamente di natura commerciale (ivi comprese le attività artigianali e industriali).

La situazione, in continuo divenire per il susseguirsi dei Decreti presidenziali che comportano limitazioni e divieti sempre più rigidi, impone adeguamenti anche sul piano degli effetti che i provvedimenti possono spiegare sui rapporti contrattuali in corso.

In effetti molte attività commerciali/imprenditoriali sono da qualche tempo, o anche soltanto da ora, costrette all’inattività per un arco di tempo che può variare da alcune settimane a qualche mese in funzione dell’evoluzione degli eventi. Resta il problema degli oneri correnti: imposte, tasse, stipendi, rate dei finanziamenti e, tra gli altri, anche canoni e affitti. Le preoccupazioni crescono.

Il quesito che assilla conduttori e locatori, dunque, è se i primi possono sospendere il pagamento del canone di locazione o addirittura recedere dal rapporto.

Per un inquadramento sistematico è opportuno tenere ben presente che andiamo ad occuparci di contratti c.d. di durata in quanto caratterizzati dalla peculiarità della prestazione continuata o periodica.
Si tratta ora di vedere quali possono essere gli effetti di una causa di forza maggiore quale innegabilmente deve essere considerata la pandemia da coronavirus – dovuta a circostanze sopravvenute e imprevedibili – in assenza di espresse previsioni contrattuali.

Vanno considerati in premessa i seguenti punti fermi:

  • il conduttore non può sospendere il pagamento del canone per nessuna ragione, salvo il caso in cui l’immobile sia materialmente inutilizzabile;
  • l’impossibilità di svolgere l’attività non è imputabile ad alcuna delle parti stante l’emergenza straordinaria di tutela della salute;
  • l’immobile resta nella pacifica disponibilità del conduttore, che può utilizzarlo, tuttavia non ne può godere a fini di svolgere l’attività.

Vediamo quindi cosa può accadere, nel presupposto naturalmente che sia interesse del conduttore continuare a mantenere la disponibilità dell’immobile, laddove cioè gli eventi siano considerati meramente temporanei e vi siano i presupposti per mantenere vivo il rapporto.

Tradurre i divieti disposti dai DPCM in termini di impossibilità di una prestazione tipica del locatore o del conduttore quantomeno nel contratto di locazione commerciale, potrebbe apparire problematico in quanto il conduttore continua ad avere la disponibilità dell’immobile. Diversamente accade per i contratti di affitto d’azienda, laddove l’impossibilità di esercitare certe attività incide direttamente, rendendola di fatto impossibile, sulla prestazione principale dell’affittante, consistente nella messa a disposizione di un complesso di beni e rapporti giuridici organizzati per lo svolgimento di un’attività d’impresa. In questi casi viene meno l’utilità funzionale che costituisce il cuore della prestazione contrattuale dell’affittante che diviene, in questo modo, pacificamente impossibile.

Nella locazione commerciale, per contro, i divieti non incidono sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali genericamente idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto. L’impedimento non ha alcuna attinenza all’immobile in cui si svolge l’attività, alle sue caratteristiche o alla sua idoneità all’uso pattuito. È difficile, però, negare che i divieti incidano direttamente o indirettamente sull’attività del conduttore, sebbene a prescindere dalla prestazione locatore.

Esclusa, dunque, la possibilità di rinvenire nella disciplina specifica della locazione la regola che consente di sospendere il pagamento del canone, è nella disciplina generale delle obbligazioni e contratti a cui occorre fare riferimento per dare una risposta. A questo proposito vengono in considerazione le norme di cui agli artt. 1256 e 1467 del codice civile, che disciplinano rispettivamente i casi di impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta.

L’impossibilità sopravvenuta rappresenta una causa di legittima estinzione dell’obbligazione o, a seconda dei casi, di giustificazione del ritardo nell’adempimento. Naturalmente, l’impossibilità, per essere giuridicamente rilevante, deve essere riconducibile a un evento eccezionale imprevedibile, estraneo all’ambito di una azione del debitore e idoneo a provocare un impedimento obiettivo e insormontabile allo svolgimento della prestazione. Occorre pertanto distinguere.

Nei casi in cui per effetto dell’epidemia e a maggior ragione dei provvedimenti del governo al conduttore fosse impedito di esercitare l’attività, secondo anche i precedenti giurisprudenziali, appare legittima la sospensione del pagamento del canone di locazione. Soccorre in tema di epidemia un precedente giurisprudenziale rappresentato dalla pronuncia della Corte di Cassazione: “eventi sopravvenuti alla stipula del contratto, quali l’imperversare di un’epidemia nel luogo prescelto per le vacanze, incidendo negativamente sulla sicurezza del soggiorno e, quindi, sulla “finalità turistica” del viaggio, comportano l’estinzione del contratto per sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta dello stesso”. I giudici di legittimità, nella fattispecie, hanno ritenuto che il venir meno dell’interesse creditorio dovuto alla sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta del contratto, infatti, comporta l’estinzione di quest’ultimo anche nell’ipotesi in cui la prestazione dedotta in obbligazione sia astrattamente ancora eseguibile.

Tuttavia, non è affatto scontato che, sotto il profilo causale, la chiusura temporanea dell’attività (e a maggior ragione l’incidenza indiretta, per le attività non sospese, sulla sua redditività) renda radicalmente impossibile la prestazione principale del conduttore consistente nel pagamento del canone di locazione e delle spese accessorie. Occorre, infatti, puntualizzare che non è impossibile la prestazione che possa essere adempiuta con la normale diligenza e che, in sede di giudizio, potrebbe non essere ritenuta giustificazione sufficiente la mancanza (o, peggio ancora, la mera riduzione) di ricavi limitata (come speriamo) a qualche settimana. La giurisprudenza, soprattutto di merito, conforta questo indirizzo.
Sarà, quindi, più complesso invocare l’impossibilità sopravvenuta nel caso di attività sulle quali i DPCM incidano solo indirettamente, quali gli esercizi commerciali che rientrano nelle eccezioni alla sospensione generalizzata. In questi casi sarà più difficile affermare che sia venuta radicalmente meno la possibilità di fruire della prestazione del locatore e il conduttore dovrà attrezzarsi per fornire la prova rigorosa che l’applicazione delle disposizioni ha determinato l’impossibilità di fatto di poter fruire della prestazione del locatore.

Nondimeno, gli esercizi che siano rimasti aperti, così fruendo dell’immobile, sia pure in circostanze che hanno inciso pesantemente sulla redditività del suo utilizzo, potranno invocare una riduzione del canone invocando le difficoltà causate dai limiti di circolazione delle persone e dal calo della domanda. Dovranno però fornire prova della riduzione delle entrate.

Quanto agli uffici, è indubbio che, per un ampio numero di attività amministrative e professionali, il ricorso allo smart working li sta di fatto svuotando, rendendo alquanto limitato il beneficio della loro disponibilità in virtù del rapporto locativo. In questi casi un giudice potrebbe essere meno incline ad assecondare le ragioni di quegli operatori che siano comunque riusciti ad assicurare la propria operatività tramite lo smart working. Pare più giustificata una domanda di riduzione dei canoni proporzionata al mancato godimento piuttosto che una sospensione “tout court” del loro pagamento.

V’è poi da prendere in esame il caso della eccesiva onerosità sopravvenuta, che comporta una grave alterazione tra il valore delle prestazioni corrispettive con conseguenze persistenti e non soltanto passeggere. In questo caso, stante la causa di forza maggiore determinata dalla pandemia, è possibile invocare la risoluzione del contratto ex art. 1467 cc (fatto salvo l’onere della prova dello squilibrio tra le prestazioni che compete al conduttore e la facoltà del conduttore di evitare la risoluzione offrendo un’equa modificazione delle condizioni contrattuali), o esercitare il recesso per gravi motivi ex art. 27, u.c., della L. 392/1978.

In conclusione, stante l’eccezionalità della situazione, pare produttivo suggerire sempre al conduttore – dopo avere compiuto una specifica analisi della situazione contrattuale e in presenza dei presupposti dianzi illustrati – di formalizzare al proprietario, mediante lettera raccomandata, una richiesta di sospensione del canone di locazione per tutta la durata dell’emergenza sanitaria. Il locatore, infatti, in difetto del pagamento dei canoni, sarebbe legittimato ad agire per recuperarli e anche a promuovere il procedimento di sfratto per morosità. La tempestiva formalizzazione al locatore, con le adeguate motivazioni, di sopravvenuta impossibilità di adempiere agli obblighi contrattuali per cause di forza maggiore favorirebbe il dialogo tra le parti e la possibilità di una soluzione negoziale che contempli una sospensione o una riduzione del canone.

Del pari, come anticipato, in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta è sempre possibile evitare la risoluzione del contratto, offrendo un’equa modificazione delle condizioni.

Certo è che la fondatezza in diritto di richieste di sospensione o riduzione del canone o addirittura di rinegoziazione dei contratti, dipenderà molto dalla durata della crisi e dalla portata dei suoi effetti sull’andamento dell’economia, e, caso per caso, sugli affari dei singoli operatori. Come osservato, la ragionevolezza del ricorso alle disposizioni che consentono di giustificare tali pretese si fonda su un giudizio di insostenibilità delle condizioni economiche del contratto per effetto dell’impatto significativo, strutturale e perdurante delle circostanze invocate.