Ogni qual volta un evento dannoso rientri nella prevedibilità ed evitabilità secondo regole di ordinaria diligenza il responsabile del ciclo produttivo (e dunque, nella generalità dei casi, il titolare) ne risponde, a meno che non abbia delegato la responsabilità a singoli preposti in caso di aziende di grandi dimensioni sulla base di norme interne (nella fattispecie era stata ravvisata la presenza di cariche microbiche in tramezzini)
(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 37436/17; depositata il 27 luglio)
Nel caso di specie il Tribunale di Genova aveva inteso ravvisare la responsabilità, penale, del ricorrente in quanto tre unità oggetto di campionamento presentavano valori superiori a 10 ufc/g, “parametri chimico fisici che comportano la possibilità di moltiplicazione microbica del predetto batterio nel tempo in cui il prodotto è in vendita” (nella specie tramezzini).
In sostanza – pur prevedendo la normativa un limite soglia di cariche microbiche di 100 ufc/g in modo da giustificare la conclusione che il mancato superamento di tale soglia durante il periodo di validità commerciale del prodotto escluda che possa configurarsi un illecito – nel caso di specie essendo stata rilevata la presenza di cariche microbiche, seppure inferiori alla soglia, a distanza di un certo periodo di tempo dalla data di scadenza, aveva fatto ritenere ai verbalizzanti che vi fosse la possibilità in detto arco di tempo di un proliferare delle cariche microbiche con conseguente pericolo di superamento della soglia limite.
I giudici di legittimità, tuttavia hanno accolto il ricorso del commerciante (annullando la sentenza di condanna ) osservando che non era stata contestata l’ipotesi dell’incertezza sul mancato superamento della soglia di 100 ufc/g fino alla data di scadenza del prodotto (posto che all’epoca delle analisi i dati di riferimento rientravano invece nelle soglie ) .
Del resto il Tribunale aveva espressamente osservato che non vi era questione in ordine al rispetto, da parte del ricorrente, del sistema di controlli convenuto con le autorità sanitarie secondo il piano di campionamento concordato. Dunque doveva ritenersi rispettato il principio generale di cautela costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità secondo il titolare di una ditta di produzione e commercio di prodotti alimentari ha l’obbligo di rispettare non solo le disposizioni di legge che presiedono alla disciplina di quel settore di produzione ma anche le generali norme che impongono la massima prudenza, attenzione e diligenza nella produzione. Da qui il principio sintetizzato nella massima enunciata in apertura.
Testo delle sentenza
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 aprile – 27 luglio 2017, n. 37436 Presidente Cavallo – Relatore Cerroni
Ritenuto in fatto
- Con sentenza dell’11 marzo 2016 il Tribunale di Genova ha condannato P.L. , in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Laboratorio Gastronomico Dua A.A. e concesse le attenuanti generiche, alla pena di Euro 1400 di ammenda per il reato di cui all’art. 5 lett. c) della legge 30 aprile 1962, n. 283, stante la messa in commercio di tramezzini contenenti germi patogeni listeria monoctytogeneses. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, con tre motivi di impugnazione. 2.1. In particolare, col primo motivo è stata dedotta violazione di legge in quanto l’art. 5 lett. c) della legge 283 cit. puniva solamente chi, e non era la fattispecie come desunto dall’istruttoria, impiegava negli alimenti sostanze con cariche microbiche superiori ai limiti di legge. In specie, al contrario, i prodotti alimentari erano certamente, all’epoca della verifica, ancora in buono stato di conservazione e non risultavano superati i limiti di tollerabilità microbica previsti dalla legge. 2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha contestato l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, dal momento che la ditta del ricorrente aveva svolto tutti i controlli necessari e previsti al fine di verificare la genuinità dei prodotti, non potendosi pretendere un controllo su ogni singolo tramezzino. In considerazione di ciò, si sarebbe così delineata una vera e propria responsabilità di tipo oggettivo. 2.3. Col terzo motivo infine è stato censurato l’immotivato rigetto della richiesta di applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cod. pen., di cui invece ricorrevano i presupposti (assenza di precedenti penali, effettuazione di tutti i controlli necessari e peraltro non obbligatori, commestibilità dei tramezzini al momento delle analisi, carica batterica inferiore ai limiti). 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio relativamente alla richiesta ex art. 131-bis cod. pen..
Considerato in diritto
- Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 4.1. Il contestato art. 5 lett. c) della legge 283 del 1962 stabilisce che “È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:… c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali”. In particolare, le analisi erano state condotte su tramezzini prodotti ed immessi in commercio dalla società di cui l’odierno ricorrente era legale rappresentante, ed avevano fatto registrare in data 17 aprile 2013, laddove il prodotto scadeva il 12 maggio 2013, valori rispettivamente di 50 unità formanti colonia (ufc), 60 ufc, maggio 40 ufc e minore 10 ufc.. In specie, si trattava di sostanze alimentari (tramezzini) deteriorabili a norma del d.m. 16 dicembre 1993 in considerazione della composizione; in particolare, di alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita di listeria monocytogenes, come previsto dal Regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005, “Sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari”. Dal momento che i prodotti erano stati immessi sul mercato durante il loro periodo di conservabilità, il limite di tollerabilità era fissato in 100 ufc “se il produttore è in grado di dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che il prodotto non supererà il limite di 100 ufc/g durante il periodo di conservabilità”. Al riguardo, l’esito delle analisi doveva considerarsi non soddisfacente, atteso che – anche se l’analisi stessa aveva attestato che il prodotto si collocava nell’ambito del limite di 100 ufc/g – è pacifico (o quantomeno non è stata sollevata contestazione sul punto) che non era stata fornita alcuna dimostrazione circa la possibilità di rispettare il suddetto limite nel corso di validità del prodotto. Sì che erano state adottate le misure di salvaguardia e di allerta previste dalla normazione. Vero è quindi che, per quanto possa interessare, non sussiste dubbio circa il fatto che si sarà proceduto al doveroso ritiro ovvero comunque al richiamo del prodotto. Per quanto invero concerne la responsabilità di natura penale, è stato ripetutamente affermato, in tema di rapporti tra le fattispecie di cui alle lett. c) e d) dell’art. 5 cit., che non integra il reato di cui all’art. 5, comma primo, lett. d), legge 30 aprile 1962 n. 283, la presenza di cariche microbiche superiori ai limiti consentiti in sostanza alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ma realizza fattispecie prevista dalla lett. c) della norma citata, per la cui configurabilità non è sufficiente un’analisi qualitativa del prodotto, essendo necessario l’accertamento del superamento dei citati limiti di tolleranza (Sez. 3, n. 29988 del 13/07/2011, Pollini, Rv. 251253; Sez. 3, n. 46764 del 16/11/2005, Salvatore, Rv. 232654). Invero, come è già stato ricordato dal provvedimento impugnato, per la configurabilità del reato di cui all’art. 5, lett. c) cit., non è necessario l’accertamento della nocività delle sostanze impiegate, ma è sufficiente il mancato rispetto dei limiti imposti a garanzia della qualità del prodotto (Sez. 3, n. 44659 del 16/11/2001, Parisi, Rv. 220629). Alla stregua dei principi richiamati, che la Corte non ha ragione di revocare in dubbio ma che anzi intende consolidare, non può non essere rilevato che il Tribunale di Genova ha inteso ravvisare la responsabilità, penale, dell’odierno ricorrente in quanto tre unità oggetto di campionamento presentavano valori superiori a 10, “parametri chimico fisici che comportano la possibilità di moltiplicazione microbica del predetto batterio nel tempo in cui il prodotto è in vendita”. Va da sé che il ragionamento non appare condivisibile, laddove è stato assunto come parametro di riferimento il valore inferiore a 10 ufc/g che, in realtà, non è fissato da alcuno e che, se risponde ad evidenti ragioni di precauzione e di stima sanitaria, comunque non esclude la sussistenza di cariche microbiche ed è diverso dalla pura e semplice “assenza” di carica microbica. In altre parole, se 100 ufc/g si pone come limite invalicabile nel caso in cui sia assicurato il suo mancato superamento nel periodo di validità commerciale del prodotto, l’eventuale parametro minimo non è altrimenti ricavabile dal sistema se non operando esegesi, ragionevoli sì, ma estranee alle previsioni, atteso che il regolamento comunitario fissa altri riferimenti (ad es. “Assente in 25 g”) per le altre ipotesi colà richiamate. D’altronde il ricorrente è stato ritenuto responsabile alternativamente, ed in entrambe le ipotesi per fattispecie in sé non contestate ovvero non espressamente previste, perché non sussisteva certezza sul mancato superamento della soglia di 100 ufc/g fino alla data di scadenza del prodotto (all’epoca delle analisi i dati di riferimento rientravano invece nel range), e perché era stato rintracciato un valore superiore a 10 ufc/g. 4.2. In ogni caso, poi, non vi è questione in ordine al rispetto, da parte del ricorrente, del sistema di controlli convenuto con le autorità sanitarie secondo il piano di campionamento concordato, come è stato espressamente osservato dal Tribunale. Al riguardo, è stato ripetutamente osservato che il titolare di una ditta di produzione e commercio di prodotti alimentari ha l’obbligo di rispettare non solo le disposizioni di legge che presiedono alla disciplina di quel settore di produzione ma anche le generali norme che impongono la massima prudenza, attenzione e diligenza nella produzione. Ogni qual volta un evento dannoso rientri nella prevedibilità ed evitabilità secondo regole di ordinaria diligenza il responsabile del ciclo produttivo ne risponde (a meno che non abbia delegato la responsabilità a singoli preposti in caso di aziende di grandi dimensioni sulla base di norme interne; in specie il titolare di una ditta di produzione e vendita al dettaglio di formaggi è stato chiamato a rispondere dell’intossicazione determinata dalla presenza nel formaggio di stafilococco aureo presente nell’acqua bevuta dagli animali, nonostante che egli fosse in regola con i controlli della AUSL, perché tali controlli non danno la garanzia che i prodotti venduti fossero immuni da qualsiasi contaminazione)(Sez. 3, n. 5950 del 20/05/1997, Danesi, Rv. 208208; conf. Sez. 7, n. 21660 del 23/09/2016, dep. 2017, Bambini, Rv. 269777, secondo cui è stata ritenuta esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per avere commercializzato una partita di alici contaminata da parassiti pericolosi per la salute la cui presenza era riscontrabile a vista, pur avendo egli provveduto a sottoporre gli alimenti a controlli a campione). Ma in specie, tra l’altro, dal provvedimento impugnato non risulta neppure emersa alcuna circostanza dalla quale era possibile desumere, come invece risulta nei precedenti richiamati, l’evento dannoso secondo i canoni della prevedibilità, nonché della evitabilità seguendo regole di ordinaria diligenza. 5. Alla stregua dei rilievi complessivamente svolti, e con assorbimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato