Corte di Cassazione Sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20985
Con il seguente arresto la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio: << Nell’ipotesi di responsabilità civile da prodotti difettosi, disciplinata dal d. P.R. 24 maggio1988, n. 224, il primo comma dell’art. 8 del citato d.p.r. (“Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno …”) va interpretato nel senso che detto danneggiato deve provare (oltre al danno ed alla connessione causale predetti) che l’uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative e tali da evidenziare la sussistenza di un difetto ai sensi di cui all’art. 5 D.P.R. cit.; invece il produttore deve provare (ex artt. 6 ed 8 D.P.R. cit.), che è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione. >>
Ha altresì puntualizzato che il Giudice del rinvio dovrà tenere presente – a proposito dell’onere probatorio in questione – la norma dell’art. 12 del d.P.R. 24 maggio1988, n. 224. “Clausole di esonero da responsabilità” : “1. È nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la responsabilità prevista dal presente decreto”, articolo la cui applicazione è era stata invocata dal ricorrente nell’ambito di argomentazioni strettamente connesse con l’accolta censura.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sez. III, 8 ottobre 2007, n. 20985
Pres. Nicastro – Est. Talevi – P.M. (conf.) – D. B. c. Mentor Corporation spa ed altra
Svolgimento del processo. – Nell’impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
“Con citazione affidata alla notifica mediante servizio postale il 21 giugno 1995 D. B. conveniva avanti al Tribunale di Mantova la Mentor Corporation e la spa Comesa per sentirle condannare in solido al risarcimento dei danni da lei patiti per la rottura di una protesi mammaria di fabbricazione della prima e distribuita dalla seconda.
Precisava che, sottopostasi ad intervento di mastectomia radicale per neoplasia mammaria presso l’ospedale di Mantova, le era stata applicata, in data 1 febbraio 1992, una protesi mammaria di fabbricazione della Mentor.
Purtroppo, in data 14 maggio 1994 ella aveva notato una certa asimmetria e, sottopostasi a visita, era stato accertato che la protesi, costituita in sostanza da un involucro contenente soluzione salina, si era inspiegabilmente svuotata e la soluzione si era diffusa nei tessuti circostanti. Si era imposto, pertanto, altro intervento, praticato il 9 giugno 1994 presso l’ospedale di Verona per la rimozione dell’involucro e il drenaggio dei tessuti, operazione cui erano seguite altre terapie e previsione di altra operazione di alta specializzazione e di corrispondente costo.
Lamentava gravi danni sia materiali, sia di comprensibile riverbero psichico e precisava che la protesi rimossa era tuttora custodita “…presso il reparto di 2^ divisione chirurgia plastica presso gli istituti ospedalieri di Verona di Borgo Trenta…”.
Resisteva la Comesa spa, negando proprie responsabilità contrattuali o extracontrattuali quanto meno per assoluto difetto dell’elemento psicologico. Precisava, infatti, di essere stata semplice fornitrice della protesi in questione, pervenutale dal fabbricante in confezione sterile e sigillata destinata all’apertura e al controllo da parte del chirurgo in sede di applicazione, così che nulla poteva a lei essere imputato, non senza considerare la propria carenza di legittimazione passiva inammissibile essendo l’azione nei di lei confronti nella ipotesi, qui ricorrente, che il produttore della cosa asseritamente difettosa fosse noto. Infine contestava, difettando al riguardo ogni prova, che la protesi avesse avuto effettivamente vizi.
Resisteva anche la Mentor osservando che la disciplina codicistica era stata integrata dalla legge n. 224 del 1988 che aveva introdotto una particolare figura di responsabilità extracontrattuale di tipo “oggettivo”, vale a dire svincolata dalla colpa del produttore e basata, invece, sul mero rapporto di causalità tra il difetto del prodotto e il danno. La legge stabilisce, infatti, che “il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto” (art..), ma precisa che”un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere” alla luce di una serie di fattori fra cui “…il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le istruzioni e le avvertenze fornite..”(art.5).
Premesso ciò, sottolineava la convenuta come la protesi in questione fosse messa in commercio corredata di dettagliate istruzioni che senza mezzi termini ammonivano il consumatore sulle possibilità di rischio del suo impiego, sui limiti di affidabilità, sulle controindicazioni, sulle situazioni in cui era addirittura sconsigliato l’impiego e, in particolare, sulla possibilità, espressamente prevista, di sgonfiamento legata ad una lunga serie di fattori possibili e individuati, nonché ad una serie ulteriore di fattori inconoscibili.
Sottolineava anche la Mentor che non si trattava affatto di un prodotto in libero commercio, bensì di un prodotto non reclamizzato, né offerto direttamente al pubblico, ma fornito su espressa richiesta del medico a propria volta tenuto ad informare il paziente di tutti i rischi e le controindicazioni di esso, così che l’attrice doveva essere pienamente consapevole di tutto ciò nel momento in cui aveva accettato di lasciarsi impiantare la protesi de qua, con conseguente assenza di ogni responsabilità a carico della deducente anche alla luce del disposto dell’articolo 10 della legge secondo cui “…il risarcimento non è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente sottoposto …”.
Osservava, poi, che, sempre secondo la legge, “…la responsabilità è esclusa…se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo in circolazione il prodotto…”. Precisava che, prima di uscire dalla fabbrica, ciascuna protesi viene sottoposta ad accurati controlli qualitativi e a sterilizzazione e, in ogni caso, le informazioni allegate prevedevano ben specifici test che il chirurgo avrebbe dovuto effettuare sulla protesi prima di impiantarla. Orbene, se il chirurgo impiantò la protesi, ciò vuol dire che i test avevano dato risultati soddisfacenti e, se così fu se ne trae necessariamente che non esistevano difetti al momento della messa in circolazione del prodotto. Se, viceversa, il giudizio implicito (di assenza di difetti) era stato determinato dalla non corretta esecuzione dei test nonostante le raccomandazioni di essa produttrice, di certo della cattiva riuscita dell’impianto l’attrice non aveva titolo per dolersi nei confronti del produttore. Inoltre, le protesi venivano consegnate vuote, essendo compito del chirurgo provvedere al loro riempimento, al momento dell’impiego, con una soluzione salina e secondo specifiche istruzioni fornite dalla Mentor, così che se tutto ciò era stato fatto ne conseguiva necessariamente che la protesi era apparsa integra al chirurgo che aveva deciso, quindi di impiantarla. Non senza considerare che l’articolo 8 secondo comma della Legge stabilisce che “…ai fini dell’esclusione da responsabilità prevista nell’articolo 6 lettera b, è sufficiente dimostrare che, tenuto conto delle circostanze, è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione…”. Contestava, infine, il nesso causale fra le voci di danno indicate dall’attrice e l’episodio contestato, ribadendo, in ogni caso, l’assenza di propria responsabilità.
Alla causa era riunita altra causa nel frattempo instaurata dalla Mentor nei confronti di F. B. e dell’ospedale Carlo Poma di Mantova dai quali, nella rispettiva qualità di chirurgo che aveva proceduto all’impianto della protesi e di ospedale presso cui l’operazione era stata eseguita, la Mentor chiedeva essere manlevata nell’ipotesi di accoglimento della domanda attrice.
Entrambi si erano costituiti con unico patrocinio respingendo ogni addebito.
Si procedeva a tentativo di conciliazione che non riusciva, quindi a consulenza tecnica medica e, infine, dopo alcune deduzioni e controdeduzioni e l’assunzione di prova testimoniale, la causa era decisa con sentenza 13 giugno 2001 che accoglieva la domanda svolta nei confronti della Mentor e della spa Comesa, nonché la domanda di manleva svolta da quest’ultima nei confronti della Mentor, che condannava alle spese nei confronti di B. e dell’ospedale Carlo Poma e, in solido con la Comesa, nei confronti dell’attrice.
Appellava la Mentor con citazione notificata il 16 ottobre 2001 e, nel contraddittorio della B., che resisteva al gravame proponendo impugnazione incidentale, della spa Comesa e di F. B., il quale avanzava domanda di condanna della spa Mentor per lite temeraria e dell’ospedale Carlo Poma, la causa era trattenuta in decisione sulle sopra trascritte conclusioni.
Con sentenza 8.1 -20.5.2003 la Corte d’Appello di Brescia decideva come segue: “1n riforma della sentenza 13 giugno 2001 del giudice unico del Tribunale di Mantova, respinge la domanda di D. B. e ne compensa le spese con Mentor Corporation e spa Co.Me.Sa.. Condanna la Mentor Corporation a rifondere a F. B. e all’ospedale Carlo Poma di Mantova le spese dei due gradi liquidate in complessivi € 3,000,00 quanto al primo ed € 3.500,00 quanto al presente”.
Contro questa decisione ha proposto ricorso per tassazione D. B..
Ha resistito con controricorso la Mentor Corporation.
- B. ha depositato memoria.
Motivi della decisione. – Con il primo motivo di ricorso D. B. denuncia “Violazione e falsa applicazione della norma di diritto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione dpr 224/88 e agli artt. 1490-1494-2043 c.c.” esponendo varie dog1ianze; le prime di queste vanno riassunte come segue. Accogliendo in toto le tesi difensive dell’appellante Mentor Corporation il Giudice dell’Appello, omettendo qualsiasi considerazione sulle opposte tesi difensive dell’appellata B., ha violato il fondamento della normativa posta a tutela del consumatore, stravolgendone, con un ragionamento incompleto, incoerente ed illogico, lo spirito e il contenuto. Orbene in base al d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224 il produttore è responsabile per i danni causati da difetti dei suoi prodotti. Il giudice d’appello ha ritenuto che dopo due anni e quattro mesi (lasso temporale assolutamente inaccettabile) dalla installazione lo svuotamento della protesi non concreta difetto quanto piuttosto manifestazione della possibile esistenza di un difetto. L’onere della prova dell’assenza di difetti incombe in ogni caso sul produttore non sul consumatore come ha erroneamente ritenuto, stravolgendo lo spirito della norma, il Giudice d’Appello (“incombeva all’attrice dimostrare:. . . il difetto e il nesso causale tra questo e il danno”; v. a pag. 10 sentenza Corte D’Appello) né può essere soppressa o limitata la responsabilità del produttore con clausole esonerative o limitative della responsabilità come erroneamente ritenuto dallo stesso giudice. Il tribunale di Mantova, correttamente e conformemente allo spirito della norma, con sentenza 597/01 ha sottolineato che “il fatto che il produttore non garantisca la durata illimitata della protesi non può portare ad escludere la sua responsabilità in tutti quei casi in cui la protesi ha avuto una durata tanto limitata nel tempo (nella fattispecie poco più di due anni) da deludere le aspettative, anche le più pessimistiche, di un paziente che decide di sottoporsi ad un intervento chirurgico”. L’art. 12 del DPR 224/88 stabilisce il divieto assoluto di clausole di esonero della responsabilità.. Nel caso in esame, dalla copiosa documentazione prodotta in atti dalla dr.ssa B. relativa al contenzioso dei consumatori portatori di protesi di produzione Mentor Corporation in essere negli USA, ingiustificatamente trascurata dal giudice d’appello, appare più che evidente la responsabilità del produttore per quella tipologia di protesi. La Mentor Corporation non ha superato l’onere della prova dell’assenza di difetti, né ha superato il principio del neminem laedere che implica l’onere di vigilare affinché i beni non presentino difetti di sicurezza tali da arrecare danno alle persone.
Il primo punto essenziale affrontato dalla parte ricorrente riguarda dunque il sopra citato onere della prova.
La Corte d’Appello basa il suo assunto sul seguente rilievo:
“. . . Pur se il d.p.r. 24 maggio 1988 n.224 ha reso più accessibile la tutela extracontrattuale avendo sollevato il danneggiato dall’onere di dimostrare la colpa del produttore, per altro verso ha ribadito la necessità che egli dimostri “…il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno…”(art. 8). Che nella specie danno vi sia stato, a parte le distinzioni proposte dall’odierna appellante fra conseguenze dirette dello svuotamento e affezioni meglio ricollegabili alla morbilità pregressa, è, sostanzialmente, fuori discussione. Ciò che incombeva all’attrice dimostrare erano quindi gli altri due requisiti, vale a dire il difetto e il nesso causale fra questo e il danno ….”.
Da tale brano e dal contesto della motivazione si evince: che secondo detta Corte il danneggiato ha l’onere di provare tra l’altro che il produttore ha messo in circolazione un prodotto con il difetto che ha cagionato il danno.
Se ci si limita a considerare il primo comma dell’art. 8 cit. (avente il contenuto citato nella sentenza) tale tesi interpretativa può apparire a prima vista fondata.
Ma la questione va in realtà affrontata considerando il complesso di norme in questione.
In particolare il secondo comma di detto art. 8 recita: “… Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell’art. 6. ai fini dell’esclusione da responsabilità prevista nell’art. 6, lettera b), è sufficiente dimostrare che, tenuto conto delle circostanze, è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione.”.
L’articolo 6 (“Esclusione della responsabilità”) citato da detta norma stabilisce quanto segue: “1. La responsabilità e esclusa: a) se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione; b) se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione….”.
La circostanza che il legislatore abbia incluso nell’onere probatorio a carico del produttore la circostanza di cui al punto b) ora citato, e cioè abbia previsto che sia detto produttore a dover provare che “… Il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione….”, rende impossibile sostenere che un onere siffatto gravi sul danneggiato. In altri termini esclude che il danneggiato debba dimostrare la sussistenza del difetto fin dal momento in cui il produttore ha messo il prodotto in circolazione.
A questo punto l’unica interpretazione logicamente possibile e coerente con la ratio del D.P.R. in esame (chiaramente volta ad assicurare una maggiore tutela del danneggiato) consiste nell’interpretare il primo coma dell’art. 8 cit. (art. 8. Prova 1. “Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno …”) nel senso che detto danneggiato deve dimostrare (oltre al danno ed alla connessione causale predetta) che l’uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative; e cioè ha l’onere di provare (secondo le specifiche previsioni del legislatore contenute nell’art. 5: “… Art. 5. Prodotto difettoso. 1. Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: …”) che il prodotto (durante detto uso) si è dimostrato “… Difettoso …” non offrendo “… La sicurezza che ci si …” poteva “… Legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze …” di cui al prosieguo dell’art. 5 cit.
Una volta che il danneggiato ha dimostrato che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l’uso, che ha subito un danno e che quest’ultimo è in connessione causale con detto difetto, è il produttore che ha l’onere di provare che quest’ultimo (il difetto riscontrato) non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione.
Nella fattispecie in esame D. B. aveva dunque l’onere di dimostrare che nel corso dell’uso (entro un congruo periodo di tempo dall’impianto) la protesi aveva manifestato il difetto (si era vuotata), che vi era stato un danno e che sussisteva il suddetto nesso eziologico.
La Mentor Corporation doveva a questo punto adempiere l’onere probatorio previsto dall’art. 6 ed 8 cit. dimostrando, in particolare, che era probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto era stato emesso in circolazione (in altre parole la problematica dei traumatismi dopo l’impianto rientrava – in linea generale – nell’ambito dell’onere probatorio incombente su detta società).
In conclusione va enunciato il seguente principio di diritto: “il primo comma dell’art. 8 del D. P. R. 24 maggio 1988, n. 224 (“Il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno …”) va interpretato nel senso che detto danneggiato deve provare (oltre al danno ed alla connessione causale predetti) che l’uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative e tali da evidenziare la sussistenza di un difetto ai sensi di cui all’art. 5 D.P.R. cit.; invece il produttore deve provare (ex artt. 6 ed 8 D.P.R. cit.), che è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato emesso in circolazione.”.
La corte di merito non ha applicato tale principio di diritto.
L’impugnata sentenza va dunque cassata.
Le ulteriori doglianze debbono ritenersi assorbite (e potranno essere riproposte nel giudizio di rinvio) in quanto tutte le risultanze probatorie dovranno essere riprese in esame dal Giudici del rinvio alla luce del principio ora enunciato (tenendo peraltro anche presente l’art. 12. Clausole di esonero da responsabilità: “1. È nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la responsabilità prevista dal presente decreto”, articolo la cui applicazione è giustamente invocata dal ricorrente nell’ambito di argomentazioni strettamente connesse con la censura – sopra accolta – circa l’onere probatorio in questione).
I1 Giudice del rinvio va individuato nella medesima Cotte di Appello di Brescia in diversa composizione.
A detto Giudice va rimessa anche la decisione sulle spese del giudizio di c.